Nuovi amici
La presentazione a Yoxham seguì rapidamente la visita del conte in Wyndham Street. Ci fu un grande consulto al rettorato prima di decidere come andasse formulato l’invito. Il conte riteneva che andasse spedito alla madre. Il rettore si opponeva con grande forza a questa opinione, sperando ancora, anche se fosse stato costretto a chiamare la ragazza Lady Anna, di poter rimandare la necessità di riconoscere il titolo di contessa della madre finché il matrimonio non fosse stato definitivamente dimostrato. La signora Lovel pensava che se la ragazza era Lady Anna, allora la madre doveva essere la Contessa Lovel e che tanto valeva andare fino in fondo. Ma la saggezza di zia Julia si schierò con il fratello, sebbene non condividesse i suoi sentimenti di animosità nei confronti delle due donne. «È sottinteso che verrà invitata la ragazza e non la madre», disse la signorina Lovel; «e poiché è possibile che la cosa non riesca, – in tal caso l’azione legale potrebbe continuare – meno riconosciamo meglio sarà». Il conte dichiarò che l’azione legale non poteva proseguire – che egli non l’avrebbe portata avanti. «Mio caro Frederic, tu non sei l’unica persona interessata. La signora italiana, che continua a farsi chiamare Contessa Lovel, potrebbe ricorrere per conto proprio a una nuova azione legale non appena tu avrai rinunciato. Se dovesse avere successo, tu saresti costretto a raggiungere con lei il miglior compromesso possibile sui beni. È così che mi pare di capire». Tale esposizione del caso da parte della signorina Lovel risultò talmente chiara da avere la meglio, e di conseguenza la signora Lovel scrisse una lettera, indirizzata a Lady Anna Lovel, chiedendole di venire a trascorre qualche giorno a Yoxham. Poteva portare con sé la sua cameriera o meno, come preferiva; comunque poteva contare sull’aiuto della cameriera personale della signora Lovel se decideva di venire sola. La lettera suonava fredda quando venne letta, ma l’autrice si firmò, «Con affetto, Jane Lovel». Fu indirizzata a «Lady Anna Lovel, presso i signori Goffe e Goffe, procuratori legali, Raymond’s Buildings, Gray’s Inn».
A Lady Anna fu permesso di leggerla per prima; ma lei la lesse in presenza della madre, a cui la porse subito, come cosa naturale. Un cipiglio minaccioso oscurò la fronte della contessa e un’aria contrariata, quasi di collera, le comparve in viso. «Non va bene, mamma?», chiese la ragazza.
«È parte del tutto ma, mia cara, non ha importanza. I conquistatori non possono diventare conquistatori in un attimo, né ci si può aspettare che gli sconfitti si sottomettano con grazia. Ma questo verrà. E anche se dovessero ignorarmi completamente, ciò non avrà peso. Non ho lottato negli anni passati per conquistare il loro affetto».
«Non andrò, mamma, se sono sgarbati con voi».
«Devi andare, mia cara. È solo che sono così deboli da credere di poter riconoscere te e tuttavia continuare a negarmi i miei diritti. Ma non ha nessuna importanza. Naturalmente tu andrai – e andrai come la figlia del Conte Lovel».
L’accenno alla cameriera si rivelò infelice. La signora Lovel aveva semplicemente voluto rendere facile alla signorina arrivare senza una domestica che l’accompagnasse, e aveva trattato la lontana cugina del marito come le signore più anziane spesso trattano quelle più giovani quando la questione della cameriera può diventare una difficoltà. Ma la contessa, che da sola non ci avrebbe pensato, dichiarò a quel punto che la ragazza doveva andare scortata come richiedeva il suo rango. Lady Anna, pertanto, sotto dettatura della madre, scrisse la seguente risposta:
Wyndham Street, 3 agosto 183*
Cara signora Lovel,
sarò lieta di accettare il gentile invito a Yoxham, ma non mi riuscirà di farlo prima del 10. Quel giorno lascerò Londra per York con la carrozza di posta. Forse sarete così gentile da mandare qualcuno a incontrarmi alla fermata della carrozza. Poiché siete così buona da dire di poterla ospitare, porterò la mia cameriera.
