Troppo grave per i segreti

 

 

 

 

 

Quella notte il giovane lord continuò a pensare alla sua futura condotta – a quel che il dovere e l’onore richiedevano da lui, e al miglior modo di poter accordare dovere e onore con i suoi interessi. In tutte le emergenze della sua breve vita egli aveva avuto fino ad allora qualcuno che lo consigliasse – qualche amico più anziano di cui poteva seguire il consiglio, anche se dava l’impressione di non servirsene quando gli veniva offerto. Aveva sempre un po’ disdegnato zia Julia, ma tuttavia zia Julia gli era stata molto utile. Recentemente, dalla morte del conte, quando gli era toccata, come prima difficoltà, la necessità di far annullare il testamento di quel pazzo, il signor Flick era stato il suo principale consigliere; ma ciononostante in tutte le comunicazioni con il signor Flick egli aveva dato a intendere di non dipendere da nessuno e di essere la propria guida. Ora pareva dovesse davvero far da guida a se stesso, ma non sapeva come farlo. Di una cosa si sentiva sicuro. Doveva andarsene da Yoxham e affrettarsi a Londra.

Era giusto che mantenesse il segreto della cugina; ma non l’avrebbe mantenuto con santità sufficientemente rigorosa se l’avesse comunicato a un amico fedele – un amico che fosse tenuto a non divulgarlo ulteriormente senza il suo consenso? In tal caso, il vice-procuratore generale doveva essere quell’amico. Si era sviluppata tra il grande avvocato e il suo nobile cliente una certa familiarità, non fatta di frequentazioni sociali, ma comunque sufficientemente stretta, come riteneva Lord Lovel, da permettere una simile confidenza. Aveva cominciato a rendersi conto che senza un aiuto del genere non avrebbe saputo come condursi. Senza dubbio la ricchezza della presunta ereditiera era diventata più preziosa per lui – era diventata perlomeno più importante – da quando aveva saputo di doverla probabilmente perdere. Sir William Patterson era un gentiluomo oltre che un avvocato – un uomo che non si era semplicemente innalzato al rango legale con la diligenza e l’intelletto, ma un perfetto gentiluomo, che aveva frequentato una scuola privata e aveva vissuto tutta la vita con gente di un certo tipo. Sir William era il suo patrocinatore ed egli avrebbe affidato il segreto di Lady Anna alla custodia di Sir William.

A quel tempo c’era una carrozza che partiva da York a mezzogiorno per raggiungere Londra il giorno dopo di primo mattino. Sarebbe partito con quella carrozza e avrebbe così evitato la necessità di dover trascorrere molto altro tempo con la famiglia prima di aver deciso quale sarebbe stata la sua condotta. Ma prima di partire doveva vedere la cugina. Quindi le fece avere un biglietto quando lei era ancora in camera il mattino seguente:

 

Cara Anna,

ho intenzione di partire per Londra più o meno tra un’ora e desidero dirvi una parola prima di andare. Volete incontrarmi alle nove in salotto? Non menzionate la mia partenza allo zio e alle zie, perché sarà meglio che gliene parli io stesso.

Il vostro L

Dieci minuti prima delle nove Lady Anna era ad attenderlo in salotto e dieci minuti dopo le nove lui la raggiunse.

«Scusatemi per avervi fatto aspettare». Lei gli diede la mano e disse che non importava proprio. Lei arrivava sempre in anticipo. «Ho scoperto di dover andare subito a Londra», disse lui. Al che lei non rispose nulla, sebbene lui sembrasse aspettarsi una qualche risposta. «Innanzitutto, non potrei rimanere qui con serenità dopo quel che mi avete detto ieri».

«Mi dispiacerebbe mandarvi via. È casa vostra; e poiché io dovrò lasciarla presto, non sarebbe meglio se me ne andassi subito?».

«No; cioè, credo di no. Me ne andrei a ogni modo. Non ho detto a nessuno di loro quel che mi avete rivelato ieri».

«Ne sono lieta, Lord Lovel».

«Sta a voi rivelarlo se va fatto».

«Ho riferito a vostra zia Jane… che voi e io non potremo mai essere quel… che avete detto di volere».

«Lo volevo davvero di tutto cuore. Non avete detto… tutto».

«No, non tutto».

«Mi avete così sbalordito, che non sono riuscito a parlarvi come avrei dovuto fare. Non volevo essere scortese».

