Come fu accolta Lady Anna
La contessa andò nella City a incontrare la figlia alla Testa del Saraceno,24 dove la carrozza di York era solita fermarsi, e l’accolse quasi in silenzio. «Oh, mamma, cara mamma», disse Lady Anna, «sono così felice di essere di nuovo con voi». Sarah, la cameriera personale, stava là, inutile, troppo premurosa e con le orecchie tese. La contessa non disse praticamente nulla; si lasciò baciare e si occupò del bagaglio. Conosceva già tutta la storia su Daniel Thwaite.
Il vice-procuratore generale aveva completamente trascurato le ingiunzioni di segretezza del suo cliente. Aveva ritenuto che in una questione di così estrema importanza fosse opportuno badare agli interessi piuttosto che alle istruzioni del cliente. Quella promessa di matrimonio con il figlio del sarto andava distrutta. Nell’interesse dell’intera famiglia Lovel era suo dovere, egli riteneva, far sì che ciò si compisse, se possibile, – e il più velocemente possibile. Quello era il suo dovere, non solo come legale impegnato in un particolare caso, ma come uomo tenuto a impedire qualsiasi terribile sciagura che vedesse incombere nel futuro. Con tale concezione del caso, il matrimonio tra Lady Anna Lovel, con una colossale fortuna, e Daniel Thwaite il sarto, sarebbe stato un deplorevole danno inferto all’universo sociale del suo paese – ed era una di quelle sciagure che si possono probabilmente impedire con debite e discrete precauzioni. Non c’erano dubbi che il sarto volesse i soldi. L’uomo aveva diritto a una considerevole ricompensa per tutto quel che aveva fatto e per tutto quel che aveva sofferto per la causa. Ma Sir William in persona non poteva proporre la ricompensa. Non poteva mettersi a mercanteggiare con il sarto. Non poteva esporsi in una questione del genere. Così mandò a chiamare il signor Flick, il procuratore, e raccontò al signor Flick tutto quel che sapeva. «Si è andata a fidanzare con il sarto!» disse il signor Flick, levando entrambe le mani. Allora Sir William prese le parti di Lady Anna. Dopo tutto, un simile fidanzamento non era – egli riteneva – innaturale. Era avvenuto quando lei era molto giovane, quando non conosceva nessun altro uomo della sua età, quando era profondamente in debito con quell’uomo, quando non aveva avuto nessuna opportunità di paragonare un giovane sarto a un giovane lord. L’aveva fatto probabilmente per gratitudine – così disse Sir William – e ora restava aggrappata al proposito per buona fede più che per affetto. Non fu severo nemmeno con il sarto. Era un uomo particolarmente disposto a trovare scusanti per i poveri deboli, fallaci, ignoranti mortali, non competenti in materia di legge, tranne quando un testimone cercava di opporre resistenza – e in quel momento trovò delle scusanti per Daniel Thwaite. Quell’uomo avrebbe potuto fare assai peggio di quel che stava facendo. La sua condotta denotava una nobile fiducia in se stesso. Lord Lovel credeva che non ci fosse stato scambio di lettere mentre la signorina era a Yoxham. Ci sarebbe potuto essere, ma non c’era stato, un matrimonio clandestino. Fornì altre ragioni per cui Daniel Thwaite non doveva essere considerato del tutto malvagio. Ma, tuttavia, non si doveva permettere al sarto di portarsi via il premio. Il premio era troppo grande per lui. Che si doveva fare? Sir William si degnò di chiedere al signor Flick cosa riteneva si dovesse fare. «Senza dubbio ci faremo guidare molto da voi, signor vice-procuratore», rispose il signor Flick.
«Penso che una cosa sia chiara, signor Flick. Dovete vedere la contessa e dirglielo, o farlo fare al signor Goffe. È evidente che l’hanno tenuta all’oscuro. Al momento vivono tutti sotto lo stesso tetto. Sarebbe meglio che lei lasciasse la casa per andare altrove. Andrebbero separati e la ragazza, se necessario, andrebbe condotta all’estero».
«Presumo che ci siano difficoltà economiche, signor vice-procuratore».
«Non dovrebbe essercene nessuna – e mi assumerò il compito di dire che non c’è ragione che ce ne siano. Si tratta di un caso in cui la corte concederà di buon grado il denaro dalla rendita dei beni. È talmente grande che non si dovrebbe lesinare il denaro per scopi necessari. Viste le rivendicazioni prima facie25 di queste signore, si deve permettere loro di vivere decentemente, secondo il presunto rango, finché il caso non sarà concluso. Non ci sono dubbi che sia lei l’erede».
