C’è un baratro incolmabile

 

 

 

 

 

«Pensi che potresti essere più felice sposando una persona come Daniel Thwaite, una creatura infinitamente inferiore a te, separata come ti troveresti da tutti i tuoi amici e parenti, da tutti coloro del tuo sangue, da me e dalla tua famiglia, di quanto lo saresti portando un nome splendido, la figlia e la moglie di un Conte Lovel – la madre di un futuro conte? Non parlerò ora di dovere, o di appropriatezza, o della felicità degli altri che deve dipendere da te. È naturale che una ragazza badi alla propria felicità sposandosi. Pensi che la felicità per te possa consistere nel chiamare quell’uomo tuo marito?».

Così la contessa parlava alla figlia, che giaceva allora esausta e malata sul letto in Keppel Street. Per tre giorni era stata oggetto di discorsi analoghi e durante quei tre giorni nemmeno una parola gentile le era stata rivolta. La contessa era stata ostinata nella sua durezza – credendo ancora di poter in tal modo piegare lo spirito della figlia, costringendola a rinunciare al fidanzamento. La ragazza era stata mite e, in tutte le altre cose, sottomessa. Non aveva difeso la sua condotta. Non aveva cercato di dire che aveva fatto bene a promettere di diventare la moglie del sarto. Si era mostrata disposta, con il silenzio, a veder considerare il fidanzamento come una grande calamità, come un male terribile che aveva travolto l’intera famiglia Lovel. Non aveva l’ardire di rivolgersi alla madre come si era rivolta al conte sull’argomento. Si affidava completamente alla promessa fatta e parlava del suo destino come se la sua stessa parola l’avesse reso irrevocabile. «Gliel’ho promesso, mamma, e ho giurato che l’avrei fatto». Era quella la risposta che dava ora dal suo letto – la risposta che aveva ripetuto una dozzina di volte negli ultimi tre giorni.

«Tutti coloro che sono legati a te devono essere rovinati perché una volta hai detto una sciocchezza?».

«Mamma, se ne è parlato più volte – molto spesso, ed egli non desidera che qualcuno sia rovinato. Mi ha detto che Lord Lovel potrebbe avere il denaro».

«Sciocca, ingrata ragazza! Non è per Lord Lovel che ti supplico. È per il nome e per il tuo stesso onore. Non preghi costantemente Dio che ti conservi nella sfera di vita ove si è compiaciuto di porti – e non te ne stai allontanando deliberatamente e peccaminosamente con un atto del genere?». Ma Lady Anna continuava a ripetere che era tenuta a onorare l’impegno preso.

Il giorno seguente la contessa si spaventò, credendo che la ragazza stesse davvero male. In verità era malata – al punto da far dichiarare al dottore che la visitò che andava trattata con grande cura. Si trovava in uno stato d’animo tormentato – così disse il dottore – e la si doveva portar via, in modo da divertirla. La contessa si spaventò, ma continuò a esser ferma. Non solo amava la figlia, ma non amava nessun altro essere umano sulla faccia della terra. La figlia era tutto quel che la legava al mondo circostante. Ma disse a se stessa, più e più volte, che sarebbe stato meglio se la figlia fosse morta, piuttosto che vivesse e si sposasse con il sarto. Si trattava di un caso in cui la persecuzione, finanche alle soglie della morte, sarebbe stata saggia e giustificabile – se con una simile persecuzione quell’odioso, mostruoso matrimonio si fosse potuto evitare. E lei era convinta che la persecuzione sarebbe servita alla fine. Se solo fosse stata salda nel suo proposito, la ragazza non avrebbe mai osato reclamare il diritto di lasciare la casa materna per andare in chiesa a sposare Daniel Thwaite, senza l’appoggio di un solo amico. La forza della ragazza non era di tale natura. Ma se lei, la contessa, avesse ceduto di un palmo, allora quella calamità avrebbe potuto travolgerli. Aveva sentito dire che i giovani riescono sempre ad aver la meglio sui genitori, se sono sufficientemente ostinati. I genitori sono indulgenti con i figli e tendono a cedere. E anche lei sarebbe stata indulgente, se gli interessi in gioco fossero stati meno importanti, se il discostarsi dal dovere fosse stato meno allarmante, o l’unione proposta meno mostruosa e disonorevole. Ma nel caso in questione era necessario che fosse ostinata, anche se avesse dovuto esserlo fino alle soglie stesse della morte. «Ti giuro», le disse, «che il giorno delle tue nozze con Daniel Thwaite sarà il giorno della mia morte».

