Il poeta di Keswick
Infinite difficoltà si andavano ormai complicando sul capo del povero Daniel Thwaite. Il plico che la contessa gli mandò non lo raggiunse a Londra, bensì gli fu inoltrato nel Cumberland, dove si era affrettato nel ricevere da Keswick la notizia che il padre stava probabilmente per morire. L’anziano aveva avuto un attacco e quando era stato inviato il messaggio si riteneva improbabile che rivedesse mai il figlio. Daniel si recò al nord con la massima velocità che gli consentivano i suoi mezzi, raggiungendo Whitehaven con il battello a vapore e da lì Keswick con la carrozza. Tutta la sua paga consisteva solo di trentacinque scellini la settimana e con quelli non poteva permettersi di raggiungere Keswick con il postale. Ma arrivò a casa in tempo per vedere il padre vivo e per stare al suo capezzale quando il vecchio morì.
Sebbene non ci fosse tempo per molte parole tra di loro e nonostante l’apatia dovuta alla morte imminente avesse già offuscato la mente di Thomas Thwaite, tanto che, per la maggior parte del tempo, non si curava – come non se ne curano i morenti – delle cose che erano state per lui del massimo interesse, fu detto tuttavia qualcosa sulla contessa e Lady Anna. «Non ti occupare più di loro, Dan», disse il padre.
«Sarebbe davvero meglio», disse Daniel.
«Sì, davvero. Che possono essere loro per quelli come te? Dammi un goccio di brandy, Dan». Ormai il goccio di brandy era per lui più importante della contessa; ma anche se egli pensò ben poco a quelle ultime parole, il figlio ci pensò molto. Che cosa potevano essere persone come la contessa e la figlia titolata per lui, Daniel Thwaite, il sarto rovinato? Perché il padre che stava morendo era proprio un uomo rovinato. Quel che restava dei suoi averi sarebbe bastato a pagare i debiti a Keswick e quanto all’attività, si era giunti al punto che non valesse la pena mantenerla.
Il vecchio sarto morì e venne sepolto, e tutta Keswick seppe che non aveva lasciato nulla, a parte il denaro che la contessa gli doveva, riguardo al quale l’opinione pubblica di Keswick differiva molto. C’erano coloro che dicevano che i due Thwaite, padre e figlio, avessero saputo far molto bene i loro interessi e che Daniel Thwaite ora, alla morte del padre, sarebbe entrato in possesso di obbligazioni su una vasta porzione dei beni Lovel. A Keswick era universalmente ritenuto che le rivendicazioni del conte sarebbero state abbandonate, che i diritti della contessa e della figlia sarebbero stati riconosciuti e che il conte e sua cugina si sarebbero sposati. In tal caso le obbligazioni sarebbero state pagate e Daniel Thwaite sarebbe diventato un uomo ricco. Tale era la convinzione di chi credeva nell’esistenza del debito. Ma vi erano altri che non credevano nell’esistenza di nessun’obbligazione del genere e che ridevano all’idea che fossero stati prestati dei soldi. Il vecchio sarto aveva, senza dubbio, alleviato i bisogni immediati della contessa offrendole riparo e cibo, e aveva sperperato le sue sostanze facendo viaggi e trascurando gli affari; ma si riteneva che ciò fosse tutto. Per tali servigi resi dal padre, non era probabile che venisse pagato al figlio molto denaro, tanto più che a Keswick si sapeva che Daniel Thwaite aveva litigato con la contessa. Poiché la seconda ipotesi era quella prevalente, Daniel non si vide trattare con particolare rispetto nel suo paese natio.
Il vecchio lasciò come testamento un documento molto semplice, in base al quale tutto quel che aveva andava al figlio. E in esso c’era questo paragrafo: «Mi aspetto che la Contessa Lovel renda a mio figlio tutto il denaro da me prestatole». Quanto alle obbligazioni, – o qualsivoglia singola obbligazione – Daniel non ne trovò nessuna. C’era il resoconto, di lunga data, di alcune piccole cifre dovute dalla contessa e c’era la ricevuta di sua signoria per una somma di 500 sterline, che a quanto pareva le era stata prestata al tempo del processo per bigamia. Oltre a ciò non riuscì a trovare nessun documento con qualsivoglia elenco dettagliato e gli parve che le sue pretese fossero ridotte a una cifra inferiore a 600 sterline. Tuttavia aveva appreso dal padre che tutti i risparmi erano stati spesi per le due signore ed egli credeva di aver sentito nominare un po’ di tempo prima una somma che superava le 6.000 sterline. Trovandosi in difficoltà si rivolse a un avvocato locale e l’avvocato gli consigliò di appellarsi alla generosità della contessa. Egli pagò al legale una modesta parcella e decise subito che non avrebbe seguito il consiglio del legale. Non si sarebbe affidato alla generosità della contessa.