«Ne siete proprio sicuro, Sir William?».
«Sì, sebbene come ho già detto in precedenza, è un sentirsi sicuri, ma non un essere sicuri. Se quell’italiana fosse stata davvero la vedova, qualcuno ne avrebbe sostenuto il caso con molta più energia».
«Ma se l’altra italiana che è morta fosse stata la moglie?».
«L’avreste scoperto quando siete stato là. Qualcuno da quel paese sarebbe venuto da noi con delle prove, sapendo quanto possiamo permetterci di pagarle. Badate che la questione è già stata affrontata, sotto diversa forma. Il vecchio conte fu accusato di bigamia e venne assolto. Siamo tenuti a considerare la signorina come Lady Anna Lovel e siamo tenuti a considerare lei e la madre congiuntamente come co-eredi, in misura diversa, di tutti i beni personali che il vecchio conte ha lasciato. Non possiamo con sicurezza adottare nessun’altra opinione. Ci saranno ancora delle difficoltà sul loro cammino – e difficoltà molto serie, se lei dovesse sposare il sarto; ma, detto tra noi, alla fine quest’uomo otterrebbe i soldi. Forse, signor Flick, fareste meglio a vederlo. Riuscireste a scoprire quel che pensa senza compromettere nessuno. Ma, in primo luogo, informate di tutto la contessa. Dopo quel che è stato fatto, non avrete difficoltà a incontrare il signor Goffe».
Il signor Flick non ebbe difficoltà nell’incontrare il signor Goffe – sebbene sentisse che ci sarebbero state enormi difficoltà nell’incontrare il signor Daniel Thwaite. Egli raccontò al signor Goffe la storia del sarto malvagio – senza assolutamente trovare quelle scusanti che il signor vice-procuratore generale aveva prodotto per la presuntuosa bramosia di quell’uomo. «Lo sapevo che avremmo avuto problemi con quell’individuo», disse il signor Goffe, a cui i Thwaite non erano mai piaciuti. Allora il signor Flick disse che il signor Goffe avrebbe fatto bene a informare la contessa, e il signor Goffe a quel punto si trovò d’accordo con l’avversario. Due o tre giorni dopo, ma più tardi rispetto alla data dell’ultima lettera che la madre aveva scritto alla figlia, Lady Lovel venne informata che la figlia era fidanzata con il signor Daniel Thwaite.
Aveva sospettato la verità; il suo cuore nell’ultimo mese era stato oppresso dal timore di quella grande calamità; aveva fatto dei piani per tenere i due separati; aveva rivolto alla figlia domande fondate proprio su quel timore: ma ciononostante per un po’ le fu impossibile crederci. Come lo sapeva il signor Goffe? Il signor Goffe l’aveva saputo dal signor Flick, che l’aveva saputo da Sir William Patterson, a cui la storia era stata raccontata da Lord Lovel. «E chi lo ha detto a Lord Lovel?» chiese la contessa riscaldandosi per la collera.
«Senza dubbio è stata Lady Anna», disse il legale. Ma a dispetto dell’indignazione lei poteva mantenere i suoi dubbi. Il legale comunque era sicuro. «Era inutile sperare che non fosse così». Lei continuò a far mostra di non crederci, sebbene fosse ben decisa a prendere tutte le debite precauzioni in materia. Poiché il signor Goffe riteneva che sarebbe stato prudente, avrebbe cambiato domicilio. Avrebbe pensato al progetto di andare all’estero. Sarebbe stata in guardia, disse. Ma non avrebbe ammesso la possibilità che Lady Anna Lovel, la figlia del Conte Lovel, sua figlia, si fosse a tal punto disonorata.