Poiché era in difficoltà andò dall’avvocato Bluestone in cerca di consigli. Ora, l’avvocato fino ad allora era stato contrario a ogni compromesso, sentendosi sicuro che potessero ottenere tutto senza il sacrificio di un singolo diritto. Non aveva niente da dire contro un matrimonio tra due cugini, ma prima bisognava che si lasciasse entrare in possesso di ciò che le spettava la cugina che era l’erede. Che fosse in grado, nell’accettare di divenire Lady Lovel, di pretendere un’assegnazione matrimoniale27 quale sarebbe stata fatta per lei se fosse stata l’indiscussa proprietaria degli averi. Che sposasse pure il lord se voleva, ma che non lo facesse per ottenere il parziale godimento di ciò che le spettava interamente. Inoltre, così l’avvocato aveva argomentato, la contessa vedova non avrebbe mai stabilito in modo irrefutabile il suo diritto al titolo, se si fosse saputo che era stato attuato un compromesso. La gente poteva chiamarla Contessa Lovel; ma, alle sue spalle, avrebbe detto che non era una contessa. L’avvocato era stato assai veemente a riguardo, trovando particolarmente sgradevole l’interferenza di Sir William. Ma ora nel sentire la nuova storia, la sua veemenza venne meno. Si doveva fare tutto quel che era possibile fare – andava fatta ogni cosa per impedire che l’ascesa sociale delle due signore venisse stroncata dal matrimonio con il sarto.

Ma rimase un po’ sgomento quando si rese conto della situazione di Keppel Street. «Come posso non essere severa?» obbiettò la contessa, alle rimostranze di lui. «Se fossi gentile con lei penserebbe che sto per cedere. Non è forse in gioco ogni cosa – ogni cosa a cui è stata dedicata la mia vita?». L’avvocato invitò la moglie a unirsi al concilio e poi suggerì che Lady Anna trascorresse una settimana o due in Bedford Square. Assicurò alla contessa che poteva esser certa che Daniel Thwaite non avrebbe oltrepassato la sua porta.

«Me se Lord Lovel volesse farci l’onore di venirci a trovare, saremmo felicissimi di vederlo», disse l’avvocato.

Lady Anna fu mandata in Bedford Square, dove divenne oggetto di un trattamento più gentile, ma non meno persistente. La signora Bluestone le teneva predicozzi quotidiani, trattandola con il massimo rispetto, mostrando nei confronti del suo rango una deferenza che in realtà non risultava naturale alla buona signora, ma che veniva simulata in modo che Lady Anna potesse meglio comprendere la differenza tra la sua posizione e quella del sarto. Alle ragazze non fu detto nulla del sarto – per evitare che l’onta di una predilezione tanto mostruosa scioccasse le loro giovani menti; ma furono informate della presenza di un pericolo e della necessità, nel rivolgersi all’ospite, di dare sempre per scontato che sarebbe diventata la Contessa Lovel. La sua cameriera, Sarah, andò con lei dall’avvocato e le fu in parte rivelato il segreto. Lady Anna non doveva essere lasciata un momento da sola. Doveva essere una prigioniera in catene dorate – per cui si prospettava uno splendido, un glorioso futuro, se solo lei l’avesse accettato.

«Penso davvero che preferisca il lord», disse la signora Bluestone al marito.

«Allora perché mai non lo sposa?».

Ciò accadeva in ottobre e si avvicinava in fretta la sessione di novembre in cui era stata stabilita la discussione del caso in tribunale.

«Penso quasi che lo farebbe se lui venisse di nuovo a chiederglielo. Naturalmente non ho mai fatto il nome dell’altro uomo; ma quando le parlo del Conte Lovel, mi risponde sempre come se fosse quasi innamorata di lui. Ieri le stavo chiedendo che genere di uomo fosse e lei ha risposto che era praticamene perfetto. ‘È proprio un gran peccato’, ha detto, ‘che non debba avere il denaro. Dovrebbe averlo, perché è il conte’».

