Il vice-procuratore generale fa una proposta
Quando il signor Flick tornò dalla Sicilia si pronunciò con decisione a favore di un compromesso. Aveva visto la cosiddetta contessa italiana – che indubbiamente ormai veniva chiamata contessa da tutti coloro che le stavano intorno – e non credeva che fosse mai stata sposata al vecchio conte. Credeva sì che una signora italiana avesse sposato il vecchio lord venticinque anni prima – probabilmente la sorella minore della donna in questione – e credeva anche che la moglie fosse morta prima del matrimonio ad Applethwaite. Tale era la sua opinione personale. Il signor Flick era, a modo suo, un uomo onesto – un uomo che certamente non avrebbe sostenuto consapevolmente un’ingiusta rivendicazione; ma ora agiva come legale del giovane conte e non era affar suo raccogliere prove per i suoi avversari. Riteneva davvero che se avesse usato tutta la sua abilità e i fondi a disposizione sarebbe riuscito ad arrivare alla verità in modo da renderla chiara e indiscutibile agli occhi di una giuria inglese; ma se la verità era sfavorevole alla sua parte, perché cercarla? Si rendeva conto che la contessa inglese avrebbe sostenuto le proprie ragioni sulla base della legittimità del matrimonio di Applethwaite e dell’assoluzione del vecchio conte dall’accusa di bigamia. Poiché la contessa era irremovibile, nella misura in cui le sue ragioni la rendevano irremovibile, sarebbe in realtà toccato all’altra parte in causa – al giovane conte – dimostrare il precedente matrimonio. Il peso della dimostrazione sarebbe ricaduto su di lui e non sarebbe toccato alla contessa provarne la falsità. Legali poco candidi – tra gli altri il signor Flick, che sebbene fosse abbastanza onesto sapeva essere poco candido – avevano dichiarato il contrario. Ma così stavano le cose; e poiché la contessa e i suoi amici disponevano di poco denaro, nessun tentativo era stato fatto da parte loro per procurarsi delle prove dalla Sicilia. Tutto ciò il signor Flick lo sapeva e si chiedeva se fosse saggio da parte sua scomodare ancora la storia d’amore siciliana. La contessa italiana, una donna anziana, orribile e logorata, che dichiarava di avere quarantaquattro anni, probabilmente ne aveva cinquantacinque e ne dimostrava settantasette, non avrebbe mosso un passo verso l’Inghilterra. Era disposta a prestare e aveva prestato un numero illimitato di giuramenti. Le prove documentarie, sue, di vari preti, dei domestici e dei vicini, abbondavano. Il signor Flick apprese dall’interprete che un certo vecchio prete trovava ridicola l’idea che potesse sussistere il benché minimo dubbio. Inoltre c’erano delle lettere – lettere che si diceva fossero state scritte dal conte nei tempi andati alla moglie vivente e che vennero mostrate al signor Flick. Il signor Flick era un uomo colto che conosceva molte cose. Aveva qualche nozione di manifattura della carta e si rifiutò di guardare le lettere dopo il primo tocco. Non spettava a lui raccogliere prove per la parte avversa. L’orribile vecchia pretendeva con insistenza del denaro. I preti pretendevano con insistenza del denaro. I vicini pretendevano con insistenza del denaro. Non avevano forse tutti giurato qualsiasi cosa lui volesse e che non volevano essere pagati? Una modesta somma fu versata all’orribile, schiamazzante, avida vecchia; una somma esigua – e a riguardo il signor Flick si vergognava come un ladro – fu versata al vecchio prete; dopo di che il signor Flick si affrettò a tornare in patria, pienamente convinto che si dovesse raggiungere un compromesso per il denaro e che andasse riconosciuta la legalità dei titoli rivendicati dalle due signore inglesi. Era possibile che l’orrida megera fosse un tempo diventata la Contessa Lovel. Era certo che negli ultimi anni il vecchio conte l’aveva chiamata così, anche se non l’aveva vista nemmeno una volta durante l’ultimo soggiorno in Sicilia. Era possibile che la goffa messa in scena delle lettere fosse stata perpetrata con l’intenzione di corroborare un caso vero con prove false. Ma il signor Flick riteneva che si dovesse raggiungere un compromesso ed espresse la sua opinione con grande chiarezza a Sir William Patterson. «Intendete un matrimonio», disse il vice-procuratore generale. Al momento era presente anche il signor Hardy, patrocinante per la corona,8 il secondo consulente legale del conte.
