SEDICI
I
Parcheggiare in centro a Oxford era sempre una sfida, ma alla fine Pelham trovò un posto in una strada residenziale dove fu costretto a spingere appena le auto davanti e dietro per poter entrare. Camminarono in fretta e trovarono Albie ad aspettarli vicino a una porta laterale del suo college, che passeggiava avanti e indietro, controllando l’orologio. «Mi auguro che sia importante, Olivia», le disse, dandole un veloce bacio sulla guancia. «Avrei dovuto tenere uno stupido discorso».
«È importante», disse Olivia. «E ti siamo davvero grati».
Li fece entrare, chinandosi con la tipica cautela delle persone alte nei vecchi edifici. Raggiunsero una stanza adibita a magazzino. Con un ampio gesto da cortigiano indicò la scelta di apparecchiature per il rilevamento disposte sugli scaffali, poi si appoggiò al muro opposto nella posa dell’adolescente problematico.
«Hai un Mala!», disse Rachel, andando dritta al dispositivo. «Fantastico!».
Albie sussultò. «Anche la nostra moon-buggy è una bella macchina», disse, portandola verso il vicino del Mala. «Un vero mulo».
«Ne avremo cura, te lo giuro», promise Olivia. «Te lo riporteremo immediatamente».
Albie sospirò. «Domani andrà bene», disse, mentre Luke e Pelham prendevano il Mala e i suoi accessori. «Ma cosa state cercando?»
«Non posso dirtelo», gli rispose Olivia. «Davvero, non posso. Ma se troviamo qualcosa, sarai il primo a saperlo».
«Lo spero bene».
Il vecchio Ashmolean era più vicino della macchina, così andarono direttamente là. Il percorso li fece passare accanto allo Sheldonian. «Forse non era la rete degli alchimisti», rimuginò Olivia, aggrottando la fronte. «Forse era questo tizio».
«Intendi Wren?», domandò Rachel.
Olivia annuì. «Uno degli amici più stretti di Newton. E di Ashmole, anche». Il suo museo era alla porta accanto. «Pare che abbia anche contribuito a progettare questo posto», disse, accompagnandoli su per i gradini. «O almeno, è quello che diciamo alla gente».
Rachel sorrise. «Bisogna aggiungere un po’ di prestigio».
«Ed è più difficile per il consiglio farci chiudere». Aprì la porta, disinserì l’allarme, accese le luci. Si trovarono in uno spazio espositivo che serviva anche da reception e negozio di souvenir. Una scalinata interna conduceva sia di sopra sia al piano di sotto. Loro scesero, attraversando molte porte fino a un’altra grande sala affollata di schiere ordinate di teche con la testa di vetro, e con meridiane, pendole da terra e altri grandi cronometri contro le pareti. «Conrad diceva che si trovava qui», disse Olivia. «Non so esattamente dove».
«Ottimo», disse Rachel. «Allora cominciamo a cercare».
II
Walters si era fermato per un hamburger con Pete e Kieran. L’umore era cupo, le tracce ormai fredde. Stavano iniziando a parlare di lasciar perdere per la notte e cominciare freschi il mattino successivo, quando il suo cellulare suonò. Ingoiò un boccone di carne e pane secco. «Sì?», domandò.
«Non so chi cazzo credi di essere», disse un uomo.
«Allora siamo in due, amico», gli rispose Walters. «Sei sicuro di aver fatto il numero giusto?»
«È il numero che mi hanno dato. Mi hanno detto che vuoi informazioni su uno dei nostri navigatori».
«Ah», disse Walters. Indicò a Kieran di passargli un tovagliolino e qualcosa per scrivere. «Vai, allora».
«Non so chi cazzo credi di essere…».
«Sì. Questa cazzata l’avevo già capita la prima volta. Dove sono?»
«Oxford, centro». Lesse le coordinate del GPS, gli diede il nome della via. Walters lo rilesse per assicurarsi di averlo capito bene. «E sono andati direttamente là da Cambridge?»
«Si sono fermati per un po’ in un posto che si chiama Oddington». Lesse anche quelle coordinate.
«Grazie», disse Walters.
«Questo tipo di cose non dovrebbero essere permesse», disse l’uomo, determinato a togliersi il peso. «Veramente, non so chi crediate di essere voi altri».
«Siamo quelli a cui hai appena venduto un tuo cliente», gli rispose Walters, con una certa soddisfazione. «Quindi non andrei in giro a lamentarmi se fossi in te». Chiuse la chiamata, prese quello che restava del suo hamburger e delle patatine, li esaminò scoraggiato per un momento, li rimise giù. Poi fece un cenno a Kieran e Pete. «Andiamo, soci», disse. «Siamo di nuovo in gioco».