«Perché non glielo dà?».

«Gliel’ho chiesto; ma lei ha scosso il capo e ha detto che non sarebbe mai potuto accadere. Credo che quell’uomo le abbia fatto prestare chissà quale terribile giuramento e l’abbia spaventata».

«Senza dubbio le ha fatto prestare un giuramento, ma sappiamo tutti come gli dei giudicano i giuramenti mancati degli innamorati», disse l’avvocato. «Dovremo far venire qui il giovane lord quando tornerà in città».

«È bello?» chiese Alice Bluestone, la figlia più giovane, che in famiglia era diventata l’amica intima di Lady Anna; naturalmente stavano parlando di Lord Lovel.

«Tutti dicono di sì».

«Ma cosa ne dite voi?».

«Non credo che abbia grande importanza per un uomo essere bello, ma lui è bello. Non bruno, come tutti gli altri Lovel; nemmeno quello che si dice biondo. Non mi pare che gli uomini biondi abbiamo mai un aspetto virile».

«Oh, no», disse Alice, che meditava il fidanzamento con un giovane patrocinatore dai capelli neri.

«Lord Lovel è castano con gli occhi azzurri; ma è la forma del suo viso a essere così perfetta: un ovale, sapete, che non è troppo lungo. Ma non è quello che gli dà l’aria che ha. Ha l’aria che tutti al mondo debbano fare esattamente quel che lui dice loro».

«E allora perché voi, cara, non fate esattamente quel che vi dice?».

«Ah, si tratta di un’altra questione. Farei molte cose se me lo chiedesse. È a capo della nostra famiglia. Penso che dovrebbe avere lui tutto quel denaro e diventare un uomo ricco e importante, quale dovrebbe essere il Conte Lovel».

«E tuttavia non diventerete sua moglie?».

«Voi lo diventereste se vi foste promessa a un altro uomo?».

«Vi siete promessa a un altro uomo?».

«Sì, l’ho fatto».

«Chi è, Lady Anna?».

«Non ve lo hanno detto, allora?».

«No, nessuno me lo ha detto. So che tutti vogliono che sposiate Lord Lovel e so che lui lo vuole. So che è proprio innamorato di voi».

«Ah, non credo sia così. Ma se lo fosse, non farebbe differenza. Se aveste dato la vostra parola a un uomo, tornereste indietro perché un lord vi ha chiesto in moglie?».

«Non penso che darei mai la mia parola senza consultare la mamma».

«Se fosse stato buono con voi, e voi l’aveste sempre amato ed egli fosse stato il vostro miglior amico, che fareste allora?».

«Chi è, Lady Anna?».

«Non chiamatemi Lady Anna, o non vi vorrò più bene. Ve lo dirò, ma non dovrete rivelare che ve l’ho detto. Solo pensavo che tutti sapessero. L’ho detto a Lord Lovel e credo che lui ne abbia informato tutto il mondo. È il signor Daniel Thwaite».

«Il signor Daniel Thwaite!» esclamò Alice, che conosceva abbastanza il caso da sapere chi fossero i Thwaite. «È un sarto!».

«Sì», disse Lady Anna orgogliosamente, «è un sarto».

«Di sicuro non può essere un bene», disse Alice, che avendo realizzato da molto tempo cosa significasse essere la figlia di un avvocato di prima classe, aveva deciso che non avrebbe sposato qualcosa di meno di un patrocinatore.

«È quel che definireste un male, suppongo».

«Non penso che un sarto possa essere un gentiluomo».

«Non so. Forse io non ero una signora quando ho promesso di sposarlo. Ma ho promesso. Non saprete mai quello che lui e il padre hanno fatto per noi. Credo che saremmo morte se non fosse stato per loro. Non sapete come vivevamo – in un piccolo cottage, quasi senza denaro, senza che nessuno si avvicinasse a noi, a parte loro. Tutti gli altri ritenevano che fossimo ignobili e malvagie. Davvero. Ma loro sono sempre stati buoni con noi. Voi non lo avreste amato?».

«L’avrei amato in modo diverso».