«Non necessariamente un matrimonio, Sir William. Potrebbero dividere il denaro».
«La ragazza non è maggiorenne», disse il signor Hardy.
«Ha a mala pena vent’anni», disse Sir William.
«Penso che la cosa si possa gestire a suo nome», disse il legale.
«Chi potrebbe essere autorizzato a sacrificarne i diritti?» disse il signor Hardy che era un uomo burbero.
«Forse potremmo far fronte all’ostacolo finché non sarà maggiorenne», disse il vice-procuratore generale, che era un uomo mite, dai modi soavi con gli amici, sebbene fosse in grado di controinterrogare un testimone – o una testimone – fino a lasciarlo senza fiato se il caso lo richiedeva.
«Naturalmente potremmo farlo, Sir William. Che cos’è un anno in un caso del genere?».
«Non granché tra legali, vero, signor Flick? Voi ritenete che non dovremmo portare il nostro caso in tribunale».
«È un buon caso, Sir William, senza dubbio. C’è la donna – la chiameremo la contessa – pronta a giurare, e lo ha giurato, di essere la moglie del vecchio conte. Tutte le persone che la circondano la chiamano la contessa. Il conte certamente parlava di lei come della contessa e le spediva piccole quantità di denaro, poiché era la sua contessa, nei dieci anni e più dalla partenza da Lovel Grange. C’è il vecchio prete che li ha sposati».
«Se questo non è un buon caso il diavolo ci ha messo la coda», disse il signor Hardy.
«Continuate, signor Flick», disse il vice-procuratore generale.
«Naturalmente ho tutte le prove documentarie, Sir William».
«Continuate, signor Flick».
Il signor Flick si grattò la testa. «Si tratta di una posta enorme, Sir William».
«Indubbiamente lo è. Continuate».
«Non credo di avere altro da aggiungere, tranne che io cercherei di arrivare a un accordo se potessi. Il nostro cliente, Sir William, si troverebbe in una situazione eccellente se ottenesse metà della rendita che è in gioco».
«O tutta intera con la moglie», disse il vice-procuratore generale.
«O tutta intera con la moglie, Sir William. Se dovesse perdere tutto, egli… per così dire, non sarebbe approdato a nulla».
«Proprio a nulla», disse il vice-procuratore generale. «La proprietà vincolata non vale più di mille sterline l’anno».
«Io sarei per un accordo», disse il signor Flick, la cui mente forse andava, cosa naturale, alla notevole quantità di denaro da lui rischiato nella faccenda. Non dubitava che la sua parcella, incluso l’onorario dei patrocinatori, sarebbe stata pagata presto o tardi con i beni patrimoniali – ma un compromesso avrebbe reso il saldo facile e gradito.
Il signor Hardy era favorevole a continuare la lotta. Non c’era in quel periodo un avvocato che indossasse la toga di patrocinante per la corona più entusiasta, più onesto, più illuminato del signor Hardy; ma non aveva il dono di penetrare l’oscurità che apparteneva al vice-procuratore generale. Quando il signor Flick parlava dei punti di forza del loro caso, basati su varie prove a loro favore, il signor Hardy dava credito alle parole del signor Flick e respingeva l’opinione del signor Flick. Riteneva in cuor suo che la contessa inglese fosse un’imbrogliona, non credeva alle sue rivendicazioni; e sarebbe stato per lui fiele e assenzio concedere a una simile donna metà delle ricchezze che avrebbero dovuto sostenere l’antica dignità e la grazia aristocratica della casa dei Lovel. Odiava il compromesso e desiderava giustizia – e più che essere un avvocato di successo era un grande avvocato. Sir William aveva subito percepito che c’era un qualcosa sullo sfondo che era suo dovere valutare, che era tenuto a considerare – ma di cui al tempo stesso non era opportuno che si formasse una più approfondita o più accurata conoscenza. Doveva fare quanto di meglio era in suo potere per il cliente. Il Conte Lovel con mille sterline l’anno, e probabilmente già gravate da debiti, sarebbe stato una povera, miserevole creatura, un lord fasullo, un conte senza la stessa essenza del titolo. Ma il Conte Lovel con quindici o ventimila sterline l’anno non sarebbe stato da meno della maggior parte degli altri conti. Ci sarebbe stata solo la differenza tra due lacchè incipriati e quattro, tra quattro cavalli da caccia e otto, tra Belgrave Square ed Eton Place. Sir William, se si fosse sentito sicuro, avrebbe naturalmente preferito i quattro lacchè per il suo cliente, nonché gli otto cavalli da caccia e Belgrave Square; anche se la povera contessa fosse stata ridotta alla fame, o a venir sfamata dalla generosità del sarto. Ma non era sicuro. Cominciava a credere che quel malvagio vecchio conte fosse stato troppo malvagio per tutti loro. «Dicono che sia una ragazza molto carina», disse Sir William.
