Le cose si sistemano
Ma la contessa non cedette di un millimetro. Quella che segue fu la risposta al biglietto inviatole da zia Julia:
La Contessa Lovel presenta i suoi omaggi alla signorina Lovel. La contessa disapprova assolutamente il matrimonio che avrà luogo tra Lady Anna Lovel e il signor Daniel Thwaite e non prenderà parte alla cerimonia.
«Cielo, è la miglior Lovel di tutti noi», disse il rettore nel leggere la lettera.
Quella risposta arrivò a Yoxham tre giorni prima che giungesse qualsiasi messaggio di Lady Anna o del sarto. Daniel aveva ricevuto la sua comunicazione dal giovane lord, che l’aveva chiamato «Caro signor Thwaite», gli aveva scritto in modo affabile delle imminenti nozze con «sua cugina Anna», gli aveva detto di andare a incontrare la famiglia «da bravo ragazzo» e si era firmato «il vostro sincero amico Lovel». «Mi toglie quasi il respiro», disse il sarto al suo amore, ridendo.
«Sono i cugini, sai» disse Lady Anna. «E c’era una ragazzina là a cui volevo molto bene».
«Sai che non possono che disprezzarmi», disse il sarto.
«Perché qualcuno dovrebbe disprezzarti?».
«Nessuno dovrebbe – a meno che io non sia meschino e spregevole. Ma loro mi disprezzerebbero, puoi esserne certa. È solo naturale che sia così. Siamo fatti di tessuto differente – sebbene in origine il materiale fosse lo stesso. Non penso che sarei a mio agio con loro. Avrei un po’ paura della loro doratura e dei loro orpelli, e me ne vergognerei. Non saprei come bere vino con loro e farei centinaia di cose che gli farebbero credere che sono una bestia».
«Non vedo perché non dovresti andare a testa alta davanti a qualsiasi uomo in Inghilterra», disse Lady Anna.
«Certo che dovrei – ma non lo farei. Sarei intimorito da coloro che ritengo inferiori a me. Preferirei non andare. Faremo meglio a starcene in disparte, cara!». Ma la ragazza lo pregò di rimandare la decisione. Era una questione su cui riflettere. Se per il marito era necessario che litigasse con tutti i cugini – con il brillante, giovane conte sfaccendato, con le zie Jane e Julia, con il suo tesoro Minnie, lei l’avrebbe fatto. Il marito per lei avrebbe dovuto essere in tutto e per tutto al primo posto. Per lui, ora che aveva deciso di essere sua, si sarebbe separata da tutto il mondo se necessario. Aveva resistito alle preghiere della madre ed era sicura che null’altro potesse smuoverla. Ma se i cugini erano pronti ad accettare il marito, perché lui non doveva esser disposto a farsi accettare? In lui l’orgoglio poteva essere una debolezza quanto l’orgoglio in loro. Se gli tendevano la mano perché avrebbe dovuto rifiutare di tendere la sua? «Dammi un giorno, Daniel, per pensarci». Le concesse il giorno e poi colui che prendeva decisioni in tutti campi, Sir William, andò da lui, congratulandosi, invitandolo a star di buon umore e parlando bene della famiglia Lovel in generale. Il nostro sarto lo ricevette con cortesia, perché aveva imparato ad apprezzare l’uomo, a capire che si era comportato con onestà e saggezza nei confronti del cliente, e lo rispettava come uno dei grandi lavoratori del suo tempo; ma dichiarò che quanto alla famiglia Lovel, intesa come famiglia «non gli interessava in modo particolare». «Siamo agli antipodi», disse.
«Non è così», replicò Sir William. «Eravate agli antipodi, se volete. Ma grazie alla vostra buona sorte e ai vostri meriti, se mi permettete di dirlo, avete lasciato un polo per arrivare molto vicino all’altro».
«Preferisco di gran lunga il mio polo, Sir William».
«Io sono un uomo più vecchio di voi, signor Thwaite, e lasciate che vi assicuri che vi sbagliate».
«Sbaglio a preferire coloro che lavorano per guadagnarsi il pane a coloro che lo consumano nell’ozio?».
