Il matrimonio
Il matrimonio fu praticamente tutto quel che un matrimonio dovrebbe essere quando è una Lady Anna a venir condotta all’altare per le nozze. Poiché la cerimonia era stata spostata da Bloomsbury, Londra, a Yoxham, nello Yorkshire, fu procurata una licenza e le pubblicazioni, che Daniel Thwaite teneva in così grande considerazione, vennero lette invano. Naturalmente ci sono delle differenze tra i matrimoni aristocratici. Non tutte le figlie dei conti si sposano a St. George, in Hanover Square, né è assolutamente necessario che sia un vescovo a celebrare le nozze o che i vestiti siano descritti in un giornale. Si trattò in sostanza di un matrimonio sobrio – ma fu sobrio con una splendida sobrietà e, se pur lontano dagli occhi della folla, ebbe grazia e decoro. Non appena la questione fu sistemata, – quando non ci furono più dubbi che tutti i Lovel avrebbero accettato il matrimonio – le due zie si misero all’opera con grande entusiasmo. Un’altra ragazza Lovel, che la famiglia prima di allora aveva a stento incontrato, fu chiamata alla dimora dei Lovel come terza damigella, quanto alla quarta – chi doveva essere se non la figlia maggiore di Lady Fitzwarren? I Fitzwarren non erano ricchi, non andavano in città ogni anno e le occasioni di mondanità in campagna sono così rare! A Lady Fitzwarren non andava di dir di no alla sua vecchia amica, la signora Lovel; e poi Lady Anna era Lady Anna – o perlomeno lo sarebbe stata per i giornali. La signorina Fitzwarren permise che la vestissero di bianco e blu, e prese parte alla processione – dopo aver comunque assicurato alla sua più intima amica, la signorina De Moleyns, che nulla al mondo l’avrebbe indotta a lasciarsi baciare dal sarto.
Nella settimana che precedette l’arrivo di Daniel Thwaite, Lady Anna si ingraziò di nuovo le signore del rettorato. Nei giorni della persecuzione era stata silenziosa e apparentemente dura – ma ora era nuovamente gentile, cedevole e dolce. «Mi piacciono i suoi modi, nonostante tutto», disse Minnie. «Sì, mia cara. È un peccato che le cose stiano in questo modo, perché lei è molto amabile». Minnie voleva molto bene all’amica, ma riteneva un vero orrore che la sua amica sposasse un sarto. Era quasi terribile come la storia della principessa che doveva sposare l’orso – peggio in realtà, perché Minnie non credeva affatto che il sarto si sarebbe mai tramutato in un gentiluomo, mentre era stata sicura fin dall’inizio che l’orso si sarebbe rivelato un principe.
Daniel arrivò a Yoxham e vide pochissimo la gente del rettorato. Fu ospitato nella casa di un possidente del vicinato, dove come era logico cenò. Andò sì in visita al rettorato e vide la sua promessa sposa – ma in quell’occasione non incontrò nemmeno il rettore. Il possidente lo accompagnò in chiesa la mattina, in finanziera blu, pantaloni marroni e cravatta grigia. Si vergognava moltissimo del suo abbigliamento, ma non vi era nulla in lui che attirasse l’attenzione se tutti non avessero saputo che era un sarto. Il rettore gli strinse la mano educatamente ma con freddezza. Le signore furono più affettuose; quanto a Minnie, lei lo guardò in viso a lungo e ansiosamente. «Non era molto carino», disse in seguito, «ma me lo immaginavo peggio!». Quando la cerimonia si concluse egli baciò la moglie, ma non ci fu nessun tentativo con le damigelle. Seguì una colazione al rettorato – che fu uno splendido banchetto di nozze. In tali occasioni la parte della sposa è sempre facile da recitare. È suo dovere apparire carina se le riesce e se dovesse fallire, – come di solito capita alle spose – il fallimento è attribuito alle naturali emozioni del momento. La parte dello sposo è più difficile. Egli dovrebbe essere virile, piacevole, composto, mai sfacciato, in grado di dire qualche parola quando necessario, e pacatamente trionfante. È quasi più di quanto un essere mortale possa fare e lo sposo di solito mostra qualche carenza nella terribile occasione. Daniel Thwaite non ebbe successo. Rimase silenzioso e quasi imbronciato. Quando Lady Fitzwarren si congratulò con lui in termini altisonanti e con un sorriso, – sorriso che voleva unire una dose di scherno a una di cortesia – egli quasi crollò nel tentativo di risponderle. «È molto gentile da parte