«Davvero molto bella, mi riferiscono», disse il signor Flick.
«E innamorata del figlio del vecchio sarto di Keswick», disse il signor Hardy.
«Preferirà il lord al sarto per una ghinea», disse Sir William.
E così fu deciso, in modo piuttosto titubante, che si dovesse sondare il loro cliente sull’opportunità di un compromesso. Non avevano dubbi che la povera donna sarebbe stata felice di accettare, per sé e per la figlia, metà delle sostanze in gioco – tale metà sarebbe stata per lei una ricchezza quasi illimitata – a condizione che venisse loro assicurato il rango – il rango e tutti i privilegi dell’onesta legittimità. Ma il necessario ritardo provocava senza dubbio un serio impedimento per un tale accordo e si ritenne che il corso più saggio da seguire sarebbe stato proporre il matrimonio. Ma chi doveva proporlo e come andava proposto? Sir William era pronto a suggerirlo al giovane lord o alla famiglia del giovane lord, di cui naturalmente bisognava prima ottenere il consenso; ma chi avrebbe dovuto rompere il ghiaccio con la contessa? «Suppongo che dovremo interpellare il nostro amico, l’avvocato di prima classe», disse il signor Flick. L’avvocato di prima classe Bluestone era il principale consulente legale della nostra contessa ed era violentemente energico nel caso in questione. Giurava ovunque che il vice-procuratore generale non avesse una sola prova convincente e ne fosse consapevole. Che facessero venire là quella contessa italiana se ne avevano il coraggio. Glielo avrebbe dato lui il titolo di contessa e glielo avrebbe anche tolto! Da quando per la prima volta aveva fatto conoscenza con i tribunali inglesi non c’era mai stato un caso ingrato quanto lo era quello. Il vecchio conte non era forse stato assolto dall’accusa di bigamia quando la sventurata donna aveva fatto del suo meglio per liberarsi dalla sua situazione? L’avvocato di prima classe Bluestone, che era un uomo estremamente impetuoso e affrontava tutti i casi come se il fatto stesso di patrocinare un suo avversario fosse un insulto personale, non era mai stato così impetuoso prima d’allora. «L’avvocato la prenderà come una resa», disse il signor Flick.
«Dovremo scavalcare l’avvocato», disse Sir William. «Ci sono delle signore nella famiglia Lovel; dovremo gestire la cosa tramite loro». E così i legali del giovane lord decisero di provare a fargli sposare l’ereditiera.
I due cugini non si erano mai visti. Lady Anna aveva a malapena sentito nominare Frederic Lovel prima della morte del padre; ma, da allora, era stata educata a ritenere il giovane lord il suo nemico naturale. Al giovane lord era stato insegnato fin dall’infanzia a considerare la cosiddetta contessa e la figlia come delle truffatrici che un giorno o l’altro avrebbero cercato di privarlo della sua eredità – e ultimamente come delle truffatrici che lavoravano con grande impegno al loro progetto. Gli avevano parlato dell’amicizia tra la contessa e il vecchio sarto – e anche di quella tra la cosiddetta Lady Anna e il giovane sarto. A questi lontani Lovel – a Frederic Lovel che era cresciuto sapendo che sarebbe diventato conte, a suo zio e sua zia da cui era stato allevato – le donne di Keswick erano state dipinte come volgari, odiose e poco rispettabili. Si sa quanto può essere salda la convinzione di una famiglia in questioni del genere. I Lovel guardavano con una certa apprensione al tentativo in corso. Comprendevano altrettanto bene del signor Flick la splendida situazione che avrebbe coronato il successo e lo squallore che avrebbe accompagnato un conte in bolletta. Erano decisamente nervosi e a tratti spaventati. Ma la fiducia nella giustizia della loro causa era illimitata. Il vecchio conte, il cui ricordo era per loro terribile, aveva deliberatamente lasciato due nemiche sulla loro strada. C’era stata l’amante italiana appoggiata dal testamento e c’era la figlia illegittima. Una era stata sconfitta; ma l’altra…! Ah… sarebbe stato terribile se non fosse stato possibile sconfiggere anche quella nemica! Avevano offerto trentamila sterline alla nemica; ma la nemica non si era lasciata tentare dall’allettante offerta. L’idea di por fine a tutti i problemi con un matrimonio non era passata loro per la mente. Se la signora Lovel fosse stata interpellata a riguardo, avrebbe detto che Anna Murray – come di proposito chiamava sempre Lady Anna – non era degna di sposarsi.
