Daniel e il legale

 

 

 

 

 

Si era detto che la contessa, nel mandare la figlia a Yoxham, aveva preparato i suoi piani con la convinzione che i rapporti che la figlia avrebbe stretto tra i Lovel le avrebbero riempito il cuore di nuovo desiderio per il genere di vita scoperto nella famiglia del rettore – ed aveva avuto ragione. Anche Daniel Thwaite sapeva che ciò sarebbe successo. Era stato ben consapevole che lui e la sua conversazione ne sarebbero risultati sviliti, e che la sua capacità, tanto di riuscire gradito quanto di dominare, sarebbe stata sminuita dalle nuove amicizie. Ma, anche se avesse potuto impedirle di andare, non l’avrebbe fatto. Nessuno di coloro che erano ormai interessati alla sua condotta sapeva alcunché del carattere di quell’uomo. Sir William Patterson gli aveva riconosciuto una certa onestà, ma nemmeno lui si era accorto – non aveva avuto l’opportunità di accorgersene – della inossidabile rettitudine che costituiva invero l’ossatura portante di quell’uomo in tutte le sue azioni. Era ambizioso, insoddisfatto, scontroso e tirannico. Detestava l’altrui dominio, ma era egli stesso incline a dominare. Tendeva a pensar male di tutti coloro che gli erano superiori per rango e l’età felice che attendeva sarebbe stata creata con la graduale eliminazione di tutte le distinzioni sociali. I cosiddetti gentiluomini per lui erano come dei selvaggi, che andavano cancellati perché potesse infine realizzarsi quella perfezione che il corso della natura doveva produrre in obbedienza ai dettami del Creatore. Ma era un uomo che rispettava profondamente tutte le leggi – e una legge, se riconosciuta come tale, era per lui una legge sia che venisse fatta rispettare con la minaccia di sanzioni, sia che esigesse semplicemente obbedienza dalla coscienza. Quella ragazza si era trovata sul suo cammino, ed egli l’aveva prima compatita e poi amata sin dall’infanzia. Era stata danneggiata dalla demoniaca malvagità del suo stesso padre – e quel padre era un conte. Egli era stato molto energico nel combattere per i diritti della madre di lei – non perché fosse diritto della madre essere una contessa, ma in opposizione al conte. All’inizio – in verità per tutti quegli anni di lotte, tranne che nell’ultimo anno – si era trattato di una questione di diritto, non di denaro. Alla moglie spettavano i debiti mezzi di sostentamento, ma in che misura Daniel non l’aveva mai saputo né si era informato; alla figlia invece non era mai spettato nulla. Il conte, se avesse fatto testamento prima di impazzire, – o, più probabilmente, se non avesse distrutto, una volta impazzito, il testamento fatto in precedenza, – avrebbe potuto lasciare la ragazza senza uno scellino. In quel periodo, quando l’amore di Daniel andava sbocciando lentamente, quando vagava con la bambina tra le rocce, quando la fanciulla crescendo aveva imparato a promettergli che lui sarebbe sempre stato il più caro dei suoi amici, quando l’amore del ragazzo era diventato la passione dell’uomo, non c’era stata nemmeno l’idea dei soldi. Soldi! Non era forse stato consapevole, fin da quando aveva cominciato a capire l’importanza del denaro per nobili scopi, che i guadagni del padre, che avrebbero reso per lui il mondo una terra promessa, venivano profusi al servizio di quelle donne abbandonate? Non si era mai lamentato. Tutto era a loro disposizione. Quella ragazza per lui rappresentava il mondo intero, ed era giusto che tutto venisse speso; come se lei fosse stata una sorella, come se lei fosse già stata sua moglie. Allora non c’era stato nessun complotto per arricchirsi grazie alla fortuna del conte. Poi era arrivato il testamento, e le rivendicazioni del giovane conte, nonché la generale convinzione degli uomini di ogni ambiente che il giovane conte avrebbe ottenuto tutto. Quel che rimaneva dei risparmi del sarto continuava a venir speso per la contessa. La prima parcella che giunse nella tasca dell’avvocato Bluestone veniva dalle riserve depauperate del vecchio Thomas Thwaite. Dopo di che il testamento era stato annullato e gradualmente la causa della contessa aveva finito con l’essere in ascesa. Doveva allora abbandonare il suo amore, confessarsi indegno e sgattaiolare via da lei perché la ragazza sarebbe divenuta un’ereditiera? Doveva anche solo pensare così male di lei da credere che avrebbe rinnegato il proprio amore perché era un’ereditiera? Non c’era in lui una simile umiltà né una tale assenza di autostima. Ma per quel che riguardava lei, egli si era subito detto che la ragazza avrebbe avuto la possibilità di essere meschina e nobile – del tutto meschina e del tutto nobile per quanto titolo nobiliare e posizione sociale potevano renderla tale, se era ciò che desiderava. Era andato da lei e le aveva offerto la libertà – l’aveva fatto, in realtà, con un linguaggio così bruciante di indignata protesta contro le dorate attrattive dell’innamorato interessato, che l’avrebbe spaventata impedendole di accettare l’offerta, se lei avesse avuto l’intenzione di accettarla. Le sue parole erano state brucianti, non allo scopo premeditato di vanificare l’apparente liberalità, ma perché la sua natura era passionale e il suo temperamento imperioso. Quel giovane lord in bolletta era pronto a sposare la sua promessa sposa – la ragazza che aveva conosciuto e aiutato per tutta la vita trascorsa insieme – solo perché lei era ricca. Dal profondo del cuore disprezzava il giovane lord. Si era detto decine di volte che sarebbe stato felice di vedere il lord prendersi il denaro, sperperarlo tra ladri e prostitute per ritornare in bolletta, mentre lui invece aveva la ragazza seduta alla sua tavola con cui dividere i guadagni dell’onesto lavoro. Naturalmente aveva detto quel che pensava. Ma la ragazza sarebbe stata libera di fare quel che voleva.

