Dure direttive

 

 

 

 

 

Quando ci fu il tentativo di omicidio, Lord Lovel si trovava a Londra – e quel mattino aveva visto Daniel Thwaite, ma prima che qualsiasi notizia certa l’avesse raggiunto, aveva lasciato Londra diretto di nuovo a Yoxham. Sapeva ormai che avrebbe avuto diecimila sterline l’anno dal patrimonio del defunto conte, ma che non avrebbe ottenuto la mano della bella cugina, la figlia del defunto conte. Forse era meglio così. La ragazza non l’aveva mai amato e lui ora poteva scegliere liberamente – e non c’era bisogno che scegliesse finché non avesse avuto voglia di far la vita dell’uomo sposato. Dopo tutto il matrimonio con Lady Anna sarebbe stato un matrimonio forzato – un matrimonio che egli avrebbe accettato come mezzo per farsi una fortuna. Certo la ragazza gli era piaciuta – ma era possibile che una ragazza che preferiva un sarto smettesse di piacergli. A ogni modo non gli riusciva di sentirsi infelice con la sua ricchezza appena ottenuta e se ne andò a Yoxham a ricevere le congratulazioni degli amici, pensando che toccasse a lui ora fare qualche sforzo per riconciliare lo zio e la zia all’imminente matrimonio.

«Avete saputo nulla del signor Thwaite?» gli chiese il signor Flick il giorno prima che partisse. Il conte non aveva saputo nulla. «Dicono che sia stato ferito da un colpo di pistola». Lord Lovel si fermò per qualche giorno a casa d’un amico sulla via dello Yorkshire e quando giunse al rettorato, il rettore aveva ricevuto delle notizie da Londra. Il signor Thwaite, il sarto, era stato assassinato e si sospettava che il crimine fosse stato compiuto dalla contessa. «Spero che siano stati firmati i documenti prima che tu lasciassi Londra», disse l’ansioso rettore. I documenti sul passaggio dei beni erano a posto, ma il conte si rifiutava di credere alla storia dell’omicidio. Era possibile che il signor Thwaite fosse stato ferito. L’aveva già sentito dire – ma era sicuro che non fosse opera della contessa. Il giorno seguente arrivarono altre informazioni. Il signor Thwaite stava bene, ma tutti dicevano che l’aggressione fosse venuta da Lady Lovel. Così gradualmente al rettorato si formarono una qualche idea dei fatti che si erano verificati.

«Non vorrai dire che desideri che il signor Thwaite sia invitato qui?» chiese il rettore, alzando le mani, nel sentire una proposta fattagli dal nipote un paio di giorni più tardi.

«Perché no, zio Charles?».

«Non potrei farlo. Davvero non credo che tua zia riuscirebbe a sedersi a tavola con lui».

«Zia Jane?».

«Sì, tua zia Jane – e nemmeno tua zia Julia». Ora, non esisteva un’altra signora più placida di zia Jane o una meno propensa ad arricciare il naso davanti a qualsiasi ospite il marito decidesse di intrattenere.

«Posso chiederlo alle zie?».

«A che può servire, Frederic?».

«Sposerà nostra cugina. Non è assolutamente l’uomo che tu sembri credere sia».

«È stato un sarto alle altrui dipendenze per tutta la vita».

«Scoprirai che si dimostrerà un eccellente gentiluomo. Sir William dice che arriverà in Parlamento prima che passi molto tempo».

«Sir William! Sir William non fa altro che impicciarsi. Non ho mai avuto una grande opinione di Sir William».

«Andiamo, zio Charles – dovreste essere equo. Se avessimo continuato a litigare e a ricorrere alla legge, dove mi troverei io adesso? Non avrei mai avuto uno scellino del patrimonio. Lo dicono tutti. Non c’è alcun dubbio che Sir William abbia agito con grande saggezza».