«Non in questo – ma sbagliate nel credere che non ci sia duro lavoro anche all’altro polo; e sbagliate anche nel non accorgervi che gli uomini migliori che appaiono di generazione in generazione sono sempre intenti a spostarsi dal polo che dite di preferire al polo opposto verso cui voi stesso muovete. Riesco a capire il vostro sentimento di disprezzo per un nobilotto ozioso, ma dovreste ricordare che in nove casi su dieci i lord sono divenuti tali per l’opera meritoria svolta per il bene del paese».
«Perché i figli dei lord dovrebbero essere a loro volta dei lord fino alla decima e alla ventesima generazione?».
«Entrate in Parlamento, signor Thwaite, e se sulla questione avete delle opinioni contrarie ai titoli nobiliari ereditari, esprimetele là. È un buon argomento di discussione. Attualmente, penso che i sentimenti del paese siano favorevoli a un’aristocrazia ereditaria. Ma sia come sia, non permettete a voi stesso di disprezzare quella sfera della società in cui è ambizione di tutti gli uomini entrare».
«Non è la mia ambizione».
«Scusate. Quando eravate un lavoratore tra i lavoratori, non volevate esserne il leader? Quando ne eravate il sovrintendente, non volevate diventare il padrone? Se foste un commerciante indipendente, non vorreste dirigere e guidare i vostri confratelli commercianti? Non vorreste la ricchezza per aiutarvi a promuovere ciò che vi sta a cuore? Se foste un consigliere della vostra città, non vorreste diventarne il sindaco? Se sindaco, non vorreste diventarne il rappresentante in Parlamento? Se in Parlamento, non vorreste farvi ascoltare là? In tal caso non vi vestireste come coloro tra cui vi trovereste a vivere, non mangereste come mangiano loro, non berreste come bevono loro, non adottereste i loro orari, non assumereste le loro abitudini e diventereste uno di loro? La teoria dell’uguaglianza è grandiosa».
«La cosa più grande del mondo, Sir William».
«Ad essa tutti gli sforzi legislativi e umani dovrebbero e devono tendere. Tutto quel che viene detto e fatto dalle persone che si sono emancipate dalla schiavitù dell’esaltazione personale, serve a diminuire in una certa misura la distanza tra l’alto e il basso. Ma se voi riusciste a stabilire domani in Inghilterra l’assoluta eguaglianza, come è stata istaurata in Francia circa mezzo secolo fa, la diversità tra le menti e il carattere degli uomini ricreerebbe un’aristocrazia nell’arco di vent’anni. Le persone energiche, quelle dotate di talento, gli onesti e i generosi si sposteranno sempre verso il lato aristocratico della società, perché le loro virtù genereranno stima e la stima creerà ricchezza – e la ricchezza dà il potere di fare del bene».
«Come quando un uomo getta via quarantamila sterline l’anno alle corse dei cavalli».
«Quando si mette molta acqua al fuoco, signor Thwaite, un po’ probabilmente tracimerà. Quando due uomini gareggiano in una corsa, un po’ di forza andrà sprecata in passi inutili oltre l’arrivo. La pecca di molti uomini patriottici è quella di vedere, nel desiderio di eliminare i mali esistenti, solo l’energia che va sprecata e di non avere occhi per il buon lavoro svolto. L’argomento è così ampio che mi piacerebbe discuterne con voi quando avremo più tempo. Per il momento lasciate che vi preghi, nel vostro interesse e in quello di colei che diventerà vostra moglie, di non respingere l’atto di gentilezza che vi è offerto dalla sua famiglia. Da parte vostra sarà segno di un più alto coraggio andare da loro e accettare tra loro il posto che la ricchezza di vostra moglie e le vostre conoscenze vi daranno, piuttosto che rimanere cupamente in disparte perché si tratta di aristocratici».
«Sapete farvi capire quando parlate, Sir William».
«Sono lieto di sentirvelo dire», disse l’avvocato, sorridendo.
«Io invece no, e così avete la meglio su di me. Ma non riuscirete a farmi piacere i lord o a farmi credere che un giovanotto dovrebbe portare vestaglie di seta».