Non le scrisse nemmeno una riga prima che partisse, né mentre si trovava a Yoxham, non disse nemmeno una parola che la riguardasse durante la sua assenza. Ma mentre sedeva al lavoro o faceva avanti e indietro tra casa e negozio, o giaceva insonne a letto, tutti i suoi pensieri erano per lei. Due o tre volte alla settimana bussava alla porta della camera della contessa e diceva un paio di parole, cosa resa naturale dai rapporti di lunga data. Ma non c’erano più stati tra di loro rapporti di amicizia. La contesa non gli rivelava nulla dei suoi piani; né lui le parlava mai dei propri. Ognuno sospettava dell’altro ed entrambi erano sgradevolmente educati. Un paio di volte la contessa espresse la speranza che il denaro prestato da Thomas Thwaite potesse venir presto restituito con ampio interesse. Daniel trattava sempre l’argomento con nobile indifferenza. Suo padre, diceva, non aveva rimpianto nemmeno per un’ora di essersi separato dal denaro. Se, per caso, gli fosse tornato indietro, egli l’avrebbe accettato senza dubbio, con gratitudine.

Poi una sera seppe, mentre tornava dal lavoro, che la contessa il mattino seguente si sarebbe trasferita in un’altra casa. La donna della pensione, che lo informò, non sapeva dove la contessa avesse stabilito il futuro domicilio. Egli salì nella sua camera, si lavò le mani e immediatamente scese dalla compagna di pensione. Dopo i primi normali saluti, che furono freddi e quasi sgarbati, egli formulò subito la sua domanda. «Mi dicono che ve ne andate domani, Lady Lovel». La contessa esitò per un attimo e poi chinò il capo. «Dove andrete a vivere?». Lei esitò ancora, e per un lasso di tempo maggiore, perché doveva pensare a che risposta dargli. «Avete delle obbiezioni a che io lo sappia?» chiese lui.

«Sì, signor Thwaite, sono contraria».

In quel momento egli fu investito dal ricordo di tutto ciò che lui e il padre avevano fatto, e non dal pensiero di quel che lui intendeva fare. Ecco la gratitudine di una contessa! «In tal caso naturalmente non insisterò. Avevo sperato che fossimo amici».

«Naturalmente siamo amici. Vostro padre è stato il miglior amico che abbia mai avuto. Scriverò a vostro padre per informarlo. Sono tenuta a informare vostro padre di tutto quel che faccio. Ma attualmente il caso è nelle mani dei miei legali, e loro mi hanno consigliato di non dire a nessuno a Londra dove vivrò».

«In tal caso buona sera, Lady Lovel. Scusatemi per aver disturbato». Egli lasciò la stanza senza un’altra parola, scuotendosi la polvere dai piedi mentre se ne andava violentemente indignato. Loro due dovevano ormai essere nemici. Gli aveva detto che si sarebbe allontanata da lui e che dovevano rimanere divisi. Si sarebbe potuto aspettare di meglio da una contessa dichiarata? Ma come sarebbe andata con Lady Anna? Anche lei aveva un titolo nobiliare. Anche lei sarebbe stata ricca. Poteva diventare una contessa se lo voleva. Che gli comunicasse solo con un unico gesto che lo desiderava, ed egli se ne sarebbe immediatamente andato all’estremità del globo, a vivere in un mondo che non fosse contaminato da nobili lord e dame titolate. Comunque la contessa avrebbe anche potuto dargli il suo indirizzo, perché la donna della pensione il mattino seguente lo informò che la contessa si era spostata al tal numero di Keppel Street.

