La lettera di Lady Anna

 

 

 

 

 

Nel frattempo la settimana era passata e Lady Anna non aveva ancora scritto la lettera al conte. Un esercito era schierato contro la ragazza per indurla a scrivere una lettera tale che in seguito le risultasse impossibile negare di essere fidanzata con il lord, ma l’esercito non aveva ancora riportato la vittoria. La contessa non aveva visto la figlia – era stata tenace nel rifiutare alla figlia il permesso di recarsi da lei finché non avesse perlomeno ripudiato l’altro innamorato; però le aveva scritto una lettera, breve ma in termini molto energici, presentando come un dovere impellente il fatto che Lady Anna Lovel fosse tenuta a sostenere la sua famiglia e a difendere il suo rango. La signora Bluestone, di giorno in giorno, con parole dolci e amorevoli, predicava lo stesso sermone. Alice Bluestone nelle loro conversazioni quotidiane parlava del sarto, o piuttosto della promessa fatta al sarto, con un orrore che a ogni modo non era simulato. L’avvocato, quasi con le lacrime agli occhi, la implorava di por fine all’azione legale. Perfino il vice-procuratore generale le mandava teneri messaggi – dove esprimeva la grande speranza che lei permettesse loro di sistemare la questione all’inizio di novembre. Tutti i dettagli del caso, come si presentava al momento, le erano stati spiegati più e più volte. Se si fosse potuto dichiarare, una volta giunto il giorno fissato per il processo, che lei e il giovane conte erano fidanzati, il conte avrebbe del tutto abbandonato le sue pretese – e non sarebbe stata fatta nessun’altra asserzione. Il matrimonio del Cumberland sarebbe stato dimostrato – le circostanze del processo per bigamia sarebbero state fornite come prova – e tutte le persone interessate sarebbero state desiderose di veder pienamente accettate le richieste delle due signore. Era opinione degli avvocati riuniti che se ciò fosse stato fatto, il rango della contessa sarebbe stato riconosciuto e i beni lasciati dal vecchio lord sarebbero subito stati consegnati a chi li ereditava secondo l’ordine delle cose in tal modo stabilito. La contessa avrebbe ricevuto ciò a cui aveva diritto come vedova, la figlia sarebbe stata l’erede legittima del grosso dei beni personali, mentre il conte si sarebbe limitato a rivendicare eventuali beni immobili se – cosa assai dubbia – dei beni immobili fossero stati in questione. In tal caso la disposizione degli averi sarebbe stata esattamente quella che tutti loro desideravano e la questione del rango sarebbe stata risolta per sempre. Se la signorina non avesse accettato tale compromesso assai gradevole, il conte in realtà non avrebbe fatto altri sforzi per invalidare il matrimonio del Cumberland e si sarebbe ritirato dal processo. Ma a quel punto sarebbe stato dichiarato che c’era una pretendente in Sicilia – o quanto meno delle prove in Italia, che se vagliate potevano eventualmente ostacolare le rivendicazioni della contessa. Il vice-procuratore generale non esitava a dire che riteneva la donna ancora in vita una debole truffatrice, che era stata prima usata dal conte e che poi aveva sostenuto una falsità per ricavare un reddito dai beni; ma egli non era per nulla convinto che l’altra straniera, che il conte aveva indubbiamente sposato in prime nozze, non fosse viva quando era stato contratto il secondo matrimonio. In quel caso la contessa non sarebbe stata una contessa, Anna Lovel sarebbe semplicemente stata Anna Murray, senza un penny, illegittima e una sposa adatta al sarto, se il sarto avesse ritenuto opportuno sposarla. «Se è così che deve andare», disse Lady Anna tra le lacrime, «che vada pure così; e lui mi sposerà».

È possibile che l’esercito fosse troppo potente per lo scopo da raggiungere – un esercito eccessivo per ottenere una vittoria in quel campo – e che una combinazione più leggera di forze avrebbe prevalso dove tutto quello schieramento fallì. Nessuno aveva una buona parola da dire per il sarto; nessuno ammetteva che fosse stato un amico generoso; non veniva espresso a suo favore nessun sentimento. Sembrava esser dato per scontato che fin dall’inizio avesse fatto dei piani per entrare in possesso di un’enorme fortuna in caso fosse stato dimostrato che la contessa era una vera contessa. Non si ammetteva che avesse fatto qualcosa per amore. Ora, in tutte quelle questioni, Lady Anna era sicura solo di una cosa, ed era la sincerità del sarto. Se avessero riconosciuto che era buono e nobile, sarebbero forse riusciti a persuaderla – come il poeta aveva quasi persuaso il suo innamorato – che le convenienze richiedevano la loro separazione.

