È ancora vero
La domenica andarono tutti a messa e non si disse una parola sul sarto. Alice Bluestone era affettuosa come per un commiato; la signora Bluestone cortese e premurosa; l’avvocato solenne e gentile. Prima che la giornata terminasse, Lady Anna fu sicura che non fosse previsto un suo ritorno a Bedford Square. Le due ragazze, e anche Sarah la cameriera personale, lasciarono cadere delle parole che fugarono ogni dubbio sull’effettiva preparazione dei bagagli. Nessuno cercò di fermarla quando si diede da fare di persona con i vestiti e ripiegò la sua scorta di guanti e nastri. Il lunedì mattina, dopo colazione, la signora Bluestone quasi crollò. «È certo, mia cara», le disse, «che vi abbiamo apprezzato moltissimo e se c’è stata qualche sgradevolezza la colpa è delle circostanze sfortunate». L’avvocato le diede la sua benedizione nell’uscire a piedi mezz’ora prima che la carrozza venisse a prenderla, e lei seppe che non sarebbe più stata ospite alla tavola dell’avvocato. Baciò le ragazze, venne baciata dalla signora Bluestone, salì in carrozza con la cameriera e in cuor suo disse addio per sempre a Bedford Square.
Era una corsa di soli tre minuti dalla casa dell’avvocato a quella dove viveva la madre e, in quel breve arco di tempo, quasi non le riuscì di rendersi conto che di lì a mezz’ora si sarebbe di nuovo trovata in presenza di Daniel Thwaite. Al momento non comprendeva assolutamente perché ciò venisse fatto. L’ultima volta che aveva visto la madre, la contessa aveva solennemente dichiarato, quasi giurato, che loro due non si sarebbero mai più rivisti. E ora l’incontro era imminente, tanto che l’uomo doveva già trovarsi non lontano da lei. Accostò il viso al finestrino della carrozza quasi come se si aspettasse di vederlo sul marciapiede. E come sarebbe stato predisposto l’incontro? La madre sarebbe stata presente? Dava per scontato che la madre fosse presente. Certo non si aspettava nessun piacere dall’incontro – anche se sarebbe stata felice, molto felice, di rivedere Daniel Thwaite. Prima di aver avuto il tempo di rispondere a una delle domande che si era posta, la carrozza si fermò e lei riuscì a vedere la madre alla finestra del salotto. Tremava mentre saliva di sopra e quasi non le riuscì di parlare quando si trovò davanti alla madre. Se la madre avesse avuto addosso il vecchio abito marrone sarebbe stato meglio, ma eccola là, vestita di seta nera – di seta che era nuova, rigida, ricca e maestosa – una genitrice più che una madre, e una contessa dalla testa ai piedi. «Sono così felice di essere di nuovo con voi, mamma».
«Non sarò meno contenta di averti con me, Anna, se ti comporterai in modo consono».
«Datemi un bacio, mamma». Allora la contessa chinò il capo e permise alle labbra della figlia di sfiorarle la guancia. Ai vecchi tempi – tempi che non erano poi così vecchi – avrebbe baciato la sua bambina come se quegli abbracci fossero l’unico cibo che la nutriva.
«Vieni di sopra e ti mostrerò la tua stanza». Allora la figlia seguì la madre in solenne silenzio. «Hai saputo che il signor Daniel Thwaite verrà qui, per incontrarti, dietro tua richiesta. Non passeranno molti minuti prima che sia qui. Togliti il cappello». Lady Anna fece ancora una volta ciò che le era stato detto. «Sarebbe stato meglio – molto meglio – se avessi fatto quello che ti si chiedeva senza farmi subire questo oltraggio. Ma poiché ti sei messa in testa l’idea di non poterti liberare da un fidanzamento impossibile senza il suo permesso, mi sono arresa. Fai in modo che non vada per le lunghe e poi vieni a dirmi che tutta questa sciocchezza è finita. Ha avuto quel che desidera, visto che un’enorme somma di denaro gli è stata pagata». Poi si sentì bussare alla porta, era Sarah che mostrò solo il viso per dire che il signor Thwaite era nella stanza di sotto. «Ora scendi. Mi aspetto di rivederti tra dieci minuti – o, altrimenti, scenderò io da te». Lady Anna prese la madre per mano, guardandola in viso con occhi imploranti. «Vai, mia cara e che sia fatto il più in fretta possibile. Ritengo che tu abbia un senso del decoro troppo grande per permettergli di far altro che parlarti. Ricorda, – tu sei la figlia di un conte; e ricorda anche tutto quel che ho fatto perché i tuoi diritti fossero riconosciuti».
