Daniel Thwaite ritorna

 

 

 

 

 

Quel mattino la Contessa Lovel si era preparata a compiere un gesto terribile, ma il coraggio le era venuto meno. Come si sarebbe comportata se la figlia non li avesse raggiunti – fino a che punto si sarebbe spinta, ormai non è più possibile dirlo. Ma era certo che, quando quell’uomo odiato era ancora in sua presenza, fosse giunta a più miti propositi al punto da decidere di piegarsi ancora una volta a supplicare la figlia, a parlare ancora una volta di tutto quel che aveva sopportato e chiedere perlomeno di rimandare le nozze se null’altro le fosse stato concesso. Se solo la ragazza le avesse promesso di rimanere con lei per sei mesi, allora sarebbero potute andare all’estero – e lei avrebbe avuto davanti a sé le occasioni offerte dal tempo e dalla distanza. In tal caso avrebbe profuso tanto affetto sulla ragazza, così tante soddisfazioni, le dolcezze della ricchezza e della comodità, una tale riserva di carezze e di carezzevole lusso, che sarebbe stato possibile volgere il giovane cuore verso ciò che era adatto al rango, al sangue blu e a splendidi possedimenti. Era impossibile che la sua creatura – la figlia che fino a pochi mesi prima era stata con lei mite e obbediente come una bambina – non le concedesse almeno ciò. Aveva tentato e la figlia aveva rimesso la sua preghiera – o perlomeno aveva detto che l’avrebbe rimessa – alla decisione dell’odiato innamorato; al che la madre aveva del tutto perso il controllo. Era diventata violenta – o meglio, feroce – e le erano mancati l’astuzia e l’autocontrollo necessari a raggiungere lo scopo. Se avesse perseverato, Lady Anna avrebbe dovuto concederle il piccolo favore che chiedeva. Ma aveva ceduto alla collera e aveva dichiarato che la figlia era la sua acerrima nemica. Mentre si sedeva al vecchio scrittoio dove Lady Anna l’aveva lasciata, giurò in cuor suo di compiere il gesto terribile.

Persino nel momento in cui decideva di inginocchiarsi ancora una volta davanti alla figlia, si preparava per l’atto che doveva compiere, se la figlia si fosse dimostrata con lei ancora dura come la pietra. «Tornate domani all’una», aveva detto al sarto; e il sarto aveva risposto che sarebbe tornato.

Quando rimase sola si sedette sulla sua solita sedia e aprì il vecchio scrittoio con una chiave divenuta ormai familiare alla sua mano. Si trattava di un mobile imponente – di quelli che non si fanno più ai nostri giorni, ma che si trovano in tutte le raccolte di vecchi arredi domestici – con innumerevoli cassetti ammassati nella parte inferiore, con un ampio ripiano, pieno di ricettacoli per conti, disposizioni testamentarie, atti e carta straccia, e una torre di mensole, che saliva quasi fino al soffitto. Nella parte centrale del ripiano c’era uno scompartimento quadrato, ma quello non era chiuso a chiave, in modo che il contenuto fosse per lei a portata di mano. Lo aprì e ne estrasse una pistola; poi dopo essersi guardata con circospezione alle spalle, per vedere se la porta era chiusa, e aver prudentemente osservato le finestre, per scoprire se qualche occhio stesse osservando le sue azioni nonostante gli spessi scuri, prese in mano l’arma e la impugnò in modo da provare, se possibile, come si sarebbe sentita nel tentare l’impresa. Osservò minuziosamente l’otturatore, con il grilletto già in posizione, così che per lei non fosse necessario nessun ulteriore preparativo al momento fatale. Fino ad allora non aveva mai usato una pistola, – mai prima di allora aveva tenuto in mano un’arma del genere – ma pensò di poterci riuscire quando era sopraffatta dalla collera.

