VENTUNO
I
«Una nuova Gerusalemme?», disse Rachel. «Qui a Oxford?»
«O forse non qui», disse Olivia. «Forse è per questo che la camera è vuota. Voglio dire, non fraintendermi, sicuramente Ashmole l’avrebbe voluta qui. Era un uomo vanitoso e questo era il suo palazzo. Ma morì molto prima di Evelyn, e decine d’anni prima di Newton o Wren; e nessuno di quei tre aveva un qualsiasi interesse personale in questo posto. E per persone di quel tipo, Oxford non fu mai la nuova Gerusalemme».
«Dove, allora?»
«Londra, ovviamente», disse. «La capitale della Chiesa anglicana. E trovare il posto adatto non sarebbe certo stata una sfida. Wren stava ricostruendo tutta la città». Scrollò la testa incredula davanti all’enormità di tutta quella situazione. «Devo chiamare Albie», disse. «Deve vederla, questa cosa».
«No, Olivia», disse Pelham.
«Sì. Non capisci quanto è importante? Ci sono delle implicazioni. Implicazioni enormi». Aprì la sua rubrica, prese il telefono, iniziò a comporre il numero. Ma poi si bloccò di colpo e lasciò cadere il cellulare come se l’avesse scottata. «C’era l’eco», disse. «Non è quello che succede quando qualcuno ti ascolta?»
«Resta qui», disse Luke. Si affrettò lungo l’atrio buio verso le finestre chiuse, fece scivolare il chiavistello, aprì quel tanto che bastava a mostrargli delle ombre in due auto parcheggiate sulla strada di fronte. Rimise a posto il chiavistello, controllò che le finestre e la porta d’ingresso fossero ben chiuse, tornò nell’ufficio di Olivia. «Sono qui», disse.
«I nostri amici di prima?», domandò Pelham.
Luke scosse la testa. «Macchine diverse. E se ci stanno controllando i telefoni, direi polizia».
«Come ci hanno trovato?», chiese Rachel.
«Forse sono arrivati da soli a “Sous Ashmolean”», disse Pelham.
«E allora cosa stanno aspettando».
«Rinforzi?», suggerì Luke. «Un mandato?». Si girò verso Olivia. «C’è un modo per uscire dal retro?».
Olivia annuì. «Ci sono le scale antincendio al piano di sopra. Portano al vicolo».
«C’è l’allarme?»
«L’ho spento quando siamo entrati».
«Vado a controllare», disse Pelham. «Voi intanto raccogliete tutto».
Luke ripose il portatile di Olivia nella sua custodia, si mise in tasca la macchina fotografica, andò verso la porta con Rachel.
«Andiamo», disse a Olivia.
«No», disse lei. «Io resto».
«Devi venire», la pregò Rachel. «Questi sono dei bastardi».
«Non mi interessa», disse con convinzione. «Questo è il mio museo. Col cazzo che li lascio pascolare qua dentro senza essere qui a controllarli».
Pelham tornò. «Sono anche sul retro», disse con una smorfia.
«Quanti?», domandò Olivia.
«Ne ho visti tre. Potrebbero essercene di più».
«Oh, cazzo», disse Rachel. «Siamo in trappola».
II
Croke se ne stava seduto sui sedili posteriori della Range Rover mentre il convoglio dell’NTC correva in direzione ovest lungo la M4, superando auto a tutta velocità. «Non è che la polizia proverà a fermarci, vero?», chiese a Morgenstern.
«Sappiamo quello che facciamo».
Croke annuì. Morgenstern l’aveva colpito non solo per la velocità di reazione con cui aveva accettato di concentrarsi su Oxford, ma anche per la sua decisione di continuare le ricerche a Crane Court con il solo scopo di distrarre i media. Raggiunsero la loro uscita. La strada si strinse, il traffico aumentò.
Arrivò una chiamata sul cellulare di Morgenstern. Aggrottava la fronte mentre ascoltava, si girò verso Croke. «Qualcuno da dentro il museo ha iniziato a fare una telefonata, poi ha messo giù», disse. «E hanno appena controllato l’uscita d’emergenza».
«Ci hanno visti».
Morgenstern annuì. «Mando dentro la polizia?»
«Quanto manca al nostro arrivo?»
«Altri quattro minuti. Forse cinque».
«Se qualcuno esce, glieli faccia prendere. Altrimenti aspettiamo».