Ma in realtà ci credeva. Il cuore le aveva detto che era proprio vero fin dalla prima parola che il legale le aveva rivolto. Quanto doveva essere stata cieca per non saperlo! Quanto grossolanamente stupida a non aver compreso le solenni affermazioni della figlia sull’impossibilità di un matrimonio con il cugino! Sua figlia non solo l’aveva ingannata, ma era stata tanto scaltra da tener nascosto l’inganno. La cosa doveva andare avanti perlomeno da un anno e lei, nel frattempo, era stata tenuta all’oscuro dalle manovre di una ingenua fanciulla. E poi pensò all’abisso di umiliazione che si preparava per lei. Ecco per cosa aveva speso vent’anni in battaglie incessanti – perché quando tutto era stato fatto, quando infine il successo era stato conquistato, quando il rango e la ricchezza della figlia erano stati resi sicuri in modo assoluto agli occhi del mondo, quando era sul punto di vedere l’indiscusso diadema di contessa sul capo di sua figlia… tutto andasse distrutto per una passione tanto meschina! Non sarebbe stato meglio morire in povertà e oscurità – quando c’erano ancora dei dubbi – prima che un’acclarata vergogna l’avesse travolta? Aveva dimostrato che lei era una contessa e sua figlia l’erede di un conte perché Lady Anna Lovel potesse diventare la moglie di Daniel Thwaite, il sarto!
Prese molte decisioni, ma la prima fu questa: non avrebbe mai più sorriso alla ragazza finché quella bassezza non fosse stata abbandonata. Amava sua figlia come solo le madri sanno amare. Più devota del pellicano, avrebbe dato il sangue del suo cuore – le aveva dedicato tutta la sua vita – non solo per nutrire, ma per accrescere la grandezza della figlia. Veder riconosciuta la propria posizione, il proprio onore, il proprio nome, era per lei solo il risultato secondario del trionfo della figlia agli occhi del mondo. La figlia che lei aveva dato al Conte Lovel, e che il padre aveva bollato come bastarda, doveva grazie a lei divenir nota come Lady Anna, l’erede della fortuna paterna – la più ricca, la più bella, la più nobile delle figlie d’Inghilterra. Si era poi affacciata l’idea soave che la nobile erede dei Lovel dovesse a sua volta divenire Contessa Lovel, e la madre aveva raggiunto vette più alte di orgoglio compiaciuto. Tutto era stato per la figlia! Non l’aveva forse amata come una madre e con tutta la tenerezza di una madre? E per cosa?
Avrebbe continuato ad amarla, ma non sarebbe mai più stata affettuosa finché la figlia non avesse sconfessato lo spregevole – il mostruoso fidanzamento. Tutte le sue facoltà sarebbero confluite nella severità e in una ferrea determinazione. La figlia si era dimostrata falsa e lei ora sarebbe stata spietata; ci sarebbe forse stata della sofferenza, ma lei non aveva sofferto? Ci sarebbe forse stato dolore, ma lei non aveva sopportato il dolore? Ci sarebbe forse stata contesa, ma lei non era sempre stata alle prese con la lotta? Piuttosto che il sarto cogliesse il frutto delle sue fatiche, – fatiche iniziate quando si era sposata con quell’uomo terribile e sinistro – piuttosto che la figlia rendesse ignobile il sangue che le era costato così tanto nobilitare, avrebbe compiuto atti che avrebbero reso persino la malvagità del marito un gioco infantile nella considerazione del mondo. In tale stato d’animo andò a incontrare la figlia alla Testa del Saraceno.
Aveva repentinamente preso in affitto un altro appartamento – in Keppel Street, vicino a Russel Square, molto lontano da Wyndham Street. Aveva chiesto al signor Goffe di raccomandarle un posto ed egli l’aveva mandata da una anziana signora, presso la quale aveva lui stesso alloggiato quando era scapolo. Keppel Street non si può definire alla moda e Russel Square non è granché incline alla nobiltà. Tuttavia la casa era sotto tutti i punti di vista superiore a quella che lasciava e l’affitto era notevolmente più alto. Ma gli affari della contessa per quel che riguardava i soldi erano in ascesa e il signor Goffe non si fece scrupolo di affittare per lei un «elegante» complesso di sale da ricevimento – vale a dire due camere con porte a due battenti – con le stanze da letto al piano di sopra, assistenza da casa di prim’ordine e un sottotetto per la cameriera personale. «E poi sarà vicina alla signora Bluestone», disse il signor Goffe, che sapeva della loro amicizia.
Il tragitto in carrozza con finestrini26 dal cortile del postale a Keppel Street fu orribile per Lady Anna. Non venne detta una parola, perché Sarah, la cameriera personale, sedeva con loro in carrozza. Un paio di volte la povera ragazza cercò di prendere la mano della madre, per indurla a una carezza. Ma la contessa non intendeva permettere simili mollezze, e alla fine ritirò bruscamente la mano. «Oh mamma!» disse Lady Anna, incapace di soffocare lo sgomento. Ma la contessa non disse mai una parola. Sarah, la cameriera personale, cominciò a pensare che dovesse esserci un secondo innamorato. «È Wyndham Street?» chiese Lady Anna quando la carrozza si fermò.