A quel tempo viveva ancora nel vicinato un grand’uomo, un poeta, che aveva quasi concluso una vita di grandi onori e molti dolori. Era una persona che, nei suoi ultimi giorni, rifuggiva ogni compagnia e a cui non importava di veder nessun viso tranne quelli dei pochi sopravvissuti che aveva amato in gioventù. E poiché quei pochi sopravvissuti vivevano lontano ed egli era poco propenso a muoversi da casa, la sua vita era quella di un recluso. Vedeva ben poco gli abitanti del vicinato, che per la maggior parte si erano raccolti là da quando lui era giunto tra loro, e i vicini dicevano che era cupo e malinconico. Ma, a parer loro, era stato un amico di Thomas Thwaite e ora, nell’emergenza, il figlio andò a trovare il poeta. I visitatori qualunque, che potevano essere e spesso erano intrusi, assai di rado erano ammessi al modesto cancello; ma Daniel Thwaite fu subito accompagnato alla presenza dell’uomo di lettere. Non si vedevano da quando Daniel era un ragazzo e nessuno dei due avrebbe riconosciuto l’altro. Il poeta in realtà non era ancora un vecchio, ma aveva tutte le caratteristiche della vecchiaia. Le spalle erano curve e gli occhi infossati nella testa, le labbra erano sottili e serrate. Ma c’era ancora il bell’ovale del viso, a dispetto delle devastazioni degli anni, delle fatiche e del dolore, e la particolare brillantezza degli occhi non si era ancora offuscata. «Mi è dispiaciuto, signor Thwaite, sapere della morte di vostro padre», disse il poeta. «Lo conoscevo bene, ma era qualche anno fa, e lo consideravo un uomo di singolare rettitudine e carattere». Daniel allora gli chiese il permesso di raccontare la sua storia, e la raccontò tutta dall’inizio alla fine – come lui e il padre avessero lavorato per la contessa e la figlia, come il loro tempo e il loro denaro fosse stato speso per lei; come egli avesse imparato ad amare la ragazza e come, credeva, la ragazza avesse amato lui. E raccontò con assoluta sincerità l’intera storia, per quel che ne sapeva, di quel che era stato fatto a Londra negli ultimi nove mesi. Non esagerò nulla e non si fece scrupolo di parlare apertamente delle sue speranze. Mostrò la lettera che aveva inviato alla contessa e il biglietto di lei, e nel far ciò non nascose nessuno dei suoi sentimenti. Il poeta pensava che ci fosse qualche ragione per cui, date le circostanze, un sarto non dovesse sposare la figlia di una contessa? Poi fornì un resoconto, in base alle sue conoscenze, del denaro che era stato prestato e produsse una copia del testamento paterno. «E ora, signore, che dovrei fare secondo voi?».
«La prima volta che avete parlato d’amore alla ragazza, non avreste dovuto informarne la madre, signor Thwaite?».
«Voi avreste agito così, signore?».
«Non dirò questo – ma ritengo che avrei dovuto. La ragazza era tutto quel che lei aveva».
«È possibile che io abbia sbagliato. Ma se la ragazza mi ama ora…».
«Per nulla al mondo vorrei ferire i vostri sentimenti, signor Thwaite».
«Non risparmiateli, signore. Non sono venuto qui per sentirmi dire qualcosa di consolante».
«Non lo penso del figlio di vostro padre. Considerando quale sia il vostro rango e quale il loro, il fatto che loro siano nobili e di vecchia nobiltà, tra le poche piante da serra della nazione, mentre voi siete uno del popolo – una spiga di grano nel campo aperto, se così posso dire – nato per conquistare il pane con il sudore della fronte, potete credere che un matrimonio del genere non sarebbe doloroso per loro?».
