QUARANTASEI
I
«Quindi il Messia sta per arrivare in aereo da Londra», disse il primo ministro. «È questo che mi state dicendo?»
«Le sto dicendo che questa gente non distruggerebbe la Porta d’Oro per un capriccio», disse il capo di stato maggiore. «I missili Predator sono costosi ed è difficile entrarne in possesso. Usarne così tanti su un singolo bersaglio…».
«Mandiamo i caccia», disse il ministro dell’interno. «Abbattiamoli prima che atterrino».
«E se fosse davvero il Messia?», mormorò il ministro degli esteri.
Il primo ministro mise fine alle risatine con uno sguardo. «Se Kohen e Croke collaborano in questa cosa, saranno in contatto. Che succede se distruggono la cupola come ritorsione?»
«E suicidarsi nel mentre?»
«Se saranno costretti». Ma la domanda la fece riflettere. «Kohen e i suoi amici nella Cupola, vogliono uscirne vivi, giusto?»
«Così sembrerebbe».
«Il che significa che dovranno lasciare la Cupola prima di farla esplodere». Diede uno schiaffo al tavolo. «Ecco a cosa serve la lista. Noi facciamo liberare questi prigionieri, loro dicono grazie e si arrendono. E poi, mentre li scortiamo via…».
La sua analisi fu accolta dal silenzio. Suonava troppo orribilmente plausibile. «Che facciamo?», domandò il ministro delle finanze. Ma nessuno rispose.
Il ministro dell’intelligence aveva lasciato il suo posto per rispondere a una chiamata. Ora stava tornando. «Mi perdoni, primo ministro», disse, allontanando il telefono.
«Cosa c’è?»
«Forse non è niente. Ma abbiamo trovato delle carte a casa di Kohen. Di una visita in ospedale. Sono al telefono con il suo dottore adesso. Non vuole dirci che tipo di visita. Privacy del paziente. Ma dice che a lei lo direbbe, se gli assicura che si tratta di sicurezza nazionale».
Lei annuì e prese il telefono. «Sono il primo ministro», disse. «Questa è assolutamente sicurezza nazionale. Mi dica di Kohen». Sentiva il sangue abbandonarla mentre lo ascoltava, ma lo ringraziò quando ebbe finito, poi restituì il telefono. «Kohen sta morendo», annunciò incolore. «Due giorni fa, ha scoperto che stava morendo».
«È un Sansone», mormorò il ministro degli esteri. «Abbatterà il tempio sopra di sé».
«Cosa facciamo?», chiese di nuovo il ministro della finanza.
Il primo ministro gli lanciò un’occhiata tagliente. Per avere la reputazione del falco, in questa crisi si stava dimostrando disorientato e debole. Se fossero sopravvissuti alla notte, avrebbe avuto bisogno di qualcuno di più saldo al suo posto. Si voltò verso il ministro degli esteri. «Il depistaggio funziona in entrambi i versi», disse. «Faccia contattare dai suoi i ministri degli esteri e degli interni di ogni paese che trattiene quei prigionieri. Trattate con loro. Fate offerte. Aggiornate la stampa. Rilasciate interviste. Dobbiamo pensare che Kohen terrà d’occhio i suoi sforzi, quindi faccia tutto quello che può per convincerlo che siamo caduti nella sua trappola».
«Sì, primo ministro».
«Stanno aspettando questo Croke», disse al ministro dell’interno. «Dobbiamo ritardare il suo arrivo. Bloccatelo. Portatelo a spasso. Fateci guadagnare tempo».
Annuì e si alzò in piedi. «Me ne occupo subito, primo ministro».
«Niente di troppo ovvio. Non vogliamo che capisca che lo teniamo d’occhio».
«No, primo ministro».
Si rivolse al suo capo di stato maggiore. «Non possiamo rischiare di aspettare», disse. «Dovrete fare irruzione nel tempio».
Fece una smorfia. «Non sarà semplice», la mise in guardia. «Saremo circondati da enormi spazi aperti. Hanno una bella visuale da porte e finestre. Sono ben armati, ben addestrati, e si aspettano sicuramente un qualche tipo di reazione».
«E se arriviamo dall’alto?»
«Questo vorrebbe dire elicotteri. Li sentirebbero di sicuro».
«I canali televisivi ci hanno chiesto di mettere in aria i loro elicotteri», disse il ministro dell’interno, fermandosi sulla porta. «Finora abbiamo detto di no. Se gli diamo il permesso, il loro rumore coprirebbe il nostro?»
«Che succede se uno di loro riprende i nostri mentre si calano giù?», domandò il ministro della finanza.
«Allora dovranno rinunciare al futuro utilizzo dei propri testicoli», tagliò corto il primo ministro. Si rivolse al capo di stato maggiore. «Allora? Può farlo funzionare?»