Con affetto
ANNA LOVEL
«Ma, mamma, non voglio una cameriera», disse la ragazza, che non aveva mai avuto nessuno al suo servizio e che il più delle volte aveva rifatto il letto della madre e il suo finché non erano venute a Londra.
«Tuttavia ne avrai una. Dovrai fare altri cambiamenti oltre a questo; e prima comincerai a farli, tanto più facili ti risulteranno».
Poi senza indugi la contessa fece un pellegrinaggio dal signor Goffe in cerca di fondi per equipaggiare la figlia in modo adeguato ai suoi nuovi amici. Doveva partire come colei che sarebbe diventata la sposa prescelta del Conte Lovel. Ovviamente era necessario che fosse adeguatamente equipaggiata. Il signor Goffe sollevò delle difficoltà – come fanno sempre i legali – ma il denaro necessario alla fine fu disponibile. Erano state fatte delle rimostranze in alte sfere legali – ai custodi temporanei dei beni che sarebbero andati all’erede riconosciuto del defunto conte. Erano state fatte congiuntamente da Goffe e Goffe e Norton e Flick, e il denaro arrivò. Il signor Goffe lasciò intendere che non poteva essere necessaria una grande somma tutta in una volta per l’abbigliamento della signorina. La contessa sorrise nel rispondere: «Non conoscete, signor Goffe, le ristrettezze in cui ci siamo trovate. Se vi dicessi che il vestito che indosso è l’unico con cui posso presentarmi decentemente finanche nel vostro studio, forse pensereste che mi voglio svilire». Il signor Goffe fu commosso, e firmò un assegno adeguato. Stavano per riuscire nell’impresa e allora tutto sarebbe stato facile. E anche se non avessero avuto successo, poteva farlo inserire nella contabilità. E se no… beh, aveva corso rischi anche maggiori per clienti le cui cause erano molto meno importanti di quella della contessa e della figlia.
La contessa aveva menzionato il suo vestito e quel che aveva detto a riguardo era la pura verità – ma non uno scellino del denaro del signor Goffe fu speso per fornirle un guardaroba. Al momento il suo obiettivo principale era che la figlia arrivasse al Rettorato di Yoxham come si conveniva alla figlia del Conte Lovel. Furono fatti acquisti davanti ai quali la povera ragazza, non avvezza a simile eleganza, rimase sbalordita e quasi stordita. Due sarte vennero accolte nelle camere in affitto di Wyndham Street; pacchetti di Swan e Edgar, – Marshall e Snellgrove14 non c’erano allora, o perlomeno non avevano raggiunto lo splendore di un intero isolato – indirizzati a Lady Anna Lovel, arrivavano spesso alla porta, con un certo disgusto dei negozianti, a cui non piaceva spedire articoli a Lady Anna Lovel in Wyndham Street. Ma furono pagati in denaro sonante e i pacchetti arrivarono. Lady Anna, povera ragazza, rimase sbigottita dai pacchi, ma non seppe proprio più che fare quando arrivò la cameriera – una giovane così ben vestita che Lady Anna l’avrebbe invidiata ai vecchi tempi del Cumberland. «Non saprò cosa dirle, mamma», disse Lady Anna.
«Tra un paio di giorni non sarà più un problema, se solo sarai all’altezza della situazione», disse la contessa che, nel fornire alla figlia quella costosa appendice, aveva calcolato che quanto più la figlia avesse provato i lussi della vita aristocratica, tanto meno disposta sarebbe stata ad adattarsi alla grossolanità del sarto Daniel Thwaite.
La contessa mise la figlia nella carrozza di posta e le diede molti consigli nel separarsi da lei. «Vai a testa alta quando sarai con loro. È tutto quel che devi fare. Tra tutti loro sarà il tuo sangue a essere il migliore». Di quella teoria del sangue Lady Anna non era mai riuscita nemmeno a capire il significato. «E ricordati anche questo – che sei tu in realtà la più facoltosa. Saranno loro a doverti portare rispetto. Naturalmente sarai cortese e gentile con loro – è la tua natura; ma nemmeno per un solo momento devi permetterti di ritenerti inferiore». Lady Anna, – che non aveva una grande opinione del proprio lignaggio, che per tutta la vita era stato un attributo più molesto che utile – riusciva solo a ricordare quel che era stata nel Cumberland e il vincolo che la legava al figlio del sarto. Riusciva a ricordare solo quello e l’indicibile dolcezza del giovane che una volta le era apparso davanti – a cui sapeva di dover essere inferiore. «Vai a testa alta tra di loro e pretendi sempre quel che ti è dovuto», disse la contessa.