Guardava fuori dal finestrino mentre Morgenstern diede l’ordine. Domenica notte a Oxford, tutto chiuso, tranquillo, morto, i pochi pedoni sobbalzarono all’improvvisa carica del loro convoglio, facce sbiancate davanti ai loro fari. Rallentarono prima di girare in Broad Street, non volendo attirare attenzione indesiderata; si fermarono fuori dal museo. Croke scese insieme a tutti gli altri. Morgenstern aveva scelto la sua squadra personalmente; con tutti i media ancora a Londra, non c’era gran necessità di starsene in disparte. Alcuni uomini dell’NTC circondarono i lati del museo, mentre gli altri si diressero verso la porta del seminterrato. Ma Morgenstern e Croke e chi restava marciarono dritti verso i gradini all’ingresso. «E adesso?», chiese Morgenstern.
Croke fece spallucce. «Bussiamo», disse.
III
Il doppio colpo secco alla porta fece rabbrividire Luke e gli altri. «Sappiamo che siete lì», gridò un uomo. Sembrava americano. «Aprite o entreremo comunque».
Si guardarono impotenti l’un l’altro. Solo Olivia aveva qualcosa da proporre. «Il pozzo», disse. «Dovete nascondervi nella camera».
«Sanno che siamo qui», disse Luke. «Ci troveranno».
«Sanno che qualcuno è qui», si oppose Olivia. «Non sanno chi o quanti. Se voi tre vi nascondete…».
«Voi due», disse Pelham a Luke e Rachel. «Mi hanno visto sulle scale antincendio. E poi, anche se ce la facessi a scendere, non riuscirei più a risalire». Si diede qualche pacca sullo stomaco con rammarico. «Il peso del peccato, e tutto il resto».
«Non ti lasciamo qui», disse Rachel.
«Sì invece», disse Pelham. «Io e Olivia possiamo con qualche credibilità affermare di star lavorando a una nuova mostra. Ma non funziona se trovano qui anche voi. E se pensano che siete in fuga, ci tratteranno meglio per paura che decidiate di attirare l’attenzione. A proposito…». Scarabocchiò un numero di telefono su un pezzetto di carta. «Mia sorella», disse a Luke. «È un avvocato ed è agguerrita. Chiamala se riesci».
«Ce la faremo».
Un altro colpo alla porta, più forte e più insistente. Si affrettarono al pozzo. «Come usciamo poi?», chiese Rachel, guardando in giù.
«La corda, ovvio», disse Pelham.
«Ma non possiamo lasciarla qui a penzolare o la vedranno di sicuro. Li condurrà dritti a noi».
«Ci penso io», disse Olivia. «Scendete e basta». Si voltò e sparì su per le scale.
«Non andrete da nessuna parte conciati così», disse Pelham, indicando la maglietta lurida di Luke. Si tolse la giacca e gliela diede.
«Grazie, amico», disse Luke. Sentì il portafoglio e le chiavi della macchina di Pelham nelle tasche, fece per restituirli.
«Ne avrai bisogno più tu di me», disse Pelham. «Solo, chiama mia sorella».
Qualcosa si schiantò sulla porta d’ingresso. Stavano per entrare con la forza.
«Svelti», disse Pelham.
Luke chiuse la giacca di Pelham nella custodia del portatile di Olivia per tenerla pulita, si mise la cinghia sulla spalla, afferrò la corda e scivolò giù come un pompiere; la corda gli sfregava i palmi delle mani facendoli bruciare. Si buttò nel passaggio e aiutò Rachel a entrare, poi cominciarono in fretta a ricostruire il muro. Passi dall’alto. Olivia. La corda che scorreva verso l’alto. Qualche istante dopo ricadde di nuovo, un secchio di plastica annodato alla sua estremità così da dondolare come un impiccato a mezzo metro dall’acqua, tintinnando contro le mura. Nonostante la situazione, Luke non poté fare a meno di sorridere. Chiunque avesse guardato giù adesso avrebbe dato per scontato che la corda facesse parte della messa in scena.
Le luci del seminterrato si spensero, lasciando buio pesto. Rachel accese la lampada ma la puntò lontano dalla tromba del pozzo per non tradirsi. Passò un minuto. Luke sentì passi di corsa sopra di loro, uomini che urlavano. Le luci si riaccesero. Gli restava solo un mattone per completare il muro, ma ogni volta che lo spingeva dentro, questo spingeva fuori quelli vicini che precipitavano nel pozzo. Borbottò un’imprecazione e rinunciò.
Dalla fessura rimasta poteva vedere la corda oscillare in lente ellissi, come un pendolo. Chiunque avesse guardato giù l’avrebbe notato. Si allungò attraverso la fenditura, lasciò che la corda gli toccasse le dita, rallentando un poco il suo movimento. Oscillò un poco, ma riuscì a ridurre ancora il moto. Ma poi sentì dei passi e uomini che parlavano e non ebbe scelta se non tirare indietro la mano e guardare la corda che continuava il suo lento dondolio, sperando contro ogni possibilità che nessuno se ne accorgesse.