«La pianta di serra è più forte o migliore, o più utile della spiga di grano?».
«Ho detto questo, amico mio? Non dirò che una stia più in alto dell’altra, o sia migliore o più utile al cospetto di Dio. Ma sono diverse e anche se le differenze possono convergere senza danno quando i limiti sono vicini, io non credo negli innesti violenti come questo».
«Intendete dire, signore, che un uomo così in basso come un sarto non dovrebbe cercare di sposare qualcuno così infinitamente superiore a lui come la figlia di un conte».
«Sì, signor Thwaite, è quel che intendo; anche se spero che nel venire da me, mi conosceste così bene da essere certo che non vi avrei offeso intenzionalmente».
«Non c’è nessun’offesa, non può sussistere nessuna offesa. Sono un sarto e non mi vergogno assolutamente della mia professione. Ma non pensavo, signore, che voi credeste in modo così assoluto nell’aristocrazia».
«Credo solo nel Signore», disse il poeta, «in Colui che, nella Sua saggezza e per i Suoi scopi, ha creato gli uomini di ceto diverso».
«E stata opera Sua, signore, o del diavolo?».
«No, non discuterò con voi di una questione del genere. A ogni modo non ne discuterò ora».
«Ho letto, signore, nei vostri primi libri…».
«Non citatemi i miei libri, né i primi né gli ultimi. Mi chiedete consiglio e io ve lo do secondo le mie capacità. Forse verrà il tempo, signor Thwaite», e questo lo disse ridendo – «in cui anche voi sarete meno impetuoso nella vostra avversione per la nobiltà di quanto lo siate ora».
«Mai!».
«Ah; è sempre così che i giovani uomini si rassicurano sulle loro convinzioni del momento».
«Pensate allora che dovrei rinunciare del tutto a lei?».
«Io la lascerei a se stessa e a sua madre e a questo giovane lord, se è il suo innamorato».
«Ma se lei ama me! Oh, signore, mi amava davvero una volta. Se mi ama, dovrei lasciarle credere, mentre il tempo passa, che mi sono dimenticato di lei? Che possibilità può avere se non interferisco per farle sapere che le sono devoto?».
«Avrà la possibilità di diventare Lady Lovel e di amare il marito».
«Allora, signore, non credete nei voti d’amore?».
«Come posso rispondere?» disse il poeta. «Certo che credo nei voti d’amore. Ho scritto molto sull’amore e sempre con l’intento di scrivere la verità, come la conoscevo, o pensavo di conoscerla. Ma l’amore di cui cantiamo noi poeti non è l’amore del mondo reale. È più estatico, ma assai meno utile. È l’immagine di ciò che esiste, ma reso splendido da attributi fittizi, come lo sono i ritratti delle dame dipinti da artisti che hanno pensato più alla loro arte che alle loro modelle. Parliamo di una costanza nell’amore che è a stento compatibile con gli usi di questo mondo ancora imperfetto. Guardatevi intorno e vedrete che le ragazze si innamorano due volte e gli uomini tre. Si incontrano e come uccellini si strofinano le penne, e ognuno immagina di aver trovato nell’altro l’eternità nella buona o nella cattiva sorte. Poi giungono le cause della separazione. I padri magari sono Capuleti e Montecchi, ma i figli, ne sia ringraziato il Signore, non sono Romei e Giuliette. Oppure i soldi non bastano, o intervengono le distanze, o semplicemente un volto mai visto prima ha il povero merito della novità. La costanza di cui cantano i poeti è la chimerica – posso quasi dire non necessaria – costanza di una Giulietta. La costanza di cui la nostra natura dovrebbe andare orgogliosa è quella di un’Imogene.29 Avete letto Shakespeare, spero, signor Thwaite?».
«Conosco i drammi che citate, signore. Imogene era la figlia di un re, e sposò un semplice gentiluomo».