Non aveva dubbi che Lady Anna fosse sul punto di tornare a Londra. Quel repentino trasferimento altrimenti non ci sarebbe stato. Ma che gli importava se lei era a Yoxham o in Keppel Street? Non poteva fare nulla. Sarebbe venuto il momento – ma non era ancora giunto – quando sarebbe dovuto andare coraggiosamente dalla ragazza, per quanto sorvegliata potesse essere, a reclamare la sua mano. Ma la richiesta andava rivolta a lei e a lei sola. Quando sarebbe giunto il momento, non sarebbe sorta la questione del denaro. Che fosse la padrona indiscussa di centinaia di migliaia di sterline, o la pretendente respinta al nome paterno, la richiesta sarebbe stata rivolta con lo stesso tono e con la stessa sicurezza. Conosceva bene l’intera storia della sua vita. Lei aveva compiuto vent’anni lo scorso maggio, ed era ormai settembre. Quando fosse giunta la primavera sarebbe diventata del tutto indipendente, libera di allontanarsi dalla madre, e libera di darsi a chi voleva. Non pensava che non si dovesse fare nulla in quegli otto mesi; ma secondo i suoi principi, non poteva fare la sua richiesta con piena forza finché lei non fosse stata una donna, libera da ogni controllo legale, come lo era lui in quanto uomo.

Le probabilità erano decisamente a suo sfavore. Sapeva quali fossero gli allettamenti del lusso. Vi erano dei momenti nei quali diceva a se stesso che naturalmente sarebbe caduta nelle reti stese per lei. Ma poi di nuovo cresceva nel suo petto a rincuorarlo la fiducia nella sincerità e nell’onestà. Come sarebbe stata splendida la sua vittoria, quanto grande il trionfo della nobiltà di un animo umano se, dopo tutti quei pericoli, dopo tutte le attrazioni della ricchezza e del rango, la ragazza fosse andata da lui e, appoggiandosi al suo petto, gli avesse detto che non aveva mai vacillato durante tutto quel tempo! Di una cosa comunque era certo – che non sarebbe andato a ficcare il naso, con manovre clandestine, vicino a quella casa in Keppel Street. La contessa avrebbe potuto dirgli dove intendeva vivere senza che aumentassero i suoi rischi.

Mentre le cose per lui erano in tale stato, ricevette una lettera dai signori Norton e Flick, i procuratori, che gli chiedevano di recarsi dal signor Flick allo studio di Lincoln’s Inn. Il vice-procuratore generale aveva suggerito al legale di incontrare quell’uomo e il signor Flick si era trovato costretto a obbedire; ma in realtà non sapeva bene che dire a Daniel Thwaite. Il suo scopo naturalmente era di comprare il sarto; ma simili accomodamenti sono difficili, e richiedono grande cautela. Inoltre il signor Flick lavorava per il Conte Lovel e quell’uomo era l’amico delle avversarie del conte nella causa. Il signor Flick aveva la netta impressione che il vice-procuratore generale si muovesse tra grandi irregolarità in quella causa. La causa in sé era senza dubbio singolare, diversa da qualsiasi altra causa con cui il signor Flick fosse entrato in contatto nella sua esperienza; al momento non c’era modo di dire chi avesse opposti interessi e chi interessi congiunti nel caso; ma tuttavia l’etichetta è l’etichetta, e il signor Flick era conscio che uno studio quale quello dei signori Norton e Flick non avrebbe dovuto agire in modo irregolare. Ciononostante mandò a chiamare Daniel Thwaite.

Dopo aver spiegato chi era, cosa che Daniel Thwaite sapeva benissimo, senza che gli venisse detto, il signor Flick si mise all’opera. «Sapete, signor Thwaite, che gli amici di entrambe le parti stanno cercando di risolvere la questione in modo amichevole senza ulteriori vertenze».

«So che gli amici di Lord Lovel, scoprendo di non avere basi per l’azione legale, stanno cercando di raggiungere l’obbiettivo con altri mezzi».

«No, signor Thwaite. Non sono disposto ad ammettere ciò neanche per un attimo. Sarebbe un’interpretazione del tutto erronea del modo di agire in questione».

«Lady Anna Lovel è la legittima erede del defunto conte?».

«È quel che non sappiamo. È quel che nessuno sa. Voi non siete un avvocato, signor Thwaite, altrimenti vi rendereste conto che non c’è nulla di più difficile da dirimere delle questioni di legittimità. Talvolta i tribunali hanno impiegato cento anni per decidere se un matrimonio era valido o meno. Avete sentito del grande caso MacFarlane. Per scoprire chi avesse diritto al nome MacFarlane fu necessario risalire a centoventi anni prima, e alla fine si decise basandosi sui ricordi di un uomo a cui la nonna aveva raccontato di aver visto una donna che indossava una fede nuziale. L’azione legale venne a costare più di quarantamila sterline e ci vollero diciannove anni. Da quel che vedo, l’attuale caso è anche più complicato di quello. Con ogni probabilità dovremmo dipendere dai procedimenti legali dei tribunali in Sicilia, e voi e io non vivremmo abbastanza per vederne la fine».