«Mamma, non so cosa fare. Ho paura».
«Vuoi che venga con te, Anna?».
«No, mamma; sarà meglio senza di voi. Non sapete quanto lui sia buono».
«Se abbandonerà questa pazzia sarà per me il più caro degli amici».
«Oh, mamma, ho paura. Ma sarà meglio che vada». Poi, tremando, lasciò la stanza e lentamente scese le scale. Aveva proprio detto la verità sostenendo di aver paura. Fino a quel momento non aveva deciso con certezza se cedere o meno alle suppliche dei suoi amici. Non aveva deciso nulla – lasciando in verità il giudizio sulla sua fedeltà nelle mani dell’uomo che era ora giunto per vederla. In tutto quel che era stato detto e fatto le sue simpatie erano andate a lui, ed erano diventate tanto più forti quanto più gli amici di lei lo screditavano. Sapeva che avevano parlato male di lui non perché fosse cattivo – bensì allo scopo scellerato di farle credere quel che non era vero. L’aveva capito e ciò aveva destato in lei una fermezza tale di cui la madre non l’aveva immaginata capace. Se si fossero limitati all’argomento dell’attuale convenienza, ammettendo che l’uomo era sincero e onesto, – e ammettendo anche che il suo amore per lei e quello di lei per lui erano stati il naturale sviluppo della profonda amicizia dell’infanzia e della giovinezza – le possibilità di piegarla ai loro scopi sarebbero state maggiori. Invece non avevano mai discusso la questione con lei senza qualche affermazione che si sentiva tenuta a combattere. Le veniva detto in continuazione che si era disonorata e lei riusciva a capire che un’altra Lady Anna si sarebbe forse disonorata nel modo più assoluto accettando la corte di un sarto. Ma lei non si era disonorata. Di ciò era sicura, anche se non sapeva spiegare bene le sue ragioni quando l’accusavano. Le circostanze, e il modo di vivere della madre, l’avevano posta a stretto contatto con quell’uomo. Per tutti gli aspetti pratici della vita lui era stato un suo pari – e come tale era divenuto il suo più caro amico. Prendere la sua mano, appoggiarsi al suo braccio, chiedergli aiuto, andare da lui in caso di problemi, ascoltare le sue parole e credervi, era diventata una seconda natura per lei. Naturalmente lo amava. E poi il martirio attraverso cui era passata in Bedford Square aveva cambiato – inconsapevolmente per quel che riguardava le sue opinioni – i sentimenti che provava per il cugino. Ormai non era più per lei la creatura brillante e fulgida, il divino Febo, che era stato in Wyndham Street e a Yoxham. Con tutte le prediche che le avevano tenuto sul titolo che le apparteneva e sulla nobiltà, erano riusciti a inculcarle l’idea della solennità del rango, ma l’avevano privato di ogni grazia ai suoi occhi. Aveva solo subito maggiori tormenti per essere stata riconosciuta come Lady Anna Lovel. Nel suo cuore il sentimento più ostile ai diritti che il sarto avanzava su di lei era la pietà per la madre.
Entrò nella stanza adagio adagio e lo trovò in piedi vicino al tavolo, con le dita intrecciate. «Amor mio!» disse, non appena la vide, chiamandola con l’appellativo che era solito usare quando erano insieme a spasso nei campi nel Cumberland.
«Daniel!». Poi lui si avvicinò e le prese la mano. «Se hai qualcosa da dire, Daniel, dovrai essere molto veloce, perché la mamma sarà qui tra dieci minuti».
«E tu hai qualcosa da dirmi, amor mio?». Aveva molto da dire se solo avesse saputo come dirlo; ma rimase in silenzio. «Mi ami, Anna?». La ragazza tacque ancora. «Se hai smesso di amarmi, per favore dimmelo – in tutta onestà». Ma lei non disse nulla. «Se mi sei fedele – come io lo sono a te, con tutto il cuore – non me lo vuoi dire?».
«Sì», lei mormorò.
Lui la sentì, sebbene nessun altro ci sarebbe riuscito.
«L’orecchio di un innamorato sentirà il suono più fioco
Quello che sfugge all’udito attento del ladro».35
«In tal caso», disse lui, riprendendole la mano, «la storia che mi hanno raccontato è falsa».
«Quale storia, Daniel?». Ma ritirò velocemente la mano nel formulare la domanda.
