Il cane nella mangiatoia28
Durante tutto quel periodo Daniel Thwaite aveva vissuto da solo, lavorando giorno dopo giorno e ora dopo ora tra gli uomini di Wigmore Street, con la piena fiducia del suo datore di lavoro, inviso a coloro su cui esercitava una qualche autorità e senza che nessuno lo trattasse da amico. Era oppresso da un peso troppo gravoso per poter essere spensierato, anche se la sua natura fosse stata incline alla spensieratezza. Come poteva anche solo sperare che la ragazza resistesse a tutte le tentazioni che sarebbero state poste sul suo cammino, a tutti gli argomenti che sarebbero stati usati con lei, alle prevedibili preghiere con cui tutti gli amici l’avrebbero assediata? Né aveva di sé un’opinione tale da fargli credere che le proprie doti personali l’avrebbero legata a lui se paragonate a quelle altre doti personali che egli sapeva appartenere al lord. Valutandosi secondo i suoi stessi parametri, in base ai quali era più virile colui che sapeva essere più utile al mondo, egli si considerava infinitamente superiore al conte. Lui era l’ape operaia, mentre il conte era il fuco. Inoltre egli era un uomo che usava al meglio delle sue possibilità le facoltà mentali che gli erano state concesse; laddove il conte – così credeva – era a malapena consapevole che gli fossero state date delle facoltà mentali. A suo parere il conte era, come lo erano tutti i conti, un’escrescenza della società, prodotta da cattive abitudini e tendenze dell’umanità; qualcosa di cui sbarazzarsi prima di potersi avvicinare a quella perfezione sociale del futuro in cui credeva con assoluta convinzione. Ma sebbene inutile, il conte era bello da guardare. Sebbene priva di uno scopo, la sua voce risuonava dolce e argentea alle orecchie. Le sue mani, con cui non sarebbe mai riuscito a procurarsi un tozzo di pane, erano morbide al tocco. Era fragrante di ozio e profumi, e non odorava mai del sudore della fatica. Era possibile che una ragazza come Anna Lovel dovesse resistere al damerino, aiutato come sarebbe stato dagli stessi istinti di lei e dalle preghiere di tutti i familiari? E poi di tanto in tanto gli veniva in mente un’altra idea. Usando la sua capacità di giudizio come meglio poteva nell’interesse di lei, doveva davvero desiderare che lei resistesse? La pigrizia di un conte poteva essere un male, e altrettanto male la pigrizia di una contessa. Essere la moglie laboriosa di un uomo laborioso, essere la madre di molti bambini, che dovessero tutti imparare a diventare laboriosi per il bene dell’umanità, era a suo parere il destino migliore per una donna. Ma si chiedeva se le circostanze della nascita e della sorte di lei non le avessero sottratto la possibilità di una simile gioia. Come si sarebbe sentita lei, e anche lui, se in futuro si fosse trovata a rimproverarlo per averle impedito di divenire la moglie di un aristocratico? E come si sarebbe sentito lui se in seguito la gente avesse detto che la teneva imprigionata, per via della sua ricchezza, con un giuramento estortole nell’infanzia? Su quel capo d’accusa era riuscito a rispondere al signor Flick, ma trovava più difficile rispondere a se stesso.
Aveva scritto al padre, quando la contessa aveva lasciato la casa dove lui abitava, e il padre gli aveva risposto. Il vecchio non era molto portato a scrivere lettere: «Quanto a Lady Lovel e alla figlia», diceva, «io non me ne preoccuperò più, e non dovresti nemmeno tu. Tu e lei siete diversi, e dovete esserlo». E questo fu tutto ciò che scrisse. Sì, lui e Lady Anna erano diversi, e dovevano rimanere tali. Un mattino, mentre pieno di energia si recava al lavoro, decise che le avrebbe fatto sapere che era del tutto libera e le avrebbe detto di agire secondo la natura dei Lovel. Ma di sera, mentre tornava indietro, lentamente, tutto solo, stanco del lavoro, stanco della nera solitudine della vita che conduceva, desideroso di un po’ di dolcezza per interrompere la dura monotonia della fatica, si ricordò di tutte le attrattive di lei, e soprattutto si ricordò i leggiadri giuramenti con cui aveva solennemente dichiarato che lei, Anna Lovel, amava lui, Daniel Thwaite, con tutto l’amore di donna che una donna può dare. Ricordò il bacio appassionato che gli era parso rendesse per ore fresche le sue labbra riarse e cercò di credere che la gioia immensa, a cui aveva attribuito così tanta importanza, potesse ancora essere sua. Se lei l’avesse abbandonato, se avesse acconsentito al matrimonio con il conte, di sicuro egli l’avrebbe saputo. Anche lui conosceva bene il giorno fissato per il processo e capiva l’importanza che sarebbe stata attribuita a un imminente matrimonio, se ciò fosse stato possibile, – o perlomeno al pubblico annuncio di un fidanzamento. A ogni modo fino a quel momento lei non era venuta meno alla promessa fatta.
