Che sia fatta giustizia
Non si deve credere che la contessa rimanesse impassibile nel ricevere la lettera di Daniel Thwaite da Keswick con inclusa la copia del testamento paterno. Era tutta sola e rimase a lungo seduta in solitudine, pensando all’amico che se n’era andato e che le era sempre stato fedele. Lei stessa avrebbe reso a Thomas Thwaite qualunque servigio una donna possa rendere a un uomo, così profonda era la consapevolezza di ciò che quell’uomo aveva fatto per lei. Come aveva detto una volta, nessuna umile mansione che avesse svolto per il vecchio sarto sarebbe risultata degradante. Aveva mangiato il suo pane e nemmeno per un momento si era dimenticata di quel che gli doveva. Le lacrime le riempivano lentamente gli occhi mentre pensava alle lunghe, lunghe ore trascorse in sua compagnia quando, quasi persa d’animo, aveva ricevuto coraggio dalla tenacia di lui. E i sentimenti verso il figlio sarebbero stati gli stessi, se non fossero stati in gioco il futuro rango di sua figlia e la posizione della casa dei Lovel. L’ingratitudine non faceva parte della sua natura; ma nemmeno era nella sua natura subordinare l’obiettivo di tutta la sua vita alla gratitudine. Anche se fosse apparsa al mondo come un mostro di ingratitudine, avrebbe dovuto trattare il Thwaite superstite come il suo più feroce nemico fintanto che avesse mantenuto le pretese alla mano della figlia. Non poteva avere nessuna comunicazione amichevole con lui. Non avrebbe avuto nessun contatto di nessun genere con lui, se solo avesse potuto evitarlo, per paura di trovarsi a rinverdire il loro legame di amicizia. A suo parere l’uomo si era rivoltato contro di lei nel modo più proditorio e stava usando per i propri scopi e la propria scalata la conoscenza che aveva dei suoi affari, acquisita per via della generosità paterna. Credeva ben poco nell’amore di lui; ma che amasse la ragazza o semplicemente ne desiderasse il denaro, era tutt’uno per lei. La sua intera esistenza era stata spesa nel tentativo di dimostrare che la figlia era una donna di rango e avrebbe preferito sacrificare la vita nel modo più vile piuttosto di vivere per veder vanificare da un infimo matrimonio tutti gli sforzi. L’amore, certo, e il romanticismo! Cos’era l’amore di una persona, cos’era lo spirito romantico di una fanciulla infantile, di fronte all’onore e al bene di un’antica e nobile famiglia? La sua ambizione era vedere la ragazza diventare la Contessa Lovel, e nessun sentimento di gratitudine l’avrebbe intralciata. Avrebbe preferito uccidere con le sue mani quell’artigiano di umili natali piuttosto di sapere che aveva il diritto di chiamarla suocera. Tuttavia lente lacrime le scivolarono giù per le guance mentre pensava ai giorni andati e al salottino dietro il negozio del sarto a Keswick, dove i due bambini erano soliti giocare.
Il denaro comunque andava pagato; o perlomeno il debito doveva essere riconosciuto. Non appena si fu un po’ ripresa, aprì il vecchio scrittoio, che per anni era stato il ricettacolo di tutte le sue carte, e tirando fuori vari documenti che erano stati scribacchiati in fretta, si mise all’opera per fare una somma. Non si può dire che fosse una brava contabile, ma era stata abbastanza diligente da annotare tutte le somme di denaro che aveva ricevuto da Thomas Thwaite. Un tempo aveva avuto in testa un’idea corretta dell’intera somma che gli doveva; ma ora mise per iscritto le cifre con le date e fece il conto con precisione su un foglio di carta da lettere. Senza dubbio doveva quel denaro a Daniel Thwaite e senza dubbio avrebbe pagato se mai avesse avuto i mezzi per farlo. Poi se ne andò con il suo conto dal signor Goffe.