«Io non sono un avvocato. Non sono in grado di dire come sarebbero potute andare le cose. Ma posso avere dei dubbi se mi va. Ho sempre pensato che Lady Lovel, come la vuoi chiamare tu, non fosse mai stata la moglie di Lord Lovel. Per vent’anni ne sono stato sicuro e non so cambiare idea con la stessa velocità di altre persone».

«È Lady Lovel ora. Il Re e la Regina la riceverebbero come tale se andasse a corte. Sua figlia è Lady Anna Lovel».

«Sì, forse. È possibile».

«Se non fosse così», disse il giovane lord, battendo il tavolo con il pugno, «dove avrei preso il denaro?». Si trattava di una domanda a cui il rettore non sapeva rispondere, così si limitò a scuotere il capo. «Sono tenuto ad accettar loro dopo aver accettato il denaro».

«Ma non lui. Non hai avuto il suo di denaro. Non c’è bisogno che accetti lui».

«Sarà meglio far buon viso, zio Charles. Sposerà nostra cugina e noi dovremmo starle accanto. Sir William mi ha consigliato calorosamente di essere presente al matrimonio e di offrirmi di accompagnarla all’altare».

«La ragazza che tu stavi per sposare!».

«Oppure che lo faccia tu. Il che naturalmente sarebbe meglio».

Il rettore di Yoxham emise un lamento quando gli fu fatta la proposta. Che infinita afflizione e vergogna gli era giunta da quelle Lovel fasulle negli ultimi dodici mesi! Era stato costretto a ospitare la ragazza in casa sua e a darle precedenza come Lady Anna, sebbene non credesse in lei; era stato obbligato a trattarla come la sposa eletta del suo augusto nipote, il conte – finché lei non aveva rifiutato la mano del conte. In seguito, benché avesse di nuovo ripudiato lei e la madre per il deplorevole legame con un artigiano di meschini natali, era stato spinto ad accettarla nuovamente, in spirito, per la sua generosità verso il nipote – e ora gli si chiedeva di accompagnarla all’altare per darla in sposa al sarto! E a lui non poteva venirne né piacere né profitto dalla faccenda. Tutto quel che aveva subito l’aveva sopportato semplicemente per il bene della famiglia e del nipote. «Ci sta disonorando tutti – ammesso che sia una di noi», disse il rettore. «Non vedo perché mi si debba chiedere di fornirle la mia approvazione per quel che sta facendo».

«Tutti dicono che sia molto bello da parte sua essere leale all’uomo che amava quando era povera e ignorata da tutti. Sir William dice…».

«… Sir William!», bofonchiò il rettore tra i denti, mentre si girava dall’altra parte disgustato. Il conte non udì con chiarezza quale fosse stata la prima parola di quella frase minacciosa. Da ragazzo era stato cresciuto dallo zio e non aveva mai sentito suo zio imprecare contro qualcuno. Nessuno a Yoxham avrebbe creduto possibile che il pastore della parrocchia avesse fatto una cosa del genere. La signora Grimes avrebbe testimoniato in qualsiasi tribunale dello Yorkshire che era assolutamente impossibile. L’arcivescovo non ci avrebbe creduto anche se il suo arcidiacono in persona avesse udito la parola. Tutto ciò che si sapeva dell’uomo da quando era a Yoxham smentiva la probabilità della cosa. La circoscrizione della cattedrale di York al completo sarebbe stata indignata se si fosse formulata un’accusa del genere. Ma il nipote nel profondo del cuore credeva che il rettore di Yoxham avesse mandato al diavolo il vice-procuratore generale.