«Non vi ho trovato scortese, Lord Lovel. Ero certa che non sareste stato scortese con me».

«Ma voi mi avete sbalordito. Non che abbia una grande opinione di me, o del rango che mi appartiene. So che ho ben poco di cui essere orgoglioso. Sono molto povero – e non brillante come certi giovani che non hanno grandi patrimoni, ma che possono diventare degli statisti e cose del genere. Ma attribuisco grande importanza al mio ceto; attribuisco grande importanza all’essere un gentiluomo – e, per una donna, all’essere una signora. Mi capite?».

«Oh, sì… vi capisco».

«Se siete Lady Anna Lovel…».

«Sono Lady Anna Lovel».

«Credo che lo siate con tutto il cuore. Vi esprimete come se lo foste e ne avete l’aspetto. Siete degna di qualsiasi posizione. Tutto parla a vostro favore. Io ci credo davvero. Ma se è così…».

«Ebbene, Lord Lovel, se è così?».

«Di sicuro non scegliereste di… di… di disonorare il vostro rango. Questa è la verità. Se sono vostro cugino, e il capo della vostra famiglia, ho diritto di parlarvi in tal modo. Quel che mi avete detto sarebbe un disonore».

Lei pensò per un attimo e poi gli rispose: «Non sarebbe una vergogna».

Anche lui si trovò costretto a riflettere prima di poter parlare di nuovo. «Pensate che potrebbero piacervi le persone con cui verreste a trovarvi se foste sposata al signor Thwaite?».

«Non so chi sarebbero. Lui sarebbe il mio compagno, e a me lui piace. Lo amo molto. Ecco! Non c’è bisogno che mi diciate nulla, Lord Lovel. So tutto. Lui non è come voi – e io, quando sarò diventata sua moglie, non sarò come vostra zia Jane. Non vedrò mai più persone simili, suppongo. Non vivremo qui in Inghilterra – così sfuggirò al disprezzo dei miei cugini. So quel che sto facendo e perché lo sto facendo – e non credo che dovreste tentarmi».

Sapeva perlomeno di essere soggetta alla tentazione. Lui se ne accorgeva e ne era lusingato. «Non desidero tentarvi, ma vorrei salvarvi dall’infelicità se mi fosse possibile. Un matrimonio del genere sarebbe innaturale. Non conosco il signor Thwaite».

«Allora, milord, non conoscete un uomo eccellente, che, dopo mia madre, è il mio miglior amico».

«Ma non può essere un gentiluomo».

«Non so, ma so che posso diventare sua moglie. È tutto, Lord Lovel?».

«Non tutto. Ho paura che ci ritroveremo addosso in qualche modo questa logorante azione legale. Non sono in grado di dire se ho il potere di fermarla volendo. Dovrò in parte farmi guidare da altri».

«Non posso far nulla. Se potessi non chiederei nemmeno il denaro per me».

«No, Lady Anna. Voi e io non possiamo decidere. Dovrò incontrare di nuovo il mio legale. Non intendo il procuratore legale, ma Sir William Patterson, il vice-procuratore generale. Posso riferirgli quel che mi avete detto ieri?».

«Non posso impedirvelo».

«Ma potete darmi il vostro permesso. Se mi promette di tenere la cosa per sé – posso dirglielo allora? Non saprei bene che fare a meno che lui non sappia tutto quel che so io».

«Ben presto lo sapranno tutti».

«Nessuno lo saprà da me, soltanto lui. Ditemi che posso riferirglielo».

«Oh, sì».

«Vi sono molto obbligato persino per questo. Non riesco a dirvi quanto speravo, ieri mattina quando mi sono alzato a Bolton Bridge, di dovervi essere obbligato per avermi reso l’uomo più felice d’Inghilterra. Dovete perdonarmi se dico che spero ancora nel profondo del cuore che quest’infatuazione si possa far cessare. E ora arrivederci, Lady Anna».

«Arrivederci, Lord Lovel».