Il signor Goffe non riteneva che la questione fosse urgente. Il pagamento di debiti ingenti di lunga data non è mai urgente agli occhi dei legali. Si suppone sempre che gli uomini abbiano un centinaio di sterline nelle tasche dei loro panciotti; ma si devono prendere accordi per il saldo di migliaia. «Sarà meglio che mi permettiate di scrivergli due righe per dirgli che ce ne occuperemo non appena sarà decisa la questione dei beni», disse il signor Goffe. Ma ciò non si accordava con il punto di vista della donna. La contessa parlò molto apertamente di tutto quel che doveva al padre e dell’ostilità senza fine verso il figlio. Era necessario che pagasse il debito, anche solo per poter trattare l’uomo del tutto e per tutto come un nemico. Aveva capito che, pur con il processo ancora in corso, una parte della rendita sarebbe stata concessa dai tribunali per suo uso e per le spese del processo. Si convenne che il denaro andava pagato. Era possibile intraprendere dei passi per sistemare subito la cosa? Il signor Goffe, prendendo nota, disse che avrebbe visto quel che si poteva fare, dopo di che scrisse un biglietto a Daniel Thwaite. Quando ebbe calcolato l’interesse che senz’altro andava pagato per il denaro prestato, scoprì che spettava al sarto una somma di circa 9.000 sterline. «Novemila sterline!» disse un signor Goffe all’altro. «Per lui questo sarà meglio che sposare la figlia di un conte». Se Daniel fosse riuscito a sentire quelle parole avrebbe preso l’avvocato per il collo e si sarebbe sforzato d’insegnargli cos’è l’amore.
Poi il processo cominciò. Poco prima che giungesse il giorno fissato, il signor Goffe mostrò il calcolo all’avvocato di prima classe Bluestone. «Il Signore mi assista!» disse l’avvocato. «Dovrebbero esserci delle ricevute per una cifra del genere». Il signor Goffe dichiarò che non c’erano ricevute, tranne che per una parte insignificante della somma; ma tuttavia riteneva che la cifra andasse pagata. La contessa era più che disposta, se necessario, a giurare che le era stato fornito il denaro. Poi l’ulteriore esame della questione venne per il momento rinviato, e il processo cominciò.
Il martedì, che era stato lasciato libero dagli impegni processuali, ci fu un incontro – come tutti gli altri atti in quella causa, assai irregolare nella sua natura – allo studio del vice-procuratore generale, a cui parteciparono l’avvocato Bluestone insieme ai signori Hardy, Mainsail, Flick e Goffe; e all’incontro, tra altre questioni d’affari, si accennò al debito che la contessa aveva con Daniel Thwaite. Di tale debito il vice-procuratore generale era ancora all’oscuro sebbene sapesse della devota amicizia del vecchio sarto. Che fosse stato fornito aiuto in una certa misura, che per un periodo il riparo del tetto del vecchio Thwaite fosse stato offerto alla contessa – che l’uomo fosse stato generoso e affidabile, egli lo sapeva bene. Naturalmente aveva appreso che da ciò era nata quella precoce familiarità che aveva permesso al giovane Thwaite di fidanzarsi con Lady Anna. Era consapevole che ci sarebbe stato qualcosa da pagare quando le signore avessero ottenuto quel che spettava loro. Ma le signore non erano sue clienti e lui non si era informato dei particolari. Sul momento rimase stupefatto e quasi scandalizzato dall’ammontare del debito.
«Volete dire che egli anticipò 9.000 sterline in denaro sonante?» chiese il vice-procuratore generale.
«È incluso l’interesse del cinque per cento, Sir William, nonché una piccola cifra per conti pagati da Thomas Thwaite a nome di lei, che ha avuto in contanti effettivi 7.000 sterline».
«E dove sono andate a finire?».
«Un bel po’ nelle mie mani», disse il signor Goffe coraggiosamente. «Per due o tre anni non ha avuto nessuna rendita e negli ultimi vent’anni è stata in causa per i suoi diritti. Anticipò lui tutto il denaro quando ci fu il processo per bigamia».
«Il Signore mi assista!» disse l’avvocato Bluestone.
«Ha lasciato testamento?» chiese il vice-procuratore generale.
«Oh, sì; un testamento che è stato omologato e di cui ho una copia. Non c’era nulla da lasciare tranne il denaro dovuto, e quello è stato lasciato al figlio».
«Andrebbe certamente pagato senza indugio», disse il signor Hardy. Il signor Mainsail si chiese se sarebbe stato possibile ottenere il denaro. Il signor Goffe dubitava che si potesse averlo prima che l’intero affare venisse risolto. Il signor Flick era sicuro che con una debita istanza la cifra sarebbe stata subito anticipata. La rendita derivante dai beni si stava ormai accumulando nelle mani del tribunale e c’era il desiderio che tutte le richieste legittime – richieste che potevano essere considerate giuste nei confronti dei beni di famiglia – venissero soddisfatte senza indugio. «Credo che non ci saranno problemi», disse il signor Hardy.