vostra, milady», le disse. Poi lei gli voltò le spalle e sussurrò una parola al rettore, e Daniel fu certo che stesse ridendo di lui. L’eroe del giorno fu il vice-procuratore generale. Fece un discorso, brindando alla salute e alla prosperità della coppia appena sposata. Accennò, ma fu solo un accenno, al processo, esprimendo la soddisfazione che tutte le persone interessate avevano provato nel riconoscere i diritti e il rango della bella e nobile sposa non appena le circostanze del caso erano divenute note. Poi egli parlò della fedeltà e della amicizia costante e di lunga data dello sposo e del padre, dicendo che nella sua estesa esperienza di vita non aveva conosciuto nulla di più toccante o più delicato dell’amore nato, alle soglie della gioventù, tra la bella fanciulla e il suo primo amico. Egli riteneva una delle gioie della sua vita l’aver fatto conoscenza con Daniel Thwaite ed espresse la speranza che gli fosse permesso di considerare a lungo quel gentiluomo come un amico. Ci furono grandi applausi e il giovane conte fu certamente colui che tributò il più sonoro. Il rettore non riuscì a dire una parola. Si stava sforzando di fare il suo dovere nei confronti del capo della famiglia, ma non sapeva costringersi a dire che il matrimonio tra Lady Anna e il sarto era un evento felice. Il povero Daniel fu costretto a fare un discorso in risposta al suo amico, Sir William. «Non sono bravo a parlare», disse, «e spero che mi scuserete. Posso solo dire che sono profondamente in debito con Sir William Patterson per quel che ha fatto per mia moglie».
La coppia partì con una carrozza a quattro cavalli per York e le nozze si conclusero. «Spero di aver fatto bene», disse il rettore in un sussurro confidenziale a Lady Fitzwarren.
«Penso di sì, signor Lovel. Ne sono sicura. Le circostanze erano molto difficili, ma sono sicura che voi avete agito bene. Dovrà venir sempre considerata come la figlia legittima di suo padre».
«Così dicono», mormorò il rettore tristemente.
«Proprio così. E poiché sarà sempre considerata la vera Lady Anna, eravate tenuto a trattarla come avete fatto. Peccato che non sia stato fatto prima, in modo che potesse stringere un più degno legame. Il conte, comunque, non è stato del tutto ignorato e c’è del conforto in ciò. Suppongo che il signor Thwaite sia un brav’uomo, anche se… non è esattamente quel che la famiglia poteva desiderare». Senza dubbio tali parole vennero pronunciate da sua signoria con gran piacere. I Fitzwarren erano poveri, mentre i Lovel erano tutti ricchi. Persino il giovane conte era ormai ben fornito di denaro – grazie alla generosità della cugina da poco incontrata. Era quindi piacevole per Lady Fitzwarren alludere alla sventura familiare che doveva in parte sminuire la prosperità dei suoi amici. Il signor Lovel comprese tutto ciò e sospirò; ma non provò collera. Era grato a Lady Fitzwarren per essersi degnata di andare a casa sua in un’occasione così funerea.
E così possiamo dire addio a Yoxham. Il rettore era un uomo onesto, sincero, generoso, fedele ai suoi istinti, genuinamente inglese, caritatevole, ospitale, che faceva del bene a chi gli stava intorno. Nel giudicare una simile natura troviamo difficile tracciare la linea che separa la sagacia politica dal pregiudizio politico. Se egli fosse stato diverso da quel che era, probabilmente sarebbe risultato meno utile nella posizione che occupava.
La sposa e lo sposo se ne andarono nel Devonshire per la loro luna di miele e durante il viaggio passarono per Londra. Lady Anna Thwaite – visto che non le era ancora riuscito di abbandonare il titolo – scrisse alla madre dicendole del suo arrivo e chiedendo il permesso di vederla. Il giorno seguente andò da sola in Keppel Street e fu fatta entrare. «Cara, cara mamma», disse, gettandosi tra le braccia della madre.
«Così è successo?» chiese la contessa.
«Sì, mamma, siamo sposati. Vi ho scritto da York».
«Ho ricevuto la tua lettera, ma non ho potuto rispondere. Che avrei potuto dire? Vorrei che non fosse accaduto – ma è accaduto. Hai scelto da sola e non ti rimprovererò».
«Non rimproveratemi ora, mamma».
«Sarebbe inutile. Sopporterò i miei dispiaceri in silenzio, quali essi siano. Non parlarmi di lui, ma dimmi qual è la vita che ti si prospetta».