Il giovane lord, che pochi mesi dopo la morte del cugino aveva raggiunto l’età per sedere alla Camera dei Lord, era un giovanotto allegro e cordiale, che era stato ricondotto a casa dal mare all’età di vent’anni per la morte di un fratello maggiore. Una parte della famiglia aveva desiderato che egli continuasse nella sua attività a dispetto del titolo di conte; ma si era ritenuto poco appropriato che fosse conte e guardiamarina allo stesso tempo e la morte del cugino mentre egli si trovava ancora a terra decise la questione. Era un giovane dai capelli chiari, ben fatto, con l’aria da marinaio, ed era un gentiluomo dalla testa ai piedi. Se fosse stato convinto che Lady Anna era davvero Lady Anna, nessuna ragione al mondo l’avrebbe indotto ad avanzare pretese sul denaro. Dalla morte del vecchio lord aveva vissuto principalmente con suo zio Charles Lovel, avendo trascorso due o tre mesi a Lovel Grange. Charles Lovel era un ecclesiastico, con un prospero beneficio a Yoxham, nello Yorkshire, che aveva sposato una moglie ricca, una donna con duemila sterline l’anno di suo, e pertanto se la cavava bene nel mondo. I suoi due figli maschi erano a Harrow e aveva anche una figlia. Con loro viveva inoltre la signorina Lovel, zia Julia – che tra tutti i Lovel era ritenuta la più saggia e la più dotata d’ingegno. Il religioso, sebbene fosse un uomo benvoluto, non era dotato d’ingegno. Era irascibile, grossolano, generoso, affettuoso e avventato. Era molto orgoglioso della posizione del nipote come capo della famiglia – ed era tutto preso dai torti subiti dal nipote che nascevano dalla frode di quelle donne Murray. Era un violento conservatore e aveva sentito molto parlare del radicale di Keswick. Non dubitava nemmeno per un attimo che sia il vecchio Thwaite che il giovane Thwaite fossero impegnati a escogitare un nefando piano di saccheggio con cui arricchirsi. Venire a sapere che entrambi erano stati condannati e deportati era la speranza della sua vita. Che un radicale non meritasse la deportazione era per lui inconcepibile. Che un radicale potesse risultare onesto era incredibile. Eppure egli era un uomo del tutto benevolo e caritatevole, le cui buone qualità erano incomprensibili per il vecchio Thomas Thwaite, come quelle di Thomas Thwaite lo erano per lui.
A chi per prima il vice-procuratore generale doveva comunicare la proposta? Aveva già avuto contatti con i Lovel e non era rimasto granché colpito dall’acutezza di giudizio dell’ecclesiastico. Era un vice-procuratore generale Whig, perché c’erano ancora dei Whig a quei tempi,9 e al signor Lovel non era piaciuto granché. Il signor Flick aveva visto spesso la famiglia – poiché c’erano stati molti colloqui con il giovane lord, con il religioso e con zia Julia. Alla fine fu deciso su consiglio di Sir William che il signor Flick scrivesse una lettera a zia Julia, suggerendole di venire in città.
«Il signor Lovel si infurierà», disse il signor Flick.