«Quando si riceve così tanto, si deve dare in cambio quel che si ha da dare», disse Lady Anna.

«Lo amate ancora?».

«Naturalmente lo amo».

«E desiderate diventare sua moglie?».

«Talvolta penso di no. Non è che mi vergogni per me. Non avrebbe avuto importanza se me ne fossi andata via con lui direttamente dal Cumberland, prima di aver mai visto i miei cugini. Se la mamma non fosse stata una contessa…».

«Ma lo è».

«Così dicono ora, ma se avessero detto che non lo era, nessuno avrebbe ritenuto sbagliato da parte mia sposare il signor Thwaite».

«Voi non lo ritenete sbagliato?».

«Sarebbe meglio se dicessi che non sposerò mai nessuno. Lui si arrabbierebbe molto con me».

«Lord Lovel?».

«Oh, no; non Lord Lovel. Daniel sarebbe molto arrabbiato, perché mi ama davvero. Ma non sarebbe così terribile per lui come se diventassi la moglie di Lord Lovel. Vi dirò la verità, cara. Mi vergogno di sposare il signor Thwaite – non per me, ma perché sono la cugina di Lord Lovel e la figlia della mamma. E mi vergognerei di sposare Lord Lovel».

«Perché, cara?».

«Perché sarei falsa e ingrata! Avrei paura di stare davanti a lui se mi guardasse. Non sapete come può guardarvi. Anche lui sa comandare. Anche lui è nobile. Credono che voglia il denaro, e nel dire che è un sarto pensano che debba di necessità essere meschino. Non è meschino. È intelligente e sa parlare delle cose meglio di mio cugino. È in grado di lavorare duramente e di dar via tutti i suoi guadagni. E così faceva il padre. Ci hanno dato tutto quel che avevano, e senza mai chiederne la restituzione. Una volta l’ho baciato – e lui allora disse che avevo pagato tutti i debiti di mia madre». Alice Bluestone si ritrasse tra sé e sé quando la figlia della contessa le raccontò di un simile gesto. Per la sua mente era orribile che un sarto venisse baciato da una Lady Anna Lovel. Ma lei stessa era forse stata altrettanto generosa con il giovane patrocinatore bruno e non l’aveva ritenuto un male. «Credono che io non capisca, ma io capisco. Tutti vogliono questo denaro e poi accusano lui e dicono che lo fa per potersi arricchire. Rinuncerebbe a tutto il denaro – solo per me. Come vi sentireste se foste nella stessa situazione?».

«A mio parere una ragazza che sia una gentildonna non dovrebbe mai sposare un uomo che non sia un gentiluomo. Conoscete la storia del ricco che non poteva raggiungere il paradiso perché c’era un baratro incolmabile. È così che dovrebbe essere – come per i reali che devono sposarsi con altri reali. Altrimenti tutto finirebbe con il mischiarsi e ben presto sparirebbero le differenze. Se è previsto che ci siano differenze, le differenze dovrebbero rimanere. È questo il significato di essere un gentiluomo – o una signora». Così parlava la giovane conservatrice con saggezza superiore ai suoi anni – né parlò del tutto invano.

«Credo che la cosa migliore da fare per me sarebbe morire», disse Lady Anna. «Tutto si aggiusterebbe allora».

Un paio di giorni dopo l’avvocato Bluestone, di ritorno a casa dal tribunale, mandò un messaggio a Lady Anna con la richiesta di fargli la grande cortesia di recarsi da lui nello studio. L’avvocato, da quando lei era nella sua casa, l’aveva trattata con maggiore deferenza di quella che le era dovuta per il suo rango, nel tentativo di insegnarle cosa volesse dire essere la figlia di un conte e la probabile proprietaria di ventimila sterline l’anno. All’avvocato, a volergli riconoscere i suoi meriti, importava ben poco dei titoli nobiliari. Si toglieva il cappello solo davanti a un giudice – e non sempre con gran sfoggio di rispetto. Ma ormai la sua condotta faceva parte dei doveri nei confronti di una cliente di cui voleva veder riconosciuti i diritti. Le avrebbe porto la tazza di tè in ginocchio ogni mattina, se così facendo fosse riuscito a rendere chiaro agli occhi di lei quanto profonda sarebbe stata la sua degradazione se avesse sposato il sarto. Il messaggio le venne portato dalla signora Bluestone, che quasi si scusò per averle chiesto di disturbarsi a scendere nel salotto sul retro. «Mia cara Lady Anna», disse l’avvocato, «posso chiedervi di accomodarvi per un momento o due mentre vi parlo? Ho appena lasciato vostra madre».