Sarebbero rimasti nel sud del Devonshire per un mese e poi sarebbero salpati per la nuova colonia fondata agli Antipodi. Quanto a uno stile di vita definitivo, non c’era ancora nessun piano preciso. Erano diretti a Sidney e una volta là «mio marito» – come Lady Anna lo chiamava, pensando che la parola potesse risultare alle orecchie materne meno dolorosa del nome dell’uomo che era diventato così odioso per lei – avrebbe fatto quel che gli sembrava adeguato. Avrebbero a ogni modo imparato qualcosa del nuovo mondo che stava sorgendo e lui sarebbe allora stato in grado di capire se avrebbe servito meglio lo scopo che gli stava a cuore rimanendo là o tornando in Inghilterra. «E ora, mamma, che cosa farete voi?».
«Nulla», disse la contessa.
«Ma dove vivrete?».
«Se solo riuscissi a scoprire, bambina mia, dove potrei morire, te lo direi».
«Mamma, non parlatemi di morire».
«Come pensare al futuro, mia cara? Per cosa dovrei vivere? Avevo solo te e tu mi hai lasciato».
«Venite con me, mamma».
«No, mia cara. Non potrei vivere con lui, né lui con me. Sarà meglio per lui e per me non vederci mai più».
«Ma non rimarrete qui?».
«No; non rimarrò qui. Dovrò abituarmi alla solitudine, ma la solitudine di Londra è insopportabile. Tornerò nel Cumberland se riuscirò a trovare una casa là. Le montagne mi ricorderanno i giorni che, per quanto tristi, erano meno tristi del presente. Non immaginavo certo allora che una volta ottenuto tutto la mia perdita sarebbe stata così grande. C’era il conte?».
«Al nostro matrimonio? Oh sì, c’era».
«Gli chiederò di farmi un piacere. Forse mi permetterà di vivere a Lovel Grange».
Quando l’incontro terminò, Lady Anna tornò dal marito sopraffatta dalle lacrime. Aveva quasi il cuore spezzato nel chiedersi se era davvero stata crudele verso la madre. Ma non sapeva come avrebbe potuto agire altrimenti. La madre aveva cercato di sottometterla con la durezza – e aveva fallito. Ma nondimeno il suo cuore era molto triste. «Mia cara», le disse il sarto, «è naturale che i cuori si rattristino. Per come ancora va il mondo, non può che esserci dell’ingiustizia e non può che venirne del dolore».
Circa un mese dopo la loro partenza da Londra, la contessa scrisse al cugino per comunicargli i suoi desideri. «Se voi volete vivere là, ovviamente la questione è chiusa. Ma in caso contrario potreste affittarmi la vecchia casa. In questo modo rimarrà in famiglia. Farò quel che posso per le persone del posto, così che imparino a non odiare il nome dei Lovel».
Il giovane conte le disse che poteva avere l’uso della casa per tutto il tempo che voleva – per tutta la vita se le andava di restare là tanto a lungo. Quanto al denaro dell’affitto – naturalmente non poteva accettarlo dopo tutto quel che era stato fatto per lui. Ma il posto le sarebbe stato concesso in locazione con un contratto, così che non dovesse temere di venir disturbata. Quando arrivò la primavera, dopo che fu salpata la nave che portava il sarto e sua moglie agli Antipodi, Lady Lovel andò con la sua cameriera nel Cumberland, lasciando Londra senza un amico a cui dire addio. E si stabilì a Lovel Grange, tra i vecchi mobili e i vecchi dipinti, dove ogni cosa le ricordava la terribile tragedia della sua gioventù, quando il marito era andato da lei, con il sorriso sulle labbra e il disprezzo negli occhi, e le aveva detto che lei non era sua moglie e che il figlio che aspettava sarebbe stato un bastardo. A ogni modo almeno sulle sue parole malvagie aveva avuto la meglio. Ora abitava lì nella casa di lui, l’indiscussa e indubbia Contessa Lovel, padrona di buona parte della ricchezza del malvagio conte, mentre ancora vivevano là intorno coloro che la conoscevano quando fu scacciata da casa. Là, troppo spesso con mal diretta generosità, dispensò il suo denaro e si fece amare dai poveri della zona. Ma quanto a compagnia, non vedeva nessuno e di rado usciva dalla valle in cui sorgeva la casa solitaria dove era stata condotta novella sposa.
Per quel che riguarda le ulteriori vicende di Daniel Thwaite e di sua moglie Lady Anna, – di come viaggiarono e videro molte cose e di come egli divenne forse un uomo più saggio – lo scrittore spera di poter vivere per raccontarle.