«Dobbiamo fare quanto di meglio è in nostro potere per il cliente», disse Sir William. La lettera venne scritta nello stile estremamente discreto del signor Flick: poiché Sir William Patterson era ansioso di discutere una questione, riguardante il caso di Lord Lovel, a proposito della quale una voce di donna sarebbe probabilmente risultata più utile di quella di un uomo, forse la signorina Lovel non avrebbe avuto da obbiettare di fronte alla seccatura di un viaggio a Londra. La signorina Lovel arrivò e con lei giunse anche il fratello.
L’incontro si svolse nello studio di Sir William e non vi era presente nessuno a parte Sir William, la signorina Lovel e il signor Flick. Al signor Flick era stato chiesto di rimanere seduto tranquillo senza dir nulla, a meno che non gli venisse rivolta una domanda, ed egli seguì le istruzioni. Dopo aver porto delle scuse, che erano forse troppo miti e dolci – e che non erano assolutamente necessarie, visto che la stessa signorina Lovel, sebbene molto saggia, non era né mite né dolce – il grand’uomo introdusse così la questione. «Si tratta di un caso molto serio, signorina Lovel».
«Davvero molto serio».
«Potete a stento immaginare che terribile carico di responsabilità gravi sulle spalle di un legale, quando deve dare consigli in un caso simile, quando forse la prosperità di un’intera famiglia può dipendere dalle sue parole».
«Egli può solo fare del suo meglio».
«Ah, sì, signorina Lovel. È facile a dirsi; ma come sapere ciò che è meglio?».
«Suppongo che la verità prevarrà alla fine. È impossibile credere che un giovane come mio nipote debba essere privato di un nobile patrimonio dagli intrighi di due donne del genere. Non posso crederci e non ci voglio credere. Naturalmente io sono solo una donna, ma ho sempre ritenuto un errore offrire loro anche solo uno scellino». Sir William sorrise e si sfregò la testa, fissando la signora negli occhi. Sebbene sorridesse ella si accorse che c’era dell’autentica tristezza nel viso di lui. «Non vorrete dirmi che avete dei dubbi?» chiese.
«Ebbene sì».
«Ritenete che un piano malvagio di questo tipo possa avere successo davanti a un giudice inglese?».
«Ma se il piano non fosse malvagio? Lasciate che vi dica un paio di cose, signorina Lovel… o meglio la mia opinione personale su un paio di punti. Non credo davvero che le due signore siano delle truffatrici».
«Non sono delle signore e sono certa che si tratta di truffatrici», disse la signorina Lovel con gran fermezza, voltando il viso nel rivolgersi al legale.
«Naturalmente vi sto dicendo solo la mia opinione personale e vi prego di credere che nel farmi questa opinione ho usato tutta l’esperienza e tutta la prudenza che mi ha insegnato una lunga pratica in questioni del genere. Vostro nipote ha diritto ai miei migliori servigi e attualmente posso forse fare il mio dovere nei suoi confronti nel modo più completo chiedendovi di ascoltarmi». La signora compresse le labbra e rimase seduta in silenzio. «In questo preciso momento non esprimerò un parere sul fatto che la signora Murray, come l’abbiamo finora chiamata, fosse o meno la moglie legittima del defunto conte; ma sono sicuro che lei pensa di esserlo stata. Il matrimonio fu regolare e documentato. Il conte fu processato per bigamia e assolto. Le persone con cui abbiamo a che fare oltremanica, in Sicilia, non sono rispettabili. Non si riesce a convincerle a venir qui per testimoniare. Una giuria inglese sarebbe naturalmente maldisposta verso di loro. Per una giuria si tratta semplicemente di una questione di fatti e noi non possiamo scavalcare la giuria. Se la figlia fosse stata un figlio, si sarebbe deciso alla Camera dei Lord quale dei due giovani dovesse diventare un pari del regno – ma visto come stanno le cose, è semplicemente una questione di proprietà e di fatti concernenti il possesso della proprietà. Se dovessimo perdere la causa, vostro nipote sarebbe… un uomo molto povero».
«Molto povero davvero, Sir William».
«La sua posizione sarebbe penosa. Mi sento tenuto a dire che dovremmo andare in tribunale per il processo con ben poca speranza. Il signor Flick è pienamente d’accordo con me».
«Proprio così, Sir William», disse il signor Flick.
La signorina Lovel guardò di nuovo il procuratore, compresse più che mai le labbra, ma non disse una parola.