Ma lei aveva promesso che avrebbe scritto la lettera alla fine della settimana e quando furono trascorse due settimane si rese conto che andava scritta. Aveva continuato a ripetere alla signora Bluestone di doversene andare da Bedford Square. Non poteva vivere là per sempre, diceva. Sapeva di essere d’impiccio a tutti. Perché non doveva far ritorno dalla sua stessa madre? «Mamma intende dire che non vivrò mai più con lei?». La signora Bluestone le promise che se avesse scritto la lettera dicendo al cugino che avrebbe cercato di amarlo, sarebbe subito tornata dalla madre. «Ma non posso vivere qui per sempre», insisteva Lady Anna. La signora Bluestone non ammetteva che ci fosse qualche ragione per cui la sua ospite non dovesse continuare a vivere in Bedford Square finché tale sistemazione andasse bene a Lady Lovel.

Vennero scritte per lei varie lettere. La contessa ne scrisse una che dava un assenso senza riserve all’offerta del conte e che era molto breve. Alice Bluestone ne scrisse una piena di poesia. La signora Bluestone ne scrisse una terza, in cui veniva usata una gran quantità di parole ambigue dove non c’era nessuna chiara promessa e niente poesia. Ma se questa lettera fosse stata spedita sarebbe risultato quasi impossibile per la ragazza liberarsi in seguito dagli impegni che implicava. L’avvocato, forse, aveva collaborato con un paio di parole, perché la lettera era senza dubbio molto abile. In quella lettera si faceva dire a Lady Anna che lei avrebbe sempre ricevuto con il massimo piacere le visite del cugino e che confidava di poter cooperare con il cugino per porre fine all’azione legale; che certamente non avrebbe sposato nessuno senza il consenso materno, ma che al momento non era in grado di dire di più. «Non fermerà il vice-procuratore generale, sapete», aveva commentato l’avvocato, mentre la leggeva. «Uffa, questo vice-procuratore generale!» aveva risposto la signora Bluestone e poi era passata a mostrare come avrebbe portato a quel che doveva fermare il dotto gentiluomo. L’avvocato aveva aggiunto un paio di parole e grande persuasione era stata usata per indurre Lady Anna a servirsi dell’epistola.

Ma lei non ne voleva sapere. «Oh, non potrei, signora Bluestone, capirebbe che non ho scritto io tutto questo».

«Avete promesso di scrivere e siete tenuta a mantenere la promessa», disse la signora Bluestone.

«Credo di essere tenuta a mantenere tutte le mie promesse», disse Lady Anna, pensando a quelle che aveva fatto a Daniel Thwaite.

Ma infine si sedette a scrivere una lettera da sé, premettendo in special modo che nessuno avrebbe dovuto vederla. Quando aveva fatto la promessa, non intendeva di certo scrivere qualcosa che sarebbe stato mostrato a tutto il mondo. La signora Bluestone l’aveva pregata affinché perlomeno la contessa potesse vederla. «Se la mamma mi lascerà andare da lei, naturalmente gliela mostrerò», disse Lady Anna. Alla fine si ritenne fosse meglio permetterle di scrivere la sua lettera e di spedirla senza visionarla. Dopo molti conflitti interiori e molte lacrime scrisse la seguente missiva:

Bedford Square, martedì

Mio caro cugino,

mi dispiace di averci messo tanto tempo per fare quel che dissi che avrei fatto. Credo che non avrei dovuto promettere, perché trovo sia molto difficile dire qualunque cosa e ritengo che sia sbagliato anche lo scrivere. Non è colpa mia se c’è un’azione legale in corso. Non voglio portar via nulla a nessuno, né ottenere qualcosa per me. Penso che papà sia stato molto malvagio a dire che la mamma non era sua moglie e naturalmente spero che tutto possa andare come lei desidera. Ma non penso che mi si dovrebbe chiedere di fare quel che ritengo sbagliato.