La carrozza del Rettorato la stava aspettando nel cortile della locanda a York, e dentro c’era la signorina Lovel. Si era ritenuto meglio che andasse la donna saggia della famiglia piuttosto che chiunque altro. Perché le signore di Yoxham erano preoccupate riguardo a Lady Anna quanto lo era lei nei loro confronti. Che genere di ragazza era quella che dovevano accogliere tra di loro come Lady Anna – che aveva trascorso tutta la vita in mezzo ai sarti, e con una madre di cui fino a poco tempo prima avevano pensato tutto il male possibile? Il giovane lord aveva parlato bene di lei, dicendo che non solo era bella, ma femminile, con modi dolci e discreti, e una signora sotto tutti gli aspetti. Il conte, comunque, era solo un ragazzo ed era probabile che si lasciasse ingannare dalla mera bellezza; era anche possibile che la ragazza fosse stata così abile da raggirarlo. Avevano creduto tante di quelle brutte cose che un resoconto del tutto positivo non poteva venir accettato subito come veritiero. La signorina Lovel avrebbe certamente scoperto la verità, anche una passeggiata in carrozza di un’ora le sarebbe bastata, e la signorina Lovel andò ad incontrarla. Non lasciò la carrozza, ma mandò il lacchè ad aiutare Lady Anna Lovel a scendere dal postale. «Mia cara», disse la signorina Lovel, «sono molto felice di vedervi. Oh, avete portato una cameriera! Non pensavamo che l’avreste portata. Dietro c’è un posto dove può sedere».
«Mamma ha ritenuto che fosse meglio. Spero non sia un male, signora Lovel».
«Mi sarei dovuta presentare. Io sono la signorina Lovel, e il Rettore di Yoxham è mio fratello. Non c’è nessun problema per la cameriera. Ce la caveremo benissimo con lei. Presumo che sia con voi da molto tempo».
«No, davvero; è arrivata solo l’altro ieri». E così la signorina Lovel apprese l’intera storia della cameriera personale.
Lady Anna disse pochissimo, ma la signorina Lovel spiegò un bel po’ di cose durante il tragitto. Il giovane lord non era a Yoxham. Era in Scozia con un amico, ma sarebbe arrivato verso il 20. I due ragazzi erano a casa per le vacanze, ma sarebbero tornati a scuola di lì a due settimane. Minnie Lovel, la figlia, aveva una governante. Il Rettorato, per essere una canonica, era una casa abbastanza grande e comoda. Era stata la prima casa di Lord Lovel, ma al momento non vi passava molto tempo. «Ritiene giusto andare a Lovel Grange durante parte dell’autunno. Suppongo abbiate visto Lovel Grange».
«Mai».
«Oh, davvero. Ma vivevate là vicino, no?».
«No, non vicino – a circa quindici miglia, mi pare. Sono nata là, ma non ci sono mai più stata da quando ero in fasce».
«Oh!… Siete nata là. Naturalmente sapete che è la residenza di mio nipote ora. Non mi sembra che gli piaccia granché, anche se il paesaggio è magnifico. Ma un proprietario deve vivere, almeno per un periodo dell’anno, nei suoi possedimenti. Avete conosciuto mio nipote».
«Sì, è venuto da noi una volta».
«Spero che vi piaccia. Noi lo troviamo molto simpatico. Ma d’altra parte è quasi come un figlio qui. Vi interessa andare a far visita ai poveri?».
«Non ci ho mai provato», disse Lady Anna.
«Oh, cielo!».
«Siamo state anche noi così povere – eravamo proprio come loro». A quel punto la signorina Lovel si accorse di aver fatto una gaffe. Ma era abbastanza generosa da apprezzare la semplicità priva d’affettazione della ragazza, e cominciò quasi a pensare bene di lei.