C’erano comunque in serbo per il rettore altre ragioni per imprecare e ulteriori motivi di collera. Il conte non aveva ancora svuotato il sacco completamente, né comunicato allo zio l’entità del sacrificio richiesto da lui. Sir William era stato molto pressante con il giovane aristocratico perché venisse concesso alla cugina tutto quel che si poteva concedere. «Non sta a me naturalmente dare disposizioni», aveva detto, «ma poiché finora mi è stato permesso di fornir consigli che esulano dai limiti della mia professione, forse mi lascerete dire che per mera onestà le dovete tutto ciò che potete darle. Ha diviso ogni cosa con voi e non era necessario che concedesse nulla. Quanto a lui, milord, se avesse voluto, avrebbe potuto renderle difficile fare quel che lei ha fatto. Per senso dell’onore siete tenuto ad accettare lei e il marito tendendo loro la mano. Se non potete trattarla con la considerazione concessa a una cugina, non avreste dovuto accettare ciò che vi è stato dato come a un cugino. Lei vi ha riconosciuto, con vostro grande profitto, come capo della sua famiglia e voi dovreste certamente vedere in lei un membro di essa. Che il matrimonio si tenga a Yoxham. Fatela invitare da vostro zio e vostra zia. Accompagnatela all’altare e fateli sposare da vostro zio. Se potete sistemarmi per una notte in qualche fattoria del vicinato, io verrò ad assistere. Andrà a vantaggio del vostro onore trattarla in tal modo». Il programma era imponente e il conte avvertiva che potevano esserci delle difficoltà.

Ma a dispetto dell’incerta maledizione egli perseverò e l’attacco successivo fu contro zia Julia. «A voi piaceva – non è così?».

«Sì, mi piaceva». Il tono implicava grande incertezza. «Mi piaceva finché non ho scoperto che si era comportata indecorosamente».

«Ma non si è comportata indecorosamente. Ha semplicemente fatto quel che qualsiasi ragazza avrebbe fatto, vivendo come viveva lei. Si è comportata con nobiltà nei miei confronti».

«Senza dubbio ha agito in modo scrupoloso».

«Andiamo, zia Julia! Avete mai sentito di un’altra donna che abbia dato diecimila sterline l’anno a un tipo, solo perché era suo cugino? Dovremmo fare qualcosa per lei. Perché non dovreste invitarla di nuovo qui?».

«Non credo farebbe piacere a mio fratello».

«Lo farà se glielo dite voi. E noi dobbiamo fare di lui un gentiluomo».

«Mio caro Frederic, non si può cambiare un negro in un bianco anche con molti lavaggi».

«Proviamoci. Non opponetevi. È opportuno, per il mio stesso onore, mostrarle un po’ di considerazione dopo quel che ha fatto per me».

La zia Julia scosse il capo e mormorò tra sé qualche ulteriore commento sui negri. Gli abitanti del rettorato di Yoxham – che erano di buona famiglia, signore e gentiluomini senza macchia, che fino ad allora erano stati liberi da legami matrimoniali disdicevoli, e che tra i loro cugini di sesso maschile non annoveravano nessuno che fosse meno di un militare o un ufficiale di marina, un religioso o un avvocato, che erano riusciti a impedire l’unione tra una cugina di terzo grado e un procuratore perché il matrimonio era inferiore al livello dei Lovel – erano particolarmente contrari a qualsiasi mescolanza di rango. Discendevano da antichi conti e il loro capofamiglia era l’attuale conte. Tra loro c’era solo un’unica signorina titolata – e aveva appena conquistato il diritto a essere considerata tale. C’era solo una Lady Anna – e stava per sposare un sarto! «Il dovere è dovere», disse zia Julia allontanandosi in fretta. Voleva far capire al nipote che il dovere le ordinava di indurire il suo cuore nei confronti di qualsiasi cugina che potesse sposare un sarto.

Il lord passò poi ad attaccare zia Jane. «Non vi darebbe fastidio averla qui?».

«No, se tuo zio approvasse», disse la signora Lovel.

«Vi dirò qual è il mio piano». Poi le raccontò tutto. Si doveva invitare Lady Anna al rettorato. Bisognava ospitare il sarto da qualche parte nelle vicinanze la notte prima delle nozze. Il matrimonio andava celebrato dallo zio nella Chiesa di Yoxham. Si doveva invitare Sir William. E il tutto andava fatto come se ognuno di loro fosse orgoglioso del legame di parentela.