«No, mia cara; non è Wyndham Street. Ho preso un’altra casa. È qui che vivremo. Se scendi, ti seguirò, e Sarah baderà ai bagagli». Poi la figlia entrò in casa e incontrò l’anziana signora che le fece un inchino. Sentì subito di essere stata sottratta al contatto con Daniel Thwaite, e fu certa che la madre conoscesse la sua storia. «Questa è la tua stanza», disse la madre. «Sarà meglio che tiri fuori le tue cose. Sei stanca?».
«Oh! Così stanca!» e Lady Anna scoppiò a piangere.
«Desideri qualcosa da mangiare?».
«Oh, no, nulla! Penso che andrò a letto, mamma. Perché siete così crudele con me? Ditemelo, vi prego. Qualsiasi cosa è preferibile alla vostra crudeltà».
«Anna, tu non sei stata crudele con me?».
«Mai, mamma, mai. Non ho mai avuto l’intenzione di essere crudele. Vi amo più del mondo intero. Non sono mai stata crudele. Ma, voi… Oh, mamma, se mi guardate così, morirò».
«È vero che hai promesso di diventare la moglie del signor Daniel Thwaite?».
«Mamma!».
«È vero? Sarò sincera con te. Il signor Goffe mi ha riferito che hai rifiutato Lord Lovel, dicendogli di doverlo fare perché sei fidanzata con Daniel Thwaite. È vero?».
«Sì, mamma, è vero».
«E hai dato la tua parola a quell’uomo?».
«È così, mamma».
«E tuttavia mi hai detto che non c’era nessun altro quando ti ho parlato di Lord Lovel? Mi hai mentito?». La ragazza sedeva là, disorientata, stupita, incapace di parlare. Aveva viaggiato da York a Londra, in uno di quei terribili veicoli di cui andavamo così orgogliosi quando si parlava delle nostre carrozze di posta. Era sfinita ed esausta. Quella mattina non aveva fatto colazione e si sentiva male e a disagio, non solo nell’animo, ma anche nel corpo. Era ovvio che si sentisse così. La madre lo sapeva. Ma non era il momento della tenera compassione. Sarebbe stato meglio, molto meglio che fosse morta piuttosto che quella spregevole umiliazione. «Allora mi hai mentito?» ripeté la contessa che rimaneva in piedi, incombendo su di lei.
«Oh, mamma, volete farmi morire».
«Preferirei morire qui, ai tuoi piedi, in questo stesso istante e sapere che tu mi seguirai nell’arco di un’ora, piuttosto di vederti sposata a un uomo simile. Non lo sposerai mai. Anche se dovessi andare in tribunale di persona e giurare che ero l’amante di quel lord, – che lo sapevo quando andai a vivere con lui – che tu sei nata illegittima, che ho vissuto una vita di menzogna, impedirei questa disgrazia ancor più grande. Non accadrà mai. Ti porterò via dove lui non sentirà mai parlare di te. Quanto al denaro, che vada pure perduto, purché lui non lo tocchi mai. Credi di essere tu a interessargli? Ha saputo di tutta questa ricchezza – e tu sei solo l’esca sull’amo per acchiapparla».
«Non lo conoscete, mamma».
«Hai il coraggio di dirmi che io non lo conosco, impudente sfacciata! Non lo conoscevo prima che tu nascessi? Forse che non lo conosco perfettamente? Mi darai la tua parola d’onore di non vederlo mai più?». Lady Anna si sforzava di pensare, ma la sua mente rifiutava di collaborare. Intorno tutto turbinava e lei, in preda al capogiro, si gettò sul letto. «Rispondimi, Anna. Mi darai la tua parola d’onore di non vederlo mai più?».
Avrebbe ancor potuto dire di sì. Sentiva che le restava sufficiente capacità di parola per un così piccolo sforzo – e sapeva che se l’avesse fatto si sarebbe liberata dell’attuale tormento. Grazie a quell’unica parola la madre sarebbe diventata gentile, e si sarebbe presa cura di lei; le avrebbe portato il tè e si sarebbe seduta al suo capezzale per accarezzarla. Ma anche lei era una Lovel, ed era per di più la figlia di colei che era stata un tempo Josephine Murray.
«Non posso farlo, mamma», disse, «perché ho promesso».
La madre si lanciò fuori dalla stanza e lei rimase da sola sul letto.