«Sono d’accordo con voi che le vestaglie di seta dovrebbero esser riservate ai più anziani», e così la conversazione terminò.
Daniel Thwaite non aveva imparato ad apprezzare i lord ma l’eloquenza del garbato avvocato non era andata sprecata. Pensandoci mentre passeggiava da solo per le strade, cominciò a credere che sarebbe stato più coraggioso fare quel che gli veniva consigliato piuttosto che astenersene perché la cosa in sé gli risultava sgradevole. Il giorno seguente, come al solito, Lady Anna andò da lui; perché il pretesto della ferita le offriva ancora l’opportunità di fargli quelle visite quotidiane che in circostanze più felici lui avrebbe naturalmente fatto a lei. «Ti piacerebbe andare a Yoxham?» le chiese. Lei lo guardò in viso con occhi che tradivano il desiderio. Desiderava davvero che i poli opposti venissero uniti dal futuro marito. Aveva scoperto, riflettendoci, di non poter essere né felice né soddisfatta se non sposando lui; ma non era stato senza rimpianto che aveva acconsentito a distruggere completamente il legame che l’univa al nobile sangue dei Lovel. Aveva saputo apprezzare la dolce fragranza delle influenze aristocratiche e ora che i Lovel erano pronti a riceverla nonostante il matrimonio, lei era più che disposta ad accettare le profferte d’amicizia. «Se davvero lo desideri, andrai», lui disse.
«Ma dovrai venire anche tu».
«Sì, per un giorno. E dovrò avere un paio di guanti e una giacca nera».
«E una blu, per il matrimonio».
«Povero me! Mi servirà una vestaglia di seta rosa per andare in giro di mattina presto?».
«Sì, se vuoi, e io la cucirò per te».
«Preferirei vederti rammendare i miei calzini di lana, amor mio».
«Posso fare anche quello».
«E mi toccherà andare in chiesa in una carrozza e tornare in un’altra, tutti i presenti saranno profumati, alle mie spalle si scambieranno sguardi su di me e tra sé si chiederanno come si comporterà il sarto».
«Il sarto dovrà comportarsi adeguatamente», disse Lady Anna.
«È proprio quel che non farà – e non sarà in grado di fare. So che ti vergognerai di me e poi saremo tutti e due infelici».
«Io non mi vergognerò di te. Non mi vergognerò mai di te. Mi vergognerò di loro se non saranno buoni con te. Ma, Daniel, non devi andarci se non vuoi. Se tu non sei felice, che importanza ha tutto il resto?».
«Ci andrò», rispose lui. «E ora mi siederò a scrivere una lettera a milord».
Vennero scritte due lettere per accettare l’invito. Poiché quella del sarto al lord era breve e caratteristica, verrà riportata.
Mio caro lord,
sono molto grato per l’invito di vostra signoria a Yoxham e se accettarlo farà di me un bravo ragazzo, l’accetterò. Temo, comunque, che non sarò mai un ragazzo ammodo agli occhi di vostra signoria. Nondimeno apprezzo la gentilezza e sono
in tutta sincerità
il vostro obbedientissimo servitore
DANIEL THWAITE
La risposta di Lady Anna alla zia Julia fu più lunga e meno sentenziosa, ma comunicava l’intenzione di andare a Yoxham una settimana prima del giorno fissato per le nozze, che era il 10 di luglio. Era molto grata al rettore, diceva, per la sua bontà nel promettere di celebrare le nozze; poiché non aveva amiche sperava che Minnie Lovel sarebbe stata la sua damigella. Ci furono comunque varie altre lettere prima della cerimonia e tra le altre una in cui le fu chiesto di portare con sé la signorina Alice Bluestone – così da poter avere un’altra damigella oltre quelle fornite dall’aristocrazia di Yoxham. La signorina Alice Bluestone accettò con gioia la proposta – a dispetto del baratro di cui aveva parlato – e, in tal compagnia, ma senza cameriera personale, Lady Anna tornò a Yoxham per venir unita nel vincolo del sacro matrimonio a Daniel Thwaite, il sarto, dal cugino, il Rev. Charles Lovel.