«In casi del genere nascono dei pregiudizi, signorina Lovel. È naturale che voi e la vostra famiglia siate prevenuti contro quelle signore. Quanto a me, non ritengo che si possa asserire qualcosa di vero contro di loro».
«La ragazza si è rovinata la reputazione con il figlio di un sarto», quasi gridò la signorina Lovel.
«È quel che vi è stato detto, ma io non credo che sia vero. Indubbiamente sono cresciuti insieme da bambini e il signor Thwaite è stato estremamente gentile con entrambe le signore». Venne subito in mente alla signorina Lovel che Sir William era un Whig e che in verità c’era ben poca differenza tra un Whig e un radicale. Per essere un autentico gentiluomo, o un’autentica signora, era necessario, a suo avviso, essere conservatori. «Sarebbe un vero peccato che un così imponente patrimonio dovesse sfuggire a una famiglia che, per il suo stesso splendore e l’antica nobiltà, ha bisogno di ampi mezzi». Nel sentire un tale parere, che sarebbe risultato appropriato persino per un conservatore, la signorina Lovel rilassò un po’ i muscoli del viso. «Se il conte dovesse sposare la cugina…».
«Non è sua cugina».
«Se il conte dovesse sposare la signorina che, è possibile, si dimostrerà essere sua cugina, l’intero problema verrebbe spazzato via».
«Sposarla!».
«Mi dicono che sia molto attraente e che la sua istruzione sia stata curata con diligenza. La madre viene da una buona famiglia e ha ricevuto una buona educazione. Se volete arrivare alla verità, signorina Lovel, dovete imparare a credere che non sono delle truffatrici. Non sono delle truffatrici più di quanto lo sia io. Andrò oltre, – anche se forse voi e il giovane conte e il signor Flick non mi riterrete più adatto a occuparmi del caso dopo una simile dichiarazione – io credo, anche se con un’incerta convinzione, che la signora più anziana sia la Contessa Lovel e che sua figlia sia la figlia legittima nonché l’erede del defunto conte».
Nel sentire ciò il signor Flick rimase seduto con la bocca spalancata – sul punto di battersi il petto per la disperazione. La sua opinione coincideva esattamente con quella di Sir William. In realtà Sir William si era fatto guidare proprio dalla di lui opinione, a malapena espressa, ma perfettamente compresa. Egli però non aveva pensato che Sir William sarebbe stato così ardito e sincero.
«Voi credete che Anna Murray sia la vera erede?» boccheggiò la signorina Lovel.
«Sì… con un’incerta convinzione. Sono propenso a crederlo… dovendo basare la mia opinione su prove molto contraddittorie». Il signor Flick era ormai sicuro che Sir William avesse ragione, per quel che riguardava l’opinione espressa – anche se forse sbagliava nell’esprimerla – poiché aveva visto la sua stessa convinzione avvalorata dal riverberarsi in una mente più potente della propria. «Se io, con una naturale propensione a favore del mio cliente, la penso in tal modo», continuò Sir William, «che cosa penserà una giuria, che non avrà nessuna propensione analoga? Se sono cugini – lontani cugini – perché non dovrebbero sposarsi ed essere felici, portando uno il titolo e l’altra la ricchezza? Non potrebbe esserci un’unione più razionale, signorina Lovel».
Poi seguì una lunga pausa prima che qualcuno dicesse una parola. Al signor Flick era stato proibito di parlare e Sir William, dopo aver fatto la sua proposta, era deciso ad aspettare la risposta della signora. La signora era sbalordita e per un po’ non le riuscì né di pensare né di proferire parola. Alla fine aprì bocca. «Ne dovrò parlare a mio fratello».
«Giustissimo, signorina Lovel».
«Ora posso andare, Sir William?».
«Buon giorno, signorina Lovel». E la signorina Lovel se ne andò.
«Vi siete spinto più in là di quanto pensavo avreste fatto, Sir William», disse il signor Flick.
«Non abbastanza lontano, signor Flick. Dovremo spingerci oltre se vogliamo salvare una parte del patrimonio per il giovanotto. Che cosa ci guadagneremmo anche se riuscissimo a dimostrare che il conte in gioventù aveva sposato la vecchia megera siciliana che è ancora viva? In tal caso sarebbe lei a ereditare il patrimonio… non il conte».