«Voi ci trovereste il vostro tornaconto, signor Flick, il che è più di quanto possa far io».

«Signor Thwaite, penso che questa sia un’osservazione assai scorretta; ma, comunque… Il mio scopo è spiegarvi che tutte queste difficoltà si potrebbero superare con un’unione assai appropriata e naturale tra il Conte Lovel e la signorina che attualmente viene per cortesia chiamata Lady Anna Lovel».

«Per cortesia della corona, signor Flick», disse il sarto, che capiva la natura dei titoli che detestava.

«Vi concedo che al momento riconosciamo il titolo; e siamo ansiosi di favorire il matrimonio. Siamo tutti estremamente desiderosi di portare a conclusione questa rovinosa controversia. Ora, mi dicono che la signorina si sente ostacolata da una qualche infantile promessa che è stata fatta… a voi».

Daniel Thwaite non si era aspettato nessun annuncio del genere. Non immaginava che la ragazza avesse raccontato la storia del suo fidanzamento e in quel momento non aveva nessuna risposta pronta. Ma non era uomo da rimanere a lungo impreparato. «La chiamate infantile?» disse.

«Sì, certamente».

«Allora cosa sarebbe il suo fidanzamento se fosse ora legata al conte? Il fidanzamento con me, come fidanzamento, non ha ancora dodici mesi di vita, ed è stato riconfermato nell’ultimo mese. Lady Anna è un’infante, signor Flick, secondo le vostre parole, e pertanto, forse, una bambina agli occhi della legge. Se Lord Lovel desidera sposarla, perché non lo fa? Lui non è intralciato, suppongo, dal fatto che lei sia una bambina».

«Sapete che un matrimonio con voi sarebbe in realtà impossibile».

«Il matrimonio con me, signor Flick, sarebbe possibile quanto quello con Lord Lovel. Quando la signorina sarà maggiorenne, nessun ecclesiastico in Inghilterra oserà rifiutarsi di sposarci, se le norme prescritte dalla legge saranno osservate».

«Beh, beh, signor Thwaite; non voglio discutere con voi di legge e di possibilità. Il matrimonio non sarebbe appropriato, e voi sapete che non sarebbe appropriato».

«Sarebbe molto inappropriato – a meno che la signorina non lo desideri quanto me. Lo stesso si può dire del suo matrimonio con il Conte Lovel. A chi di noi ha dato la sua parola? Chi di noi ha conosciuto e amato? Chi di noi l’ha conquistata grazie a una lunga amicizia e un costante rispetto. E chi di noi, signor Flick, è attratto dal matrimonio per la ricchezza della signorina di recente divenuta una certezza? Non mi è mai parso che Lord Lovel fosse mio rivale quando Lady Anna era considerata la figlia illegittima del pazzo defunto».

«Suppongo, signor Thwaite, che voi non siate indifferente al suo denaro».

«In tal caso supponete male come fanno nella maggior parte dei casi gli avvocati quando si assumono l’incarico di attribuire motivazioni».

«Non siete gentile, signor Thwaite».

«Non mi avete fatto venire qui, signore, perché tra noi ci fosse uno scambio di convenevoli. Quanto al denaro di Lady Anna, se dovesse diventare mio in seguito al matrimonio, lo custodirò per lei e per quei figli che potrà avere, con tutte le mie forze. Sosterrò il suo diritto al denaro come dovrebbe fare un uomo. Ma la mia determinazione nell’ottenere la sua mano non verrà né rafforzata né indebolita dal suo denaro. Credo che le appartenga. Anzi – so che la legge glielo concederà. A suo nome, poiché sono fidanzato con lei, sfido Lord Lovel e tutti gli altri pretendenti. Ma il suo denaro e la sua mano sono due cose distinte e separate, e io non sarò mai influenzato nella mia condotta da qualsiasi considerazione per il denaro. Forse, signor Flick, ho detto abbastanza – e quindi buongiorno». Poi se ne andò.

Il legale non si era nemmeno azzardato a suggerire il compromesso che aveva come obbiettivo nel mandarlo a chiamare. Non aveva osato chiedere al sarto quanto denaro pronta cassa volesse per abbandonare la signorina, liberandoli così da ogni difficoltà. Senza dubbio diede prova di saggia discrezione perché, se lo avesse fatto, Daniel Thwaite sarebbe potuto divenire anche più sgarbato di prima.

Lady Anna
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