«No; è mia, sarà mia se mi ami, cara. Ti dirò che storia. Dicono che ami tuo cugino, il Conte Lovel».
«No», lei disse con sdegno, «io non l’ho mai detto. Non è vero».
«Non puoi amarci entrambi». I suoi occhi erano fissi in quelli di lei, quegli occhi che negli anni passati lei era stata abituata a guardare per venir guidata, talvolta nella gioia e talvolta con timore, e a cui sempre aveva obbedito. «Non è forse vero?».
«Oh sì; naturalmente è vero».
«A lui non hai mai detto che lo amavi».
«Oh, mai».
«Ma a me lo hai detto – più di una volta; eh, amor mio?».
«Sì».
«Ed era vero?».
Tacque un momento e poi gli diede la stessa risposta: «Sì».
«Ed è ancora vero?».
Lei ripeté la parola per la terza volta. «Sì». Ma di nuovo parlò in modo tale che solo l’orecchio di un innamorato sarebbe riuscito a sentire.
«Allora, niente tranne il volere di Dio ci separerà. Sai che mi hanno mandato a chiamare perché venissi qui». Lei annuì. «Sai perché? Perché rinunciassi alla tua mano. Non rinuncerò mai. Ma ho fatto una promessa e la manterrò. Ho detto che se preferivi Lord Lovel a me, ti avrei subito liberata dal tuo impegno – che ti avrei offerto la libertà, se questa è la libertà. Te la offro – o meglio, Anna, te l’avrei offerta, se tu non avessi già risposto alla domanda. Come posso offrirla ora?». Poi tacque e rimase a guardarla con occhi intenti. «Ma ecco – ecco; riprenditi la tua parola se vuoi. Se credi sia meglio essere la moglie di un lord, perché si tratta di un lord, anche se non lo ami, piuttosto che appoggiarti al petto dell’uomo che ami – considerati libera da me». Era quello il momento di obbedire alla madre, accontentare gli amici, sostenere il rango e decidere di diventare una delle nobili dame d’Inghilterra, se simile decisione andava presa. Alzò lo sguardo al suo viso e pensò che dopo tutto era più bello di quello del giovane conte. Lui stava in piedi con le narici dilatate e il fuoco negli occhi, le labbra appena dischiuse e la testa alta – un uomo in tutto e per tutto. Anche se lei avesse voluto non avrebbe osato accettare la sua offerta. Di certo non si erano resi conto di chi fosse quell’uomo quando gli avevano concesso quell’incontro. Egli ripeté le parole già dette. «Sei libera, basterà parlare – ma devi rispondermi».
«Ti ho risposto, Daniel».
«Mia nobile ragazza! E ora, unico tesoro del mio cuore, posso parlare chiaro e dirti quel che penso. Non può essere un bene che una donna acquisti rango e ricchezze dandosi a un uomo che non ama. Deve essere un male – un male mostruoso. Non l’ho mai creduto quando me lo dicevano di te. E tuttavia quando non avevo tue notizie né ti vedevo da mesi…».
«Non è stata colpa mia».
«No, amor mio; e ho cercato di trovar conforto dicendolo a me stesso. ‘Se davvero mi ama, sarà leale,’ mi dicevo. Eppure chi ero io per dover pensare che avresti sofferto così tanto per me? Ma ti ripagherò – se la fedeltà e la devozione di una vita intera possono ripagare un simile debito. A ogni modo ascolta: non dubiterò mai più». E mentre parlava si avvicinò a lei, pensando di prenderla tra le braccia, e proprio allora la porta si aprì e la Contessa Lovel entrò nella stanza. Il sarto fu il primo a parlare. «Lady Lovel, ho discusso con vostra figlia ed è suo desiderio aderire all’impegno preso con me nel Cumberland. Non c’è bisogno che dica che è anche il mio desiderio».
«Anna! È vero?».
«Mamma; mamma! Oh, mamma!».
«Se è così non ti rivolgerò mai più la parola».
«Sì, invece, sì, invece! Non guardatemi così. Mi parlerete ancora!».
«Non sarai mai più mia figlia». Nel dire ciò aveva perso la testa, ma poi ricordò quale era il ruolo giusto. «Non ci credo. Quest’uomo è venuto qui e ti ha insultata e spaventata. Sa – deve sapere – che un matrimonio del genere è impossibile. Non potrà mai venir celebrato. Non verrà mai celebrato. Signor Thwaite, come è vero che siete vivo, non arriverà mai per voi il giorno in cui sposerete mia figlia».