«Tuo zio lo sa?» chiese la signora Lovel, che era rimasta quasi fulminata dalla proposta.

«Non proprio. Volevo che glielo suggeriste voi. Pensate solo, zia Jane, a quel che ha fatto per tutti noi!». A zia Jane non pareva che fosse stato fatto granché per lei. Non si sarebbero arricchiti con il denaro della cugina. Non avevano mai avuto un interesse personale nella questione. Non volevano nulla. E tuttavia gli si chiedeva di avere il sarto alla loro tavola – perché Lord Lovel era a capo della famiglia. Ma il conte era il conte e la povera signora Lovel sapeva quanto lei dovesse alla sua posizione. «Se lo desideri, naturalmente glielo dirò, Frederic».

«Lo desidero davvero – e vi sarei così grato».

La mattina dopo il religioso era stato informato di tutto quel che si voleva da lui e scese per le preghiere scuro come un temporale. Gli era già stato suggerito di accompagnare la sposa all’altare, e sebbene si fosse lamentato dolorosamente per la richiesta, sapeva di doverlo fare se il conte avesse insistito. Non aveva il potere di opporsi al capo della famiglia. Ma non aveva mai pensato d’altronde che gli sarebbe stato chiesto di contaminare il suo rettorato con la presenza dell’odioso sarto. Mentre si faceva la barba quel mattino idee molto pie gli avevano riempito la mente. Che cosa orribile era la malvagità! Tutta quella sciagura si era abbattuta su di lui perché il defunto conte era stato un uomo così malvagio! Aveva giurato alla moglie che non l’avrebbe tollerato. Aveva fatto ed era pronto a fare quasi più di qualsiasi altro zio in Inghilterra. Ma ciò non era sopportabile. Tuttavia mentre si radeva e pensava con religioso orrore alle iniquità di quel vecchio lord, sapeva che avrebbe dovuto cedere. «Magari lui non vorrà venire», disse la zia Julia. «Non avrà voglia di stare con noi più di quanta noi ne abbiamo di averlo qui». C’era un po’ di conforto in quella speranza e confidando in essa il rettore si era arreso su tutta la linea prima che fosse trascorso il terzo giorno.

«E posso invitare Sir William?» chiese il conte.

«Naturalmente saremo lieti di vedere Sir William Patterson se decidi di invitarlo», disse il rettore ancora oppresso dal malumore. «Sir William Patterson è un gentiluomo, non ci sono dubbi, nonché un uomo di alta levatura. Naturalmente io e tua zia saremo felici di riceverlo. Non ho una grande opinione di lui come avvocato – ma ciò non ha nulla a che fare con la questione». Si può qui osservare che il signor Lovel anche molti anni dopo i fatti qui raccontati, non cambiò mai idea riguardo al processo. Se gli avvocati avessero perseverato come avrebbero dovuto, si sarebbe scoperto che la contessa non era una contessa e che Lady Anna non era Lady Anna, e che tutto il denaro apparteneva di diritto al conte. Con tale convinzione – convinzione dichiarata – scese nella tomba alla venerabile età di ottant’anni.

Nel frattempo egli acconsentì a che venissero fatti gli inviti. La contessa e la figlia sarebbero state invitate a Yoxham – per la cerimonia sarebbe stata messa a disposizione la chiesa parrocchiale; lui si sarebbe offerto di sposarli; il conte avrebbe accompagnato la sposa all’altare; e Daniel Thwaite, il sarto, sarebbe stato invitato a cena al rettorato il giorno prima delle nozze. Le lettere sarebbero state scritte dalla zia Julia dal rettorato e il conte avrebbe aggiunto da sé quel che voleva. «Suppongo che questa prova ci sia mandata per il nostro bene», disse il rettore alla moglie quella notte nell’inviolabilità della loro camera da letto.

Lady Anna
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