«Come sta la cara mamma?». L’avvocato le assicurò che la contessa godeva di buona salute. Lady Anna non era andata a trovare la madre da quando aveva lasciato Keppel Street, e le era stato detto che Lady Lovel rifiutava di vederla finché lei non avesse promesso di non sposare mai Daniel Thwaite. «Vorrei così tanto poter andare dalla mamma!».

«Con tutto il cuore vorrei lo faceste, Lady Anna. Nulla causa tanto lacerante dolore quanto una lite in famiglia. Ma che posso dire? Sapete quel che pensa vostra madre?».

«Non potreste fare in modo che mi lasci tornare là almeno una volta?».

«Spero che ci riusciremo, ma voglio che prima mi ascoltiate. Lord Lovel è tornato a Londra». Lady Anna compresse le labbra e strinse le mani una sull’altra con decisione. Se la promessa che le veniva richiesta fosse mai stata estorta, non lo sarebbe stata dall’avvocato Bluestone. «Ho visto sua signoria oggi», continuò l’avvocato, «ed egli mi ha fatto l’onore di promettere che pranzerà qui domani».

«Lord Lovel?».

«Sì, vostro cugino, il Conte Lovel. Non c’è ragione, suppongo, perché voi non lo incontriate. Non vi ha offeso?».

«Oh, no. Ma io ho offeso lui».

«Credo di no, Lady Anna. Non parla di voi come se fosse offeso».

«Quando ci siamo separati non mi ha quasi degnato di uno sguardo, perché gli ho detto… Sapete quel che gli ho detto».

«Un gentiluomo non necessariamente si offende perché una signora non accetta la sua prima offerta. Molti gentiluomini si offenderebbero se succedesse il contrario – e moltissimi matrimoni felici non avrebbero mai la possibilità di realizzarsi. A ogni modo verrà, e pensavo che forse mi avreste scusato se mi sforzo di spiegare quanto può dipendere dal modo in cui lo riceverete. Vi dovreste essere resa conto che le cose non stanno andando molto bene ora».

«Sono talmente infelice, avvocato Bluestone!».

«Sì, davvero. Deve essere così. È probabile che vi troverete – penso di poter dire che certamente vi troverete – in una posizione per cui la prosperità di un’antica e nobile famiglia dipenderà da quel che farete. Con una parola potrete far di nuovo risplendere un nobile nome che per lungo tempo è stato sotto una nube. Qui in Inghilterra il bene dello stato dipende dalla condotta della nostra aristocrazia!». Oh, avvocato Bluestone, avvocato Bluestone! Come avete potuto smentire a tal punto le vostre opinioni dando voce a un sentimento opposto alle vostre convinzioni! Ma che non farebbe un legale per i clienti? «Se coloro che il Fato e la Fortuna hanno innalzato, dimenticano quel che il paese ha diritto di domandar loro, addio, ahimè, alla gloria della vecchia Inghilterra!». Aveva trovato molto efficace questo genere di eloquio con una giuria di dodici uomini, e di certo sarebbe riuscito a convincere una povera ragazza. «Non spetta a me, Lady Anna, imporvi la scelta di un marito. Ma è divenuto mio dovere mostrarvi l’importanza della vostra scelta e spiegarvi, se ciò sia possibile, che voi non siete come le altre signorine. Avete nelle vostre mani l’opportunità di rovinare o di fare la fortuna dell’intera famiglia Lovel. Quanto alla proposta di matrimonio a cui siete stata indotta a prestare orecchio da sentimenti di gratitudine, se venisse portata a compimento, arrecherebbe desolazione nel petto di ogni parente a cui siete legata da stretti vincoli di nobile sangue». Egli terminò il suo discorso e Lady Anna si ritirò senza una parola.

Lady Anna
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