«Spero verrete a fare il giro della parrocchia con noi. Ne saremmo molto felici. Yoxham è una parrocchia grande, con piccoli villaggi sparpagliati, e c’è molto da fare. Le fabbriche ci stanno lentamente raggiungendo e abbiamo già un grande mulino a Yoxham Lock. Mio fratello ormai deve tenere due curati. Eccoci qua, mia cara, e spero riusciremo a farvi contenta».
Alla signora Lovel non piacque la cameriera, mentre al signor Lovel non piaceva per niente tutta la situazione. «E dire che quando siamo stati in città, abbiamo sentito che non avevano letteralmente nulla con cui mantenersi», disse il pastore. «Spero che, dopo tutto, non ci renderemo ridicoli». Ma non c’era nulla da fare e naturalmente la cameriera venne accolta.
Ai ragazzi era stato detto di chiamare la cugina Lady Anna – a meno che non avessero sentito la madre omettere il titolo, e in tal caso avrebbero dovuto fare lo stesso. Non erano così giovani da non conoscere tutti l’indiscreto vigore con cui il padre aveva ridicolizzato le pretese al titolo in questione e non erano riusciti bene a capire cosa aveva prodotto il cambiamento. «Forse sono davvero ciò che si fanno chiamare», aveva detto il rettore, «e, se è così, il cielo non voglia che gli neghiamo ciò che gli spetta». Dopo di che i tre ragazzi, discutendo tra di loro dell’argomento, avevano deciso che Lady Anna non era una cugina – bensì «un’imbrogliona». Quando la videro però i loro cuori si addolcirono, la ragazzina divenne carezzevole e i ragazzi garbati.
«Papà», disse Minnie Lovel, il secondo giorno, «spero che sia nostra cugina».
«Lo spero anch’io, mia cara».
«Credo che lo sia. Ha l’aria di doverlo essere perché è così carina».
«Essere carini, mia cara, non è abbastanza. Dovresti amare le persone perché sono buone».
«Ma io non vorrei che tutte le persone buone fossero mie cugine – e voi, papà? La vecchia vedova Grimes è un’eccellente vecchina; ma non vorrei averla per cugina».
«Mia cara, parli di cose che non capisci».
Ma in realtà Minnie capiva la cosa meglio del padre. Prima che fossero trascorsi tre o quattro giorni aveva capito che l’ospite era amabile – cugina o meno che fosse; e sapeva anche che la nuova arrivata era per natura e formazione adatta a essere una cugina. Tutta la famiglia continuava a chiamarla Lady Anna, ma Minnie ritenne che fosse giunto il momento di poter infrangere la legge. «Pensavo che mi piacerebbe chiamarvi solo Anna, se me lo permetterete», disse. Le due erano nella camera dell’ospite e Minnie si appoggiava alla spalla della sua nuova amica.
«Oh, vorrei tanto che lo facessi. Detesto talmente che mi si chiami Lady Anna».
«Ma voi siete Lady Anna, vero?».
«E tu sei la signorina Mary Lovel, ma non ti piacerebbe che tutti in casa ti chiamassero così. E poi se ne è parlato tanto in tutta la mia vita, che mi rende davvero infelice. Vorrei proprio che la tua mamma non mi chiamasse Lady Anna». Al che Minnie spiegò con gran modestia di non poter rispondere per la mamma, ma lei avrebbe sempre chiamato l’amica, Anna, – quando papà non era presente.
Ma Minnie fece più di quel che aveva promesso.
«Mamma», disse il giorno dopo, «lo sapevate che detesta essere chiamata Lady Anna?».
«Cosa te lo fa credere?».
«Ne sono sicura. Me lo ha detto lei. Tutti ne hanno sempre parlato da quando è nata, e lei dice che non ne può più».
«Ma, mia cara, la gente deve essere chiamata con il proprio nome. Se è il suo nome non dovrebbe detestarlo. Posso capire che le persone detestino un nome falso».
«Io sono la signorina Mary Lovel, ma non mi piacerebbe per niente se tutti mi chiamassero signorina Mary. I domestici mi chiamano signorina Mary, ma se lo facessero papà e la zia Julia penserei che mi stanno sgridando».