«Questo tipo di operazione», disse mesto, «richiede un’intelligence precisa. Richiede pianificazione. Richiede addestramento».
«Lo so che è così. Ma non abbiamo tempo. Presto farà giorno. I suoi uomini devono essere in posizione prima che accada».
«Sì, primo ministro. Organizzo all’istante».
«Grazie. E generale…».
«Sì?»
«I suoi migliori. Quelli davvero migliori. Faccia sapere loro che questi fanatici vogliono iniziare una guerra che potrebbe significare la fine di Israele. La sopravvivenza della nostra nazione sarà nelle loro mani. Quindi hanno la mia autorizzazione a fare qualunque cosa ritengano necessaria. Qualunque cosa. Se vedono anche uno spiraglio di opportunità, qualsiasi spiraglio, devono sfruttarlo».
Fece sobriamente un cenno. «Sì, primo ministro», disse. «Lo sapranno».
II
Walters si trovò a guardare ossessivamente la mappa del volo. Finalmente superarono il sud dell’Egeo e raggiunsero il mare aperto. Croke annuì quando lui andò ad avvisarlo. «Craig dice che non dovremmo depressurizzare a questa quota», disse. «Troppo rischioso. Dice di aspettare fino alla discesa».
«Non saremo troppo vicini alla costa così?»
«Pare di no. Arriveremo dall’acqua. E sarà ancora abbastanza buio. Va bene?»
«Va bene», disse Walters. Ma stava fumando di rabbia mentre se ne andava, più arrabbiato con se stesso che altro. Adesso gli era chiaro come Croke se lo fosse portato tutto il tempo al guinzaglio. Non aveva mai voluto sbarazzarsi di Luke e Rachel. Cosa gli importava se Walters finiva dentro per omicidio, dopotutto? Avrebbe solo voluto dire uno stipendio in meno da pagare.
“Vaffanculo allora”, pensò Walters. A Croke piaceva tanto il fatto compiuto, era arrivato il momento di presentargliene uno.
Si fece strada verso la stiva, trovando Kohen inginocchiato davanti all’Arca, che la puliva con batuffoli di ovatta imbevuti nel solvente. «Fai una pausa», disse a Kieran, che era di guardia.
«Sto bene», disse Kieran. «È abbastanza interessante, a dire il vero».
«Ho detto di fare una pausa».
Kieran esitò, poi annuì. «Va bene, capo».
Walters lo accompagnò alla porta e la richiuse alle sue spalle, restando solo con Kohen. Non era arrivato attrezzato per questo, ma c’era parecchio materiale a portata di mano. La pellicola termoretraibile e gli altri materiali da imballaggio dei pallet erano stati ammucchiati fra le casse di quercia e la parete. Trovò un nastro di politene blu lungo almeno un metro e mezzo, lo strattonò per assicurarsi che fosse adatto allo scopo. «Come sta venendo?», domandò a Kohen.
«È quasi pronta», disse Kohen. «Ho testato tutti i componenti. Ognuno fa esattamente quello che deve fare. E il progetto di per sé… è brillante. Credo davvero che funzionerà».
«Ma davvero?», chiese Walters.
«Sono passati trecento anni», disse Kohen. «Quindi non c’è modo di esserne certi finché non proviamo. Ma sì, credo che funzionerà».
Walters si passò il nastro di politene due volte intorno a ogni mano per assicurarsi una buona presa, lasciando abbastanza nastro libero nel mezzo per il suo scopo. Incrociò le braccia mentre si avvicinava da dietro a Kohen, formando un cappio. «Perché non provarla adesso?», chiese.
«A novemila metri?», lo schernì Kohen. «E se avessimo interpretato male il progetto? E se incontriamo una turbolenza? No, grazie. Voto per aspettare l’atterraggio. Non manca molto, dopotutto. Basta versare dentro l’acido e…».
Walters mise il cappio intorno alla gola di Kohen e tirò forte prima che potesse urlare. Kohen lasciò cadere l’ovatta e provò a infilare le unghie sotto il nastro, ma la garrota era un’arma crudele: non lasciava scampo. E Kohen era decisamente troppo in ritardo, troppo lento e troppo debole. Stava già annaspando per l’aria. La sua faccia si colorò in modo orribile, agitò le braccia, scalciò. Il tessuto sul cavallo dei suoi pantaloni si bagnò. La sua lotta si affievolì in spasmi che divennero contrazioni e poi si fermarono anche quelle.
Walters adagiò Kohen sulla schiena. Strinse il nastro blu più forte che poteva intorno al suo collo, poi fece un nodo, come una macabra cravatta sottile. Tirò fuori un telone, ci trascinò sopra Jay, poi lo piegò su di lui in modo che non fosse possibile vederlo dalla cabina passeggeri. Soddisfatto, si asciugò le mani sui pantaloni e andò a cercare un altro nastro di politene abbastanza lungo.
Adesso toccava alla ragazza.