«Non dirò che i voti giovanili non debbano significare nulla», continuò il poeta, restio a far caso al punto a suo sfavore. «Mi piace sentire che una ragazza ha tenuto fede al suo primo bacio. Ma questa ragazza avrà diritto a un’unanime giustificazione in caso di una seconda scelta. E potete credere che poiché la vostra compagnia era piacevole per lei qui tra le native montagne, quando non conosceva altri che voi, sarà indifferente al fascino di un uomo quale voi mi avete detto essere Lord Lovel? Avrà rimpianti, rimorsi persino; soffrirà, perché sa che siete stato buono con lei. Ma cederà, e la sua vita sarà più felice con lui di quanto lo sarebbe con voi – a meno che egli non sia un uomo cattivo, cosa che non so. Pensate che non ci sarebbero rimpianti, nessun pentimento, quando dopo avervi sposato scoprisse di essersi separata da tutto ciò che aveva imparato a considerare molto piacevole in questo mondo? Sarebbe felice nel litigare con la madre e i parenti appena trovati? Date poca importanza al sangue nobile, e forse anch’io non gliene attribuisco di più nelle questioni che riguardano me. Ma lei è nobile e penserà a ciò. Quanto al vostro denaro, signor Thwaite, ne farei una mera questione di affari con la contessa, come se non ci fosse la questione che riguarda la figlia. Probabilmente avrà un resoconto del denaro e senza dubbio vi pagherà quando avrà i mezzi a sua disposizione».
Daniel lasciò il suo Mentore senza un’altra parola per perorare la propria causa, ringraziando per il consiglio che gli era stato fornito e assicurando il poeta che si sarebbe sforzato di trarne profitto. Poi se ne andò, camminando proprio per quei sentieri dove soleva girovagare con Anna Lovel, e tentò di digerire le parole che aveva udito. Non gli riusciva di vederne la verità. Poteva capire di non dover costringere la ragazza a sposarlo, se amava un altro più di quanto amasse lui, avvalendosi semplicemente dell’impegno che lei aveva preso. Ma si rifiutava di ammettere che fosse naturale da parte di lei trasferire a un altro l’affetto che un tempo aveva concesso a lui, perché l’altro era un lord. Non solo il suo cuore, ma tutto il suo intelletto si ribellava contro una simile decisione. Un mutamento d’affetto così violento, egli riteneva, avrebbe mostrato che lei era incapace di amare. E tuttavia tale insegnamento gli era giunto da un uomo che, come lui stesso aveva detto, aveva scritto molto sull’amore.
Ma, sebbene discutesse in tal modo tra sé, le parole del vecchio poeta avevano avuto una loro efficacia. Sia che la colpa fosse della ragazza, o sua, o delle circostanze del caso, egli decise di imparare ad accettare l’idea di averla persa. Non avrebbe mai amato un’altra donna. Anche se la figlia del conte non sapeva essergli fedele, lui, l’innamorato, sarebbe rimasto fedele alla figlia del conte. Forse non c’erano più dei Romei tra i nobili Capuleti e i nobili Montecchi – che egli in realtà riteneva essere sordi alla fedeltà; ma il sale della costanza non per questo era sparito dalla terra. Avrebbe ricavato quel che poteva dai miserevoli resti dei beni paterni – ottenuto il pagamento se possibile di quelle misere 500 sterline di cui aveva la ricevuta – e poi se ne sarebbe andato in qualche terra lontana dove il più saggio dei consiglieri non gli avrebbe detto che per via della sua attività era inadatto a unirsi con il sangue blu.
Quando ebbe autenticato il testamento del padre, ne inviò una copia alla contessa con la seguente lettera:
Keswick, 4 novembre 183*
Milady,
non so se vostra signoria abbia già saputo della morte di mio padre. È morto qui il 24 dello scorso mese. È stato colpito da apoplessia il 15 e non si è mai ripreso dall’attacco. Penso che vi dispiacerà per lui. Mi sento tenuto a inviare a vostra signoria una copia del suo testamento. Vostra signoria forse avrà qualche rendiconto delle transazioni monetarie tra voi e lui. Io non ne ho, tranne una ricevuta per 500 sterline datagli da voi molti anni fa. C’è anche una cambiale per 71 sterline 18 scellini e 9 penny. È possibile che nulla più di questo sia dovuto, ma voi lo saprete. Sarò felice di avere notizie da vostra signoria sull’argomento e resto,
rispettosamente, vostro
DANIEL THWAITE
Ma era ancora deciso, prima di partire per l’estremo occidente, a ottenere da Anna Lovel in persona una dichiarazione della sua volontà di lasciarlo.