«Milady, nella questione del matrimonio vostra figlia senza dubbio deve decidere da sola. Persino ora, per tutte le leggi di Dio – e anche dell’uomo, io credo – lei sfugge al vostro potere tanto di concederla in sposa quanto di non farlo. Tra pochi mesi sarà padrona di sé quanto voi lo siete ora».
«Signore, non vi sto chiedendo informazioni su mia figlia, siete insolente».
«Sono venuto qui, Lady Lovel, perché sono stato mandato a chiamare».
«E ora farete meglio a lasciarci. Avete fatto una promessa che avete infranto».
«Giusto cielo, no. Ho fatto una promessa e l’ho mantenuta. Ho detto che le avrei offerto la libertà, e così ho fatto. Le ho detto, e glielo ripeto ora, che se ammetterà di preferire il cugino a me, io mi ritirerò». La contessa lo guardò e anche lei riconobbe la forza del suo viso, quasi avvertendo che l’uomo era cresciuto in dignità personale da quando aveva ricevuto il denaro che gli spettava. «Lei non preferisce il conte. Ha dato a me il suo cuore, e io ne sono in possesso – e lo custodirò. Alza gli occhi, cara, e dì a tua madre se quel che ho detto è vero».
«È vero», disse Lady Anna.
«Allora che il fuoco dell’inferno vi travolga entrambi!», disse la contessa, correndo verso la porta. Ma tornò indietro. «Signor Thwaite», disse, «vi chiederò ancora una volta di lasciare questa casa e non tornarci mai più».
«Me ne andrò certamente. Arrivederci, amor mio». Cercò di nuovo di prendere la mano della ragazza, ma la contessa, con violenza, si scagliò contro di loro per separarli. «Se solo lo sfiori, ti colpirò», disse alla figlia. «Quanto a voi, è il suo denaro che volete. Se sarà necessario, avrete, non il suo, ma il mio. Ora andate».
«Questa è una calunnia, Lady Lovel. Non voglio il denaro di nessuno. Voglio la ragazza che amo – di cui ho conquistato il cuore; e l’avrò. Buon giorno, Lady Lovel. Cara, cara Anna, per ora addio. Non lasciarti convincere da nessuno che potrei mai venir meno alla mia devozione per te». La ragazza si limitò a guardarlo. Poi lui lasciò la stanza e madre e figlia rimasero sole. La contessa stava dritta, guardando la figlia, mentre Lady Anna, anche lei in piedi, teneva gli occhi fissi sul pavimento. «Devo credere a tutto ciò – a quel che dice quell’uomo?» chiese la contessa.
«Sì, mamma».
«Vuoi dire che hai rinnovato il tuo fidanzamento con quel miserabile di bassa estrazione?».
«Mamma, non è un miserabile».
«Mi contraddici? Dopotutto, a questo si è giunti?».
«Mamma, voi, voi, … mi avete maledetto».
«E tu sarai maledetta. Pensi di compiere una tale malvagità, di poter distruggere tutto quel che ho fatto per te, di poter diventare la causa della rovina di un’intera famiglia, e di non venirne punita? Dici di volermi bene».
«Sapete che vi voglio bene, mamma».
«E tuttavia non hai scrupoli a farmi uscire di senno».
«Mamma, siete stata voi a unirci».
«Figlia ingrata! Dove altro potevo portarti allora?».
«Ma io ero là – e naturalmente lo amavo. Non potevo smettere di amarlo perché... perché dicono che sono una gran dama».
«Ascoltami, Anna. Non lo sposerai mai. Mai. Prima lo ucciderò con le mie mani – oppure ucciderò te». La ragazza rimase a guardare tremando il viso della madre. «Lo capisci?».
«Non dite sul serio, mamma».
«Per il Dio del Cielo, sì! Pensi che mi fermerò davanti a qualcosa ormai, dopo aver fatto così tanto? Pensi che vivrò per vedere mia figlia diventare la moglie di un ripugnante, sporco sarto? No, giusto cielo! Ti dice che quando avrai ventuno anni, non sarai più soggetta al mio controllo. Ti avverto di fare attenzione. Non perderò la mia autorità, a meno che non ti veda sposata a un marito adeguato alla tua sfera di vita. Per il momento vivrai nella tua stanza, come io vivrò nella mia. Non avrò nessuna comunicazione con te, fintanto che non ti avrò costretta a obbedirmi».