Poi per la ventesima volta chiese a se stessa se non sarebbe stato più facile volgerla contro il proprio petto – contro il proprio cervello; in modo che tutto potesse subito finire. Ah, sì; tanto più facile. Ma che sarebbe stato allora dell’uomo che, con il suo subdolo coraggio e la sua persistente audacia, l’aveva spinta alla totale distruzione? Se lui e lei fossero potuti sprofondare insieme in quella barca che la sua immaginazione aveva fabbricato per loro, in tal caso sarebbe davvero stato un bene per lei cercare la morte. Ma se lei ora avesse posto fine alla propria vita, – la propria e solo la propria – allora il nemico sarebbe rimasto a godersi il ricco premio, un premio reso più ricco per la sua scomparsa dal mondo! E di lei, se tale fosse stato il suo ultimo gesto, la gente si sarebbe limitata a dire che la contessa pazza si era abbandonata alla sua pazzia. Con espressioni di triste solennità, ma intima soddisfazione, tutti i Lovel, quel miserabile sarto e la sua stessa figlia avrebbero simulato un certo dolore al funerale, e quella sarebbe stata la fine di Josephine Contessa Lovel – e nessuno si sarebbe ricordato di lei, né dei suoi atti, né delle sue sofferenze. Quando era uscita di casa quella mattina, dopo aver saputo che Daniel Thwaite sarebbe stato lì all’una, e aveva raggiunto a piedi la parte semiperiferica della città per non essere osservata, e aveva comprato la pistola, la polvere da sparo e i proiettili, e con pazienza si era messa all’opera per imparare come predisporre l’arma all’uso, non aveva certo voluto rendere più facile il trionfo del suo nemico.

E tuttavia sapeva bene qual era il prezzo dell’omicidio e sapeva anche che non c’erano possibilità di fuga. Si era chiesta molto spesso se non fosse possibile distruggere l’uomo in modo che la mano dell’omicida rimanesse nascosta. Ma non era fattibile. Non era in grado di dargli la caccia in strada. Non poteva avvelenare i suoi pasti. Non poteva arrivare di soppiatto al suo capezzale per strangolarlo nelle silenziose veglie notturne. E il cuore di quella donna, persino mentre di giorno in giorno meditava l’omicidio, – mentre diceva a se stessa che sarebbe stato un gesto degno privare della vita un uomo la cui vita costituiva un ostacolo al suo successo – persino allora provava orrore per l’atto pusillanime e furtivo, per la meschina viltà del segreto omicidio. Guardarlo in viso e poi ucciderlo, – quando per lei non ci sarebbe stata nessuna via di fuga – ciò avrebbe avuto in sé qualcosa di quasi nobile; a ogni modo qualcosa di audace – qualcosa che non l’avrebbe fatta vergognare. L’avrebbero impiccata per un’azione del genere! Che lo facessero pure. Non era l’impiccagione che temeva, ma le lingue di quelli che avrebbero parlato di lei dopo la sua morte. Non avrebbero parlato di lei come di chi ha completamente fallito. Avrebbero raccontato di una donna che, crudelmente maltrattata per tutta la vita, calunniata, disprezzata e torturata, derubata di quel che le apparteneva, trascurata dai parenti, abbandonata e maledetta dal marito, aveva nondimeno continuato sempre a lottare finché non aveva dimostrato di aver diritto al nome che portava – di una donna che, sebbene contrastata nella sua ambizione dalla propria figlia e privata del trionfo nel momento stesso del successo, aveva osato affrontare una morte ignominiosa piuttosto di veder vanificati tutti i suoi sforzi dalla svenevole infatuazione di una ragazza. Sì! Avrebbe affrontato tutto. Che facessero quel che volevano di lei. Non sapeva bene in che modo sarebbe stata eseguita la sentenza di morte inflitta a una contessa. Che la uccidessero come volevano, avrebbero ucciso una contessa – e tutto il mondo sarebbe venuto a sapere della sua storia.