«Settemila sterline anticipate da questi due piccoli commercianti alla contessa Lovel», disse il vice-procuratore generale, «e questo in un periodo in cui nessun parente di lei o del marito era disposto a prestarle un penny! Vorrei averlo saputo quando ieri sono andato in tribunale».
«Non sarebbe servito», disse l’avvocato di prima classe.
«Avrebbe a ogni modo permesso di render merito dove il merito è dovuto. E il figlio è l’uomo che sostiene di essere fidanzato con Lady Anna?».
«Lo stesso uomo, Sir William», disse il signor Goffe.
«Si è quasi propensi a credere che egli la meriti».
«Su questo punto non posso assolutamente dirmi d’accordo con voi», disse l’avvocato di prima classe irosamente.
«Comunque non c’è da stupirsi che la signorina la pensi in tal modo», continuò il vice-procuratore generale. «Parola mia, non so come possiamo aspettarci che si sbarazzi del suo primo amore dopo una simile prova di devozione».
«Il matrimonio sarebbe troppo sconveniente», disse il signor Hardy.
«Decisamente orribile», disse l’avvocato di prima classe.
«Addolora pensarci», disse il signor Goffe.
«Sarebbe molto meglio che non fosse per nulla Lady Anna, se dovesse far ciò», disse il signor Mainsail.
«Molto, molto meglio», disse il signor Flick, scuotendo il capo e ricordandosi di essere al servizio di Lord Lovel e non della contessa – un fatto di cui gli pareva che il vice-procuratore generale dimenticasse completamente l’importanza.
«Signori, non c’è romanticismo tra voi», disse Sir William. «Nella storia la generosità e il coraggio non hanno sempre prevalso sulla ricchezza e il rango con le donne?».
«Non ricordo di nessun valoroso sarto che abbia conquistato dame di alto rango», disse il signor Hardy.
«La dama di Strachy non sposò il custode del suo guardaroba?»32 chiese il vice-procuratore generale.
«Non credo che ci importi molto del romanticismo qui», disse l’avvocato di prima classe. «Il matrimonio sarebbe talmente abominevole, da risultare impensabile».
«Il sarto dovrebbe a ogni modo avere il denaro», disse il vice-procuratore generale, «e io prometto che se la situazione è quale viene descritta dal signor Goffe…».
«Lo è senza dubbio», disse il procuratore.
«Allora non ci saranno difficoltà a trovare i fondi per pagare. Se non deve avere la moglie, che perlomeno abbia il denaro. Signor Flick, ritengo gli si dovrebbe comunicare che il Conte Lovel si unirà alla contessa nel fare alla corte immediata richiesta di mezzi per soddisfare la sua istanza. Nelle circostanze in cui ci troviamo attualmente, non ci sono dubbi che simile richiesta ottenga il risultato desiderato. Naturalmente sarà necessario dichiarare che io e l’avvocato Bluestone siamo entrambi del parere che il denaro per tale scopo vada concesso».
Come risultato immediato di questa conversazione, Daniel Thwaite ricevette la mattina seguente lettere sia dal signor Goffe che dal signor Flick. Il primo lo informava che si riteneva che una somma di poco più di novemila sterline gli fosse dovuta dalla contessa e che senza indugio sarebbero state intraprese delle misure per il pagamento. La lettera del signor Flick, che era molto più breve di quella del confratello procuratore, diceva semplicemente che, poiché la Contessa Lovel risultava in debito di un’ingente quantità di denaro con il defunto Thomas Thwaite, per delle somme prestate alla contessa negli ultimi vent’anni, era stato consigliato all’attuale Conte Lovel di unirsi alla contessa nel rivolgersi ai tribunali, perché l’ammontare dovuto venisse pagato con la rendita dei beni lasciati dal defunto conte; e tale richiesta sarebbe stata rivolta «immediatamente». Il signor Goffe invece, nella sua lettera, procedeva offrendo alcuni suggerimenti e dando molti consigli. Poiché l’ingente debito, di cui non esisteva nessuna prova, era liberamente riconosciuto dalla contessa e poiché senza indugio si stavano prendendo provvedimenti per assicurare il pagamento dell’intera somma comunicata a Daniel Thwaite, in qualità di erede del padre, si sperava che Daniel Thwaite abbandonasse subito l’assurda pretesa alla mano di Lady Anna Lovel. Poi il signor Goffe dipingeva con colori accesi l’iniquità di cui Daniel Thwaite si sarebbe macchiato se si fosse ostinato nell’infruttuoso tentativo di rimandare il consolidamento di una nobile famiglia che mostrava la propria congiunta benevolenza pagandogli il denaro che gli era dovuto.