Un giorno ricevette al posto di lavoro il seguente biglietto:
Caro signor Thwaite,
desidero parlarvi per affari della massima importanza. Potreste venire da me – qui – domani alle otto di sera?
Cordiali saluti dalla vostra sempre grata,
J. LOVEL
La contessa aveva poi aggiunto l’indirizzo di Keppel Street – proprio quell’indirizzo che, un mese prima, si era rifiutata di dargli. Naturalmente andò dalla contessa – del tutto convinto che anche Lady Anna sarebbe stata a casa, sebbene al tempo stesso credesse che non gli sarebbe stato permesso di vederla. Ma Lady Anna si trovava ancora con la signora Bluestone in Bedford Square.
Era di certo naturale che si sfruttasse ogni vantaggio della forte posizione occupata da Lord Lovel. Quando ebbe strappato a Lady Anna la promessa di scrivergli dopo una settimana, lo disse a Sir William, Sir William lo disse alla moglie, Lady Patterson lo disse alla signora Bluestone e la signora Bluestone lo disse alla contessa. Erano ormai tutti in lega contro il sarto. Se solo fossero riusciti a ottenere una promessa dalla ragazza prima che cominciasse il processo, – o qualunque cosa che fosse possibile definire una promessa – allora tutto poteva divenir facile. Insieme uniti non avrebbero avuto paura di ciò che la donna italiana poteva fare. E l’impegno di scrivere a Lord Lovel equivaleva quasi a una promessa. Una volta che una ragazza esita con un innamorato, è come se si fosse arresa. Anche solo dire che ci penserà, significa accettare il pretendente. A quel punto la signora Bluestone e la contessa, dopo un consulto, decisero di dover rivolgere un appello al sarto. Se Sir William o l’avvocato di prima classe ne fossero stati informati, entrambi sarebbero probabilmente stati decisamente contrari al provvedimento. Ma le signore fecero di testa loro, e Daniel Thwaite si presentò in Keppel Street. «È molto gentile da parte vostra venire qui», disse la contessa.
«Non vi è grande gentilezza in ciò», disse Daniel, pensando forse a quei venti anni di servigi forniti da lui e dal padre.
«So che ritenete che sia stata ingrata per tutto quel che avete fatto per me». Lui lo pensava e così rimase in silenzio. «Ma non vorreste che vi ripagassi dell’aiuto rinunciando a tutto ciò per cui ho lottato».
«Non ho chiesto nulla, Lady Lovel».
«Davvero?».
«Non ho chiesto nulla a voi».
«Ma mia figlia è tutto quel che ho al mondo. Non avete chiesto nulla a lei?».
«Sì, Lady Lovel. Le ho chiesto molto, e lei mi ha concesso tutto quel che ho chiesto. Ma non ho chiesto nulla e non chiedo nulla ora, come pagamento dei servigi resi. Se Lady Anna pensa di essere in debito con me per tale ragione, la renderò presto libera».
«Lei lo pensa, signor Thwaite».
«Che me lo dica con le sue labbra».
«Non crederete che vi stia mentendo?».
«E tuttavia gli uomini mentono, e le donne pure, senza rimorso, quando la posta è alta. A riguardo non crederò a nessun altro che a lei. Che venga qui e stia davanti a me e mi guardi in viso e mi dica che è così – e io prometto che non ci saranno altre difficoltà. Non chiederò nemmeno di stare solo con lei. Le dirò soltanto una dozzina di parole, e voi le sentirete».
«Non è qui, signor Thwaite. Non vive in questa casa al momento».
«Dov’è allora?».
«È con degli amici».
«Con i Lovel nello Yorkshire?».
«Non penso che possa risultare utile dirvi dove si trova».
«Cercate di farmi capire che è fidanzata con il conte?».
«Vi dico questo, che riconosce di essere legata a voi, ma legata a voi semplicemente dalla gratitudine. Sembra che ci sia stata una promessa».