Lei andò subito in camera sua e mandò dabbasso la cameriera a dire che non sarebbe scesa per le preghiere né per la colazione. Non l’avrebbe rivisto prima della sua partenza. Era molto probabile che i suoi occhi si fossero posati sulla figura di lui per l’ultima volta. Come era bello, come era dotato di grazia, come simile a un dio! Come aveva trovato piacevole stare vicino a lui; come era stata colma di ineffabile dolcezza ogni cosa che lui aveva toccato, ogni cosa di cui le aveva parlato! L’aveva quasi sopraffatta, come se lei avesse mangiato il loto.22 E lei non sapeva se la malia venisse dal cielo o dall’inferno. Ma per certo sapeva di aver lottato contro di essa – per via della parola data, e perché aveva un debito che la falsità e l’ingratitudine avrebbero mal ripagato. Lord Lovel l’aveva chiamata Lady Anna poco prima. Ah, sì; come era buono! Quando diventava importante per lei che lui ne riconoscesse il rango, egli lo faceva immediatamente. Aveva abbandonato il titolo solo quando, una volta riconosciuto, era diventato uno scoglio per lei. Ora si era allontanato e, se ciò era possibile, avrebbe smesso persino di fantasticare su di lui.

«Suppongo, Frederic, che il matrimonio non si farà» gli disse il rettore mentre lui saliva sul calesse davanti alla porta del rettorato.

«Non posso dirlo. Non lo so. Penso di no. Ma, zio, mi fareste il piacere di non parlarne per ora? Saprete tutto prestissimo».

Il rettore rimase in piedi sulla ghiaia, guardando il calesse mentre scompariva, con le mani nelle tasche dei pantaloni clericali e con profondi segni di irritazione sul viso. Andava benissimo essere lo zio di un conte, e con i propri averi fare quel che si poteva per essere d’aiuto, e se possibile sconfiggere la povertà del nipote. Ma di certo qualcosa gli era dovuto! Non era per il suo piacere, non era per qualcosa che potesse ottenere che riceveva al rettorato come un’ospite onorata quella ragazza – che era costretto a chiamare Lady Anna, anche se non sarebbe mai riuscito a credere che lo fosse, che la moglie e la sorella chiamavano cugina Anna, sebbene lui pensasse ancora che non era, e non poteva essere, cugina di qualcuno. E ora il nipote se ne era andato e la ragazza restava. E lui non doveva sapere se ci sarebbe stato un matrimonio o meno! «Non posso dirlo. Non lo so. Penso di no». E poi gli veniva chiesto laconicamente di non fare altre domande. Che doveva fare con la ragazza? Mentre il giovane conte e i legali stavano ancora considerando la questione della sua legittimità, la ragazza – che fosse Lady Anna o una cugina o una semplice nullità che tentava di derubare la famiglia – gli veniva lasciata tra le mani! Perché – oh, perché si era lasciato distogliere dalla sua opinione? Perché mai aveva permesso che venisse invitata al suo rettorato? Ah, come quel titolo gli si bloccò in gola quando le chiese di bere il tradizionale bicchiere di vino con lui quella sera!

Quando raggiunse Londra, verso la fine di agosto, Lord Lovel scoprì che il vice-procuratore generale era fuori città. Sir William era andato nel Sommersetshire con l’intenzione di dire qualche parola di conforto ai suoi elettori. Il signor Flick non sapeva nulla dei suoi spostamenti; ma si trovò il suo impiegato, e il suo impiegato non lo attendeva di ritorno a Londra fino a ottobre. Ma in risposta a una lettera di Lord Lovel, Sir William si accinse a tornare per un giorno. Sir William era un uomo che riconosceva pienamente l’importanza del caso che aveva per le mani.

«Fidanzata con il sarto – è così?» disse, ma senza alcuna espressione di sorpresa.

«Ma, Sir William, non dovete ripeterlo, nemmeno al signor Flick, o al signor Hardy. Ho promesso a Lady Anna che si fermerà a voi».

«Se tiene fede all’impegno, non lo si potrà tenere segreto per molto – né lei lo vorrebbe. È esattamente quel che potevamo aspettarci, sapete».

«Non direste così se la conosceste».

«Mmm. Sono più vecchio di voi, Lord Lovel. Vedete, non aveva nessun altro vicino a lei. Una ragazza deve affezionarsi a qualcuno, e chi c’era là? Non dovremmo essere arrabbiati con lei».

«Ma mi sconvolge talmente».