Quel giorno e quella notte furono per lei spaventosi. Non si informò nemmeno una volta della figlia. Le avevano portato del cibo nel solitario soggiorno e lei a stento si accorse che apparecchiavano e poi sparecchiavano. Più e più volte aprì il vecchio scrittoio per controllare che l’arma fosse pronta per la sua mano. Poi aprì la lettera per Sir William Patterson e vi aggiunse un poscritto. «Quel che ho fatto da allora spiegherà ogni cosa». Fu tutto quel che aggiunse e il mattino seguente, verso mezzogiorno, mise la lettera sulla mensola del camino. A tarda notte se ne andò a dormire e con sua sorpresa riuscì ad addormentarsi. La chiave del vecchio scrittoio era sotto il suo cuscino e lei vi poggiò sopra la mano nel momento in cui si svegliò. Quando lasciò la sua camera si fermò per un momento davanti alla porta della figlia. Era possibile, se avesse ucciso quell’uomo, che non rivedesse mai più la figlia. In quel momento fu tentata di lanciarsi nella stanza della figlia, gettarsi sul letto e ancora una volta chiedere misericordia e pietà. Rimase in ascolto e notò che la figlia dormiva. Allora scese silenziosamente nella stanza buia con il vecchio scrittoio. A che sarebbe servito umiliarsi? La figlia era l’unico essere che potesse amare; ma il cuore della figlia era occupato dall’immagine di quell’artigiano di bassi natali.

«Lady Anna si è alzata?» chiese alla cameriera verso le dieci.

«Sì, milady; sta facendo colazione adesso».

«Ditele che quando… quando arriverà il signor Thwaite, la manderò a chiamare non appena vorrò vederla».

«Penso che Lady Anna lo sappia già, milady».

«Riferitele quel che ho detto».

«Sì, milady. Lo farò, milady». Poi la contessa non disse un’altra parola finché, puntuale all’una esatta, Daniel Thwaite fu accompagnato nella stanza.

«Siete in orario, signor Thwaite», lei disse.

«Gli uomini che lavorano dovrebbero esserlo sempre, Lady Lovel», replicò lui, come se ci tenesse a irritarla ricordandole quanto era umile l’uomo che aspirava a diventare il genero di una contessa.

«Lo dovrebbero essere tutti gli uomini, presumo. Anch’io sono puntuale. Ebbene, signore – avete qualcos’altro da dire?».

«Molto da dire... a vostra figlia, Lady Lovel».

«Non credo che vedrete mai più mia figlia».

«Volete dire che è stata portata via di qui?». La contessa rimase in silenzio, ma si allontanò dal punto in cui lo aveva ricevuto per avvicinarsi al vecchio scrittoio, che era aperto – con lo sportello della parte centrale socchiuso. «Se è così, mi avete ingannato nel modo più grossolano, Lady Lovel. Ma non vi servirà a nulla perché so che lei mi sarà fedele. Mi dite che è stata allontanata?».

«Non vi ho detto nulla del genere».

«Ditele di venire qui allora – come mi avete promesso».

«Prima vi devo dire qualcosa. E se lei rifiutasse di raggiungerci?».

«Non credo che si rifiuterà. Voi stessa avete sentito quel che ha detto ieri. Tutto il cielo e tutta la terra non mi faranno dubitare di lei, e certamente non lo potrà la vostra parola, Lady Lovel. Sapete come stanno le cose e sapete come devono andare».

«Sì, lo so, lo so, lo so». Lei gli stava davanti, dando le spalle alla finestra, e tendeva la mano sinistra sullo scrittoio aperto, allungandola come per aprire lo sportello socchiuso – ma lui non fece caso alla sua mano; teneva gli occhi fissi su di lei e sospettava solo inganno – non violenza. «Sì, so come andrà», disse lei, mentre le sue dita si facevano più vicine allo sportellino.

«Allora lasciate che venga da me».

«Non c’è nulla che vi possa distogliere da ciò?».

«Nulla mi distoglierà da ciò».

Allora improvvisamente ritirò la mano e lo affrontò più da vicino. «La mia è stata una vita dura, signor Thwaite – nessuna vita avrebbe potuto esserlo di più. Ma ho sempre avuto davanti a me qualcosa da desiderare e per cui sperare – qualcosa che potevo ottenere se la giustizia avesse infine prevalso».

«Avete ottenuto denaro e rango».

«Non sono nulla, nulla. In tutti quegli anni, quel che ho cercato è stato lo splendore e la gloria di un’altra e la soddisfazione che potevo provare nell’averle dato tutto ciò che possedeva. Pensate davvero che mi farò da parte, dopo una simile lotta, a guardarvi mentre mi derubate di tutto… voi… voi, che siete stato uno degli strumenti giunti nelle mie mani perché vi usassi? Da quel che sapete di me, credete che il mio coraggio si piegherà a tanto? Rispondetemi, se ci avete mai pensato. Lasciate in pace le aquile e non cercate di arrivare nel loro nido. Se lo fate scoprirete che verrete ridotto a brandelli».