«Oh, sì, c’è stata una promessa, Lady Lovel; una promessa pronunciata con la stessa fermezza di quando voi diceste al defunto conte che sareste diventata sua moglie».
«So che c’è stata una promessa – sebbene io, sua madre, che a quel tempo vivevo con lei, non avessi idea di simile malvagità. C’è stata una promessa e per questo lei si sente in una certa misura vincolata».
«Così dovrebbe essere – se le parole hanno un peso».
«Vi dico che si sente così – ma è solo per un sentimento di gratitudine. Suvvia!… È probabile che desideri sposarsi talmente al di sotto del suo rango, se libera di scegliere? Vi sembra naturale? Ama il giovane conte – perché non dovrebbe? Si è trovata in sua compagnia proprio per avere la possibilità di imparare ad amarlo – quando nessuno sapeva di quest’orrida promessa che le è stata estorta prima che vedesse qualcuno al mondo tra cui poter scegliere».
«Ora ha visto due uomini, lui e me, e può scegliere come le aggrada. Perché non accettiamo entrambi di prenderla in parola e di esser presenti quando quella parola verrà pronunciata? Se andasse da lui e gli offrisse la sua mano in mia presenza, io allora non l’accetterei più nemmeno se fosse una principessa invece di essere Lady Anna Lovel. Lui sarebbe altrettanto corretto con me? Sarebbe altrettanto coraggioso da rispettare la scelta di lei?».
«Non potrete mai sposarla, signor Thwaite».
«Perché non potrò mai sposarla? Il mio anello al suo dito non sarebbe altrettanto vincolante di quello di lui? Le parole del pastore non ci renderebbero un’unica carne e un unico sangue in modo altrettanto irreversibile come se io fossi dieci volte un conte? Io sono un uomo e lei è una donna. Quale legge di Dio o dell’uomo – quale legge di natura può impedirci di diventare marito e moglie? Dico che posso sposarla – e con il suo consenso lo farò».
«Mai! Non arriverete mai a potervi chiamare il marito di mia figlia. Ho lottato e sofferto – come mai donna ha lottato e sofferto prima, per dare a mia figlia il nome e il rango che le appartengono. Non l’ho fatto perché possa sprecarli con qualcuno come voi. Se agirete onestamente con noi…».
«Ho agito con voi più che onestamente».
«Se la libererete subito dalla schiavitù in cui la tenete e le permetterete di agire secondo i dettami del suo cuore…».
«È quel che farà».
«Se non ci ostacolerete nel ricostruire l’onore della famiglia, che è stato quasi distrutto dalle iniquità di mio marito, noi vi benediremo».
«La benedizione che voglio è una sola, Lady Lovel».
«E quanto al suo denaro…».
«Non mi aspetto che mi crediate, contessa; ma il suo denaro per me non ha nessuna importanza. Se diventerà suo e lei diverrà mia moglie, in qualità di marito lo difenderò per lei. Ma non ci saranno accordi economici tra voi e me».
«C’è del denaro che spetta a vostro padre, signor Thwaite».
«In tal caso, potrà venir pagato quando otterrete ciò che vi appartiene di diritto. Non è stato prestato con lo scopo di ottenere una ricompensa».
«E non volete liberare quella povera ragazza dalla sua schiavitù».
«Può liberarsi da sola se lo vuole. Vi ho detto quel che farò. Che mi dica in viso quel che desidera».
«Non lo farà mai, signor Thwaite, no, in nome del cielo. Non è necessario che abbia il vostro consenso per stringere un’alleanza che i suoi amici ritengono adatta a lei. L’avete intrappolata con una promessa, sciocca da parte sua, e molto malvagia da parte vostra, e potete crearci molti problemi. Potete ritardare la sistemazione di tutta la questione – forse per anni; portare a un parziale sperpero dei beni con una prolungata azione legale; potete rendermi impossibile ripagare vostro padre di quel che gli devo finché lui, e anch’io, non ci saremo più; ma non potete avere e non avrete accesso a mia figlia».
Daniel Thwaite, mentre se ne tornava a casa, si sforzava di ripensare a tutto in modo obbiettivo. Le cose stavano davvero come le descriveva la contessa? E lui recitava la parte del cane nella mangiatoia, derubando gli altri della felicità senza avere il potere di realizzare la propria? Amava la ragazza, ma la stava rendendo infelice con il suo amore? Era quasi propenso a credere che la contessa avesse detto la verità a riguardo.