«Beh, sì. Per quel che ne so, lui e il padre sono stati sempre al loro fianco – e lo erano anche quando sembravano esserci ben poche speranze. Ma possono essere ripagati per tutto quel che hanno fatto con un interesse meno alto. Se lei non lo lascia, nessuno potrà spuntarla su di lui. Quel che intendo è che lui ha giocato in modo corretto. Ha corso il rischio e lo ha fatto in modo coraggioso». Il conte non riusciva proprio a capire Sir William, che sembrava mostrare un’opinione quasi favorevole del mostruoso fidanzamento. «Quel che intendo è che nessuno potrà toccarlo, o trovargli da ridire. Non l’ha portata via per organizzare un matrimonio prima che lei fosse maggiorenne. Non le ha impedito di frequentare gli amici. Non le ha… fatto torto, suppongo».

«Ritengo che le abbia fatto un torto terribile».

«Ah, beh. Intendiamo cose diverse. Sono obbligato a considerare la situazione come la considererà il mondo».

«Pensate alla vergogna di un simile matrimonio – con un sarto».

«Il cui padre ha anticipato alla madre di lei cinque o seimila sterline per aiutarla a riconquistare la sua posizione. È la verità pura e semplice. Dobbiamo considerare la cosa sotto tutti gli aspetti, sapete».

«Pensate, allora, che non si debba fare nulla?».

«Penso che si debba fare tutto il possibile. Abbiamo la madre dalla nostra parte. Molto probabilmente potremo avere il vecchio Thwaite dalla nostra parte. Da quel che dite, è possibile che proprio in questo momento la ragazza stessa sia dalla nostra parte. Che resti a Yoxham per tutto il tempo che potete farcela rimanere, e che venga fatto di tutto per lusingarla e divertirla. Tornate là e fate bene l’innamorato come non dubito sappiate fare». A quel punto era chiaro che il grande esperto legale non riteneva che un conte dovesse vergognarsi di fare la corte a una dama che aveva confessato il suo attaccamento a un sarto alle altrui dipendenze. «Sarà un problema per tutti noi, ovviamente, perché dovremo cambiare i nostri piani quando il caso verrà discusso a novembre».

«Ma pensate ancora che sia lei l’erede?».

«Con tale convinzione che ne sono praticamente sicuro. Non avremmo in realtà un solo argomento in grado di reggere e non potremmo combattere. Tanto vale che vi dica subito, milord, che non potremmo farlo con la minima speranza di successo. E cosa ci guadagneremmo se ci riuscissimo? Nulla! A meno di poter dimostrare che la vera moglie era morta, ci troveremmo ad aver lottato per quella italiana, che sono assolutamente convinto sia un’imbrogliona».

«Allora non c’è nulla da fare?».

«Molto poco in tal modo. Ma se la signorina è decisa a sposare il sarto, penso che dovremmo semplicemente comunicare che ritiriamo la nostra opposizione alle signore inglesi e dichiarare di averne informato la donna che rivendica i suoi diritti e si fa chiamare contessa in Sicilia; e dovremmo far sapere all’italiana che abbiamo agito così. In tal caso, per quel che se ne sa qui, lei potrebbe farsi avanti con una propria azione legale. Troverebbe uomini qui che sarebbero prontissimi a occuparsene per speculare. Ci sarebbe una varietà di complicazioni e senza dubbio un enorme ritardo. Nel qual caso noi dovremmo esaminare in modo estremamente minuzioso la natura dei beni; perché, per quel che ho visto finora, una parte di essi potrebbe spettare a voi, in quanto beni immobili. Sono di natura molto diversa – e non è sempre facile stabilire subito quali siano i beni immobili e quali i personali. Finora è risultato che voi state impugnando il diritto della vedova inglese al suo rango e non siete apparso necessariamente come reclamante dei beni. La vedova italiana, se è una vedova, sarebbe l’erede, e non vostra signoria. Per questo, tra le altre ragioni, il matrimonio risulterebbe estremamente opportuno. Se la contessa italiana dovesse riuscire a dimostrare che il conte quando sposò la signorina Murray aveva una moglie vivente, – che io sono certo non avesse – allora dovremmo nuovamente farci avanti e sforzarci di mostrare che la prima moglie è morta da tempo – come il conte stesso ha senza dubbio dichiarato più di una volta. Passerebbe molto tempo prima che il sarto ottenesse i soldi con la moglie. I sentimenti della corte sarebbero contro di lui».

«Potremmo comprare il sarto?».

Il vice-procuratore generale si massaggiò la gamba prima di rispondere.

«Il signor Flick sarebbe in grado di rispondere a questa domanda meglio di me. In effetti, il signor Flick dovrebbe essere informato di tutto. La questione è troppo grave per i segreti, Lord Lovel».

Lady Anna
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