«Ma Lady Anna non è la figlia di papà».
«È sua cugina. Non è sua cugina, mamma? Non penso che bisognerebbe chiamare le proprie cugine Lady Anna. Io ho promesso che non lo farò. Il cugino Frederic ha detto che lei era sua cugina. Come la chiamerà?».
«Non saprei dirlo, mia cara. Per allora la conosceremo tutti meglio». La signora Lovel, comunque, seguì l’esempio della figlia e da allora la povera ragazza fu Anna per tutti loro – a eccezione del rettore. Egli ascoltava e pensava di provarci; ma gli mancava il cuore. Avrebbe preferito che fosse una truffatrice, se fosse stato ancora possibile. Avrebbe tanto preferito che non esistesse per nulla! Non gli importava della sua bellezza. Non subiva il fascino della sua semplicità. Era una delle avversità del mondo l’essere costretti ad averla là nel suo rettorato. La ricchezza dei Lovel era indispensabile al vero erede dei Lovel e per il bene del nipote e della famiglia era stato indotto a dare il suo consenso; ma non riusciva ad amare l’intrusa. Continuava a sognare l’avvento di sorprese che avrebbero sistemato la questione in modo di gran lunga preferibile a un matrimonio. La ragazza poteva essere innocente – come gli dicevano la moglie e la sorella; ma era sicuro che la madre fosse una donna intrigante. Sarebbe stato un vero peccato ospitare la ragazza se – dopo tutto – la donna si fosse rivelata solo una pseudo contessa! Poiché gli altri avevano smesso di chiamarla Lady Anna, lui non poteva continuare a farlo; ma riusciva a vivere con lei senza chiamarla con nessun nome.
Nel frattempo la cugina Anna andava a far visita ai poveri con Minnie e zia Julia, suscitando opinioni più che lusinghiere. Era dolce, femminile, quasi umile – ma tuttavia con un tocco di umorismo, quando era sufficientemente a suo agio con loro da essere felice. Vi era molto nella vita che lei apprezzava profondamente. I campi verdi e l’aria che per lei era così piacevole dopo il caldo soffocante delle strette strade londinesi, l’allegro giardino della canonica e le piacevoli funzioni nella chiesa di campagna – e senza dubbio anche i lussi di una casa ricca e ben ordinata. I calcoli della madre non erano stati fatti senza fondamento. La dolcezza, la simpatia, la disinvoltura, la grazia delle persone intorno a lei la conquistavano giorno dopo giorno e ora dopo ora. Il gradevole ozio del salotto, con i suoi libri e la musica, e il chiacchierio senza costrizione delle voci di famiglia le piacevano sempre di più come tante nuove malie. Scendere a colazione con nastri vivaci e un vestito di mussola pulito e ben stirato, senza aver nulla da fare che li stropicciasse in modo inelegante, e poi vestirsi per la cena con sete e fronzoli resero l’esistenza bella prima che fossero trascorsi dieci giorni. Le pareva di vivere tra rose e profumi. In quella vita non c’erano dure difficoltà, come di necessità c’erano state in quella che aveva vissuto con la madre. Le carezze di Minnie Lovel le confortavano e riscaldavano il cuore – e di tanto in tanto, quando gli occhi di zia Julia non la seguivano, aveva la tentazione di scatenarsi a giocare con i ragazzi. Oh! Se fossero davvero stati suoi fratelli!
Ma nel mezzo di tutto ciò era sempre presente ai suoi occhi la prospettiva di un’imminente infelicità. La vita che stava conducendo non poteva essere la sua vita. Il conte stava per arrivare – quel giovane Apollo le avrebbe di nuovo chiesto di diventare sua moglie. Lei era là, come ben sapeva, per poter dare alla famiglia Lovel tutta la ricchezza che le sarebbe appartenuta; e una volta che si fosse rifiutata di concedere se stessa – come unico modo per poter trasferire la ricchezza – l’avrebbero scacciata dalla loro piacevole casa. Allora sarebbe dovuta tornare all’altra vita ed essere la moglie di Daniel Thwaite; e per lei le dolcezze sarebbero finite.