III
Luke stava appoggiato al muro, guardando ammirato Rachel mentre assemblava il Mala e si metteva al lavoro. Senza esitare, senza tentennamenti. Era sempre un piacere guardare qualcuno che sapeva esattamente quello che stava facendo. Ma poi si accorse di Pelham che lo guardava ironico. «Cosa?», domandò.
«Niente», sorrise Pelham.
Olivia, nel frattempo, aveva sparso le carte di Newton su una teca. «Le carte di J.D. e J.T.:», disse, battendo sulla quarta riga dell’enigmatico messaggio.
«Pensiamo che J.D. sia John Dee», disse Luke, che la raggiunse. «Non sappiamo chi è J.T.».
«Io sì», disse Olivia. «E non è chi è ma chi sono. John Tradescant, padre e figlio».
Pelham scrollò la testa. «Mai sentiti».
«Quasi nessuno li conosce», disse Olivia. «Anche se si dovrebbe. Per correttezza, questo posto avrebbe dovuto portare il loro nome e non quello di Ashmole. Era la loro collezione che lasciò a Oxford, non la sua».
«I Tradescanterum, si fa fatica anche a nominarli», disse Pelham.
«Chi erano?», domandò Rachel.
«Il padre era un giardiniere. Il suo padrone lo mandò in Olanda a comprare dei semi e fu preso dalla mania del collezionismo. Questo succedeva intorno al 1610, mentre il mondo si stava davvero aprendo. Le Americhe, la Cina, l’India, l’Africa. Viaggiò ovunque, raccogliendo campioni e curiosità varie da mettere in mostra nella sua casa a Lambeth. L’arca, la chiamava. Faceva pagare uno scellino a visita. C’era un grosso mercato per le curiosità a quel tempo. Più sensazionale era l’oggetto, più ci si poteva guadagnare». Fece un cenno verso il fondo. «Trovammo una mano di sirena quando ci allargammo».
«Una mano di sirena?», chiese Luke.
«Così sostenevano i Tradescant», sorrise lei. «Venne fuori che era la zampa di un lamantino. A ogni modo, una meravigliosa scoperta».
«E anche il figlio si unì all’impresa?»
«Subentrò alla morte del padre. Sfortunatamente per lui e la moglie, fu quando si fece avanti Ashmole. Un brutto personaggio, temo. Posò gli occhi sulla loro collezione. Il povero Tradescant non se ne accorse mai. Ashmole era un aristocratico, capisci, per questo si fidarono. Una notte fece ubriacare completamente John e in qualche modo lo convinse a lasciargli la sua intera collezione. Tradescant gli fece causa per ottenere l’annullamento, ma morì prima che il suo caso andasse in tribunale. E a quel punto la corte si pronunciò a favore di Ashmole e non della vedova».
«Forse Ashmole aveva ragione, allora», disse Luke.
«Sì, certo. Perché i tribunali mettono gli interessi delle povere vedove sempre prima di quelli dei nobili facoltosi. In più, c’è una strana storia su Ashmole, appena dopo la guerra civile. Aveva combattuto con i monarchici, quindi per un po’ se ne rimase a cuccia. Poi nel 1646 fu introdotto in una società massonica dello Staffordshire. Uno dei più antichi riferimenti alla massoneria nella storia inglese, settant’anni prima che si costituisse la Grande Loggia di Londra. E tempo una settimana, Ashmole girava per Londra come se fosse sua».
«Perché era un massone?»
«Così sembra. Dopodiché, Ashmole portò continuamente gente in tribunale. Si vantava di non aver mai perso una causa. E mai l’avrebbe persa, giusto? Non finché sapeva in quali tribunali c’erano giudici massoni».
«Forse questo fu il suo legame con Newton», aggrottò la fronte Luke. «Ci sono sempre state voci sulla sua appartenenza alla massoneria. Uno dei suoi discepoli divenne perfino Gran Maestro di…».
Il Mala iniziò improvvisamente a emettere un suono stridente. Rachel tolse il volume, controllò lo schermo. «Quel tipo, Josten, aveva ragione», disse rivolgendosi a Olivia. «Qui sotto c’è qualcosa. Grosso e di ferro, proprio come aveva detto lui». Passò l’apparecchio avanti e indietro. «E c’è anche una specie di cavità».
«Quanto profonda?»
«Tre metri. Tre e mezzo. Qualcosa del genere».
«Tubi?», suggerì Luke.
«Forse». Fece andare avanti e indietro il GPR, mappando il perimetro, approssimativamente un cerchio di circa tre metri di diametro. Regolò i settaggi del Mala, per meglio investigare l’interno del cerchio, controllando i dati mentre procedeva. «Sto rilevando qualcos’altro», disse, mentre raggiungeva il centro. «Un altro metallo». Controllò i dati, corrugò la fronte, controllò ancora. Poi alzò lo sguardo su tutti loro con una stranissima espressione sul volto.
«Cos’è?», chiese Luke.
«Oro», rispose.