Il signor Daniel Thwaite non è per niente la persona che dicono. Lui e suo padre sono stati i migliori amici della mamma, e io non lo dimenticherò mai. Il vecchio signor Thwaite è morto e me ne dispiace tanto. Se li aveste conosciuti come noi, capireste quel che provo. Naturalmente non è un amico per voi; ma è mio amico e può darsi che ciò mi renda inadatta a essere vostra amica. Voi siete un aristocratico e lui è un commerciante; ma quando l’abbiamo conosciuto era decisamente un nostro pari e credo che gli dobbiamo molto denaro, che mamma non può restituirgli. Ho sentito dire dalla mamma, prima che si arrabbiasse con lui, che sarebbe finita all’ospizio se non fosse stato per loro e che il signor Daniel Thwaite sarebbe benestante ora e non un sarto che lavora, come lo chiama la signora Bluestone, se non avessero speso tutto quel che avevano per aiutarci. Dopo tutto ciò mi è insopportabile sentirli parlare di lui come fanno.

Naturalmente vorrei fare quel che desidera la mamma; ma come vi sentireste voi se aveste dato la vostra parola a qualcun altro? Vorrei tanto che tutto questo potesse finire. La mia cara mamma non mi permette di vederla e, anche se tutti sono gentili, sento che non dovrei essere qui con la signora Bluestone. Mamma parlava di andare da qualche parte all’estero. Sarei felice se lo facesse e mi portasse via. Non vedrei nessuno allora e non ci sarebbero problemi. Ma credo non abbia denaro a sufficienza. Questa lettera è assai misera, ma non so che altro potrei scrivere.

Credetemi, mio caro cugino,

la vostra affezionata

ANNA LOVEL

Seguiva poi in un poscritto l’unica cosa che avesse da dire: «Penso che dovrebbero permettermi di vedere il signor Daniel Thwaite».

Lord Lovel, dopo aver ricevuto la lettera, si recò in Bedford Square e vide la signora Bluestone – ma non le mostrò la lettera. La cugina era fuori con le ragazze ed egli non l’aspettò. Disse soltanto di aver ricevuto una lettera che non gli aveva dato molta speranza. «Ma risponderò», disse, e il lettore che ha visto l’altra lettera vedrà anche questa.

Brown’s Hotel, Albermarle Street, 4 novembre, 183*

Carissima Anna,

ho ricevuto la vostra lettera e ve ne ringrazio, anche se in essa vi è così poco che mi lusinghi o mi soddisfi. Comincerò con l’assicurarvi che, per quanto mi riguarda, non desidero impedirvi di vedere il signor Daniel Thwaite. Credo nel profondo del cuore che se ora lo vedeste spesso, vi rendereste conto che un’unione tra voi e lui non farebbe felice nessuno dei due. Persino voi non dite che vi renderebbe tali.

Lo difendete, come se lo avessi accusato. Riconosco tutto quel che dite in suo favore. Non ho dubbi che suo padre abbia agito con voi e con vostra madre da vero amico. Ma ciò non renderà lui adatto a diventare il marito di Anna Lovel. Non dite nemmeno che lo ritenete adatto. Credo di capire tutto e vi amo anche di più per l’orgoglio con cui rimanete legata a un amico tanto devoto.

Ma, carissima, è diverso quando si parla di matrimonio. Immagino che ormai non osiate quasi più pensare di diventarne la moglie. Dubito che diciate persino a voi stessa di amarlo con quel genere di amore. Non crediate che io sia così vanesio da pensare che allora dovete amare me. Non è così. Ma se confessaste a voi stessa che non è adatto a divenire vostro marito, allora potreste arrivare ad amarmi e non sareste meno propensa a farlo perché tutti i vostri amici se lo augurano. Deve pur significare qualcosa per voi essere in grado di metter fine a tutto il problema.

Il vostro, carissima Anna,

affezionatissimo

L.

Sono venuto in Bedford Square questa mattina, ma voi non eravate in casa!

 

«Ma invece io oso», lei si disse, quando ebbe letto la lettera. «Perché non dovrei osare? E dico davvero a me stessa che lo amo. Perché non dovrei amarlo ora, quando non mi vergognavo di amarlo prima?». Stava subendo una persecuzione; e come i passi del viandante rivelano il dolce profumo dell’erba che egli schiaccia sotto i piedi, così con lei la persecuzione traeva dal suo cuore quella forza di carattere che fino ad allora era stata latente. Se l’avessero lasciata a Yoxham, senza mai dirle una parola sul sarto, se il rettore e le due zie avessero profuso tenere cortesie sul suo capo – avrebbero potuto sconfiggerla. Ma ormai lo spirito di resistenza era in lei più forte che mai.

Lady Anna
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