QUARANTAQUATTRO
I
«Quindi sei in missione per conto di Dio», lo canzonò Luke. «Chi sei? Un Blues Brother?».
Croke si accorse di arrossire. Forse scioccamente, si era aspettato che la sua rivelazione avrebbe suscitato un timore reverenziale, non il ridicolo. «Non sei curioso?», domandò. «Non sei neanche un pochino curioso?»
«Di cosa?»
«Di tutto. Di noi che troviamo l’Arca proprio oggi, per esempio. Oggi fra tutti i giorni».
Luke aggrottò le sopracciglia. «Che cos’ha di speciale oggi?».
Croke strinse gli occhi su di lui. «Non lo sai? Credevo fossi un esperto di Newton».
«Di cosa stai parlando?»
«Sto parlando del suo Osservazioni sulle profezie di Daniele e dell’Apocalisse di San Giovanni. Non l’hai letto?»
«Non ultimamente. È più l’area di Jay che la mia».
Croke annuì. «Abbiamo passato un pomeriggio insieme all’inizio di tutta questa storia. Trovavo divertenti le sue interpretazioni all’inizio. Ma più me ne parlava, meno diventavo scettico».
«Dovresti dare un’occhiata anche alla storia dell’allunaggio», disse Luke. «Non è mai successo davvero, lo sai?».
Croke si rivolse a Rachel. «Tu lo sapevi che Newton predisse la data dell’Apocalisse? Che predisse la data della Seconda Venuta e della fine del mondo così come lo conosciamo? Io non lo sapevo. Non sapevo nemmeno che si interessasse a queste cose. Ma era così. Ed era anche molto preciso a riguardo. Affermò che tutto ciò sarebbe successo una volta che la meretrice di Babilonia avesse tenuto il potere temporale per un certo numero di anni. La meretrice di Babilonia, per Newton, era la Chiesa cattolica. La Chiesa acquisì il potere temporale quando Pipino i gli concesse un territorio da amministrare. E quanti anni dovevano passare da quel momento fino alla Seconda Venuta? Grazie di averlo chiesto. La risposta non compare solo una volta nel Libro di Daniele e in quello dell’Apocalisse. Compare cinque volte. Dodici secoli e sessant’anni. E quando saranno passati 1260 anni dalla donazione di Pipino? Quale data Newton ha indicato per l’Apocalisse e la fine di tutto ciò che conosciamo? Sì, hai indovinato. Quest’anno».
«È davvero il meglio che hai?», chiese Rachel. «Una profezia dal Libro dell’Apocalisse?»
«Guardati intorno», disse Croke. «Terremoti, guerre, carestie, epidemie, uragani, disordini nella Chiesa cattolica. Esattamente come profetizzato per gli ultimi giorni. E poi ce n’è una più grossa. Un’altra profezia di Daniele interpretata da Newton, ancora più precisa questa volta: l’Apocalisse avverrà dopo sette settimane dal ritorno degli ebrei. Sette settimane sono quarantanove giorni. Un giorno nelle profezie equivale a un anno nel nostro mondo. E sapete cosa stava succedendo in Israele quarantanove anni fa, proprio oggi? Quarantanove anni fa, oggi, fu il momento esatto in cui gli ebrei riconquistarono Gerusalemme per la prima volta in duemila anni. Quarantanove anni fa, oggi. E quando troviamo l’Arca? Oggi, fra tutti i giorni possibili. E voi pensate ancora che sia solo una coincidenza?»
«Sì», disse Luke.
Croke sorrise e si sforzò di calmarsi. «Non solo il giudaismo e il cristianesimo credono nel Messia, l’Apocalisse e la Fine dei Giorni», disse. «Queste cose compaiono anche nell’Islam. Lo sapevate? Tutte queste grandi religioni con una comune visione di una battaglia finale fra il bene e il male, la venuta di un salvatore. Sapete qual è la principale differenza? La principale differenza è quale fede i vari eserciti professano».
«Gli esseri umani sono tribali. Quindi?»