«Questo è irrilevante, Lady Lovel. Sono venuto qui, dietro vostra richiesta, per vedere vostra figlia. Lasciatemela vedere».

«Non intendete andarvene?».

«Non me ne andrò di sicuro».

Mentre lei tornava lentamente dove era prima, non lo perdeva d’occhio, ma lui non sospettò nemmeno per un attimo la natura delle sue intenzioni. Cominciava a pensare che l’avesse afferrata un’effettiva pazzia e non sapeva bene come comportarsi. Ma nessun timore di subire una violenza di natura fisica lo turbava. Semplicemente, nell’osservare i movimenti degli occhi di lei, si chiedeva tra sé se non sarebbe stato meglio salire di sopra a cercare Lady Anna.

«Fareste meglio ad andarvene», lei disse, mentre appoggiava di nuovo la mano sul piano dello scrittoio aperto.

«Voi non mi prendete sul serio, Lady Lovel» rispose lui. «Visto che non permettete a Lady Anna di venire da me, sarò io ad andare da lei. Non ho dubbi che riuscirò a trovarla in casa». A quel punto si volse verso la porta con l’intenzione di lasciare la stanza. Mentre parlavano era molto vicino a lei, tanto da dover muovere qualche passo prima di poter metter la mano sulla maniglia – ma nel far ciò le dava le spalle. In un certo senso era meglio per il piano di lei. In tal modo era in grado di aprire lo sportello dello scompartimento e prendere la pistola senza che lui l’osservasse. Ma, come le parve in quel momento, la possibilità di portare il suo piano alla conclusione prevista era minore di quanto lo sarebbe stata se avesse avuto l’occasione di sparargli in viso. Si era lasciata sfuggire l’attimo – il primo attimo – quando lui le era vicino, e ora tra loro ci sarebbe stata mezza stanza. Fu comunque rapidissima. Afferrò la pistola e, trasferendola nella mano destra, lo rincorse e quando la porta era già mezz’aperta, premette il grilletto. Nel tormento del momento non sentì nessun suono, sebbene scorgesse il lampo. Vide lui ritrarsi e oltrepassare la porta, che non chiuse, e poi sentì nel corridoio uno strascichio, come se fosse caduto contro il muro. Si era appositamente munita di una seconda carica – ma ormai le era del tutto inutile. Non aveva più la forza di seguirlo e completare il lavoro che aveva iniziato. Non pensava di averlo ucciso, anche se era sicura che fosse stato colpito. Non credeva di aver realizzato i suoi desideri – ma se avesse avuto in mano un revolver a sei colpi, come quelli di oggi, non avrebbe potuto fare di più. Era sopraffatta da un tremito talmente intenso per la propria violenza da essere pressoché incapace di muoversi. Rimase a fissare la porta, in attesa di sentire quel che poteva succedere, e i secondi parvero ore. Ma non udì nessun suono. Trascorse forse un minuto e l’uomo non si mosse. Lei si guardò intorno come a cercare una qualche via di fuga – come se, in caso fosse stato possibile, intendesse uscire in strada dalla finestra. Non c’era via di fuga, a meno che non passasse per la porta accanto all’uomo che doveva ancora trovarsi lì. Poi lo sentì muovere. Lo sentì alzarsi – da quale posizione lo ignorava – e camminare verso le scale. Lei era ancora in piedi con la pistola in mano, ma quasi inconsapevole di averla. Alla fine la scorse e si rese conto di essere ancora armata. Doveva inseguirlo e vedere che poteva fare con l’altro colpo? Il pensiero le attraversò la mente, ma sapeva di non poter far nulla. Anche se tutti i Lovel avessero fatto affidamento su di ciò, non sarebbe riuscita a premere ancora il grilletto. Prese la pistola, la rimise nel nascondiglio, meccanicamente chiuse a chiave la porticina e poi sedette sulla sedia.

Lady Anna
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