«Non credereste a quanti diversi scenari sono stati previsti. Centinaia, tutti basati su minime differenze del Tanakh, della Bibbia e del Corano. Ma ce n’è uno in particolare che mi piace: l’Arca verrà scoperta e portata a Gerusalemme dall’Anticristo in persona, e ciò permetterà l’edificazione del Terzo Tempio. E poi, questo Anticristo verrà incoronato re nel ricostruito Sancta Sanctorum, e dominerà la terra per sette anni». Si sporse un po’ di più, avvicinandosi a loro. «Sarebbe una cosa grossa, che ne dite? Essere incoronato re nel Sancta Sanctorum? Dominare la terra per sette anni? Specialmente perché l’Anticristo di qualcuno è il Messia di qualcun altro, solo con un peggior ufficio stampa. Anche se si becca i nomi migliori, a essere onesti. L’Uomo del Peccato. Il Figlio della Perdizione. Il Drago. Suonano bene, vero? Sapete qual è il mio preferito? Il mio preferito è il Principe di Roma. È proprio cazzuto, siete d’accordo? Il Principe di Roma».
«E tu prendi queste cose sul serio, giusto?», domandò Luke.
«Non ti stanchi mai del tuo stesso scetticismo?», sospirò Croke. «Non si arriva a un punto in cui i segni sono tali e tanti che credere diventa la scelta razionale? Non guardi mai il cielo e vieni sopraffatto dalla vastità del tutto? Io sì. Penso alle orbite o alla gravità o all’elettromagnetismo o a una delle miriadi di altre cose che devono essere esattamente come sono perché noi possiamo anche solo esistere, e mi vengono le vertigini».
«Dovresti prenderti una pillola».
«Quindi a te non capita, giusto?»
«La gente profetizza l’Apocalisse da duemila anni. Eppure in qualche modo siamo ancora qui».
«Tu sei uno scienziato», suggerì Croke.
«Io credo nel metodo scientifico», rispose Luke.
«Anche io», disse Croke. «Anche io. Sono stato cresciuto così. Mio padre è davvero uno scienziato, sai. Non una brutta copia, un parassita come te. Un fisico, per la precisione. Ha insegnato al MIT per un po’, non te lo fanno fare se non sei molto, molto bravo, scommetto che lo sai. Ma poi l’aeronautica militare degli Stati Uniti lo chiamò, e lui era troppo patriottico per non rispondere alla chiamata. È stato con loro da allora, sviluppando sistemi di sorveglianza, intelligence e armi, quel genere di cose. È così che ho cominciato anch’io nel mio settore, se sei curioso. Tutti quegli uomini con le stellette e le uniformi che venivano a trovarci quando ero un ragazzino. Non avresti potuto desiderare una migliore cerchia di conoscenze».
«Tuo padre deve essere molto orgoglioso di te», disse Luke.
Croke rise. «Lo è, a dire il vero. Ma non è questo quello di cui stiamo parlando adesso. Sto cercando di spiegarti perché non condivido le tue certezze, anche se condivido in gran parte la tua prospettiva. E sto anche cercando di rispondere alla tua domanda di prima, sul perché mi trovo su questo aereo».
«Fallo, allora».
«C’è una cittadina che si chiama Rome nello stato di New York. Magari l’avete sentita nominare?»
«E se anche fosse?»
«L’aeronautica militare degli Stati Uniti ha un’importante base di ricerca laggiù. È là che mio padre andò quando lasciò il MIT cinquant’anni fa. È là che ha trascorso tutta la sua carriera. In realtà, sono trent’anni che gestisce la base. L’ha gestita per così tanto tempo che sapete come lo chiamano?»
«Come?»
«Lo chiamano il Re», disse Croke. «Il Re di Roma». E rise dell’espressione sconvolta sui visi di Luke e Rachel, si mise in piedi e ciondolò verso il suo ufficio.
II
Benyamin era caduto correndo dietro agli altri verso la Cupola. Era il più vecchio di tutti, fatta eccezione per Avram, e molto meno in forma di lui. L’ebbrezza di aver visto l’Arca l’aveva spossato, lasciandolo a interrogarsi su cosa avrebbe fatto adesso. Arrivò all’interno mentre Danel accendeva i due bengala che aveva sistemato sul tappeto che si stendeva sotto la cupola, squarciando la grande oscurità con la loro svolazzante luce arancione, illuminando il gigantesco spazio sopra di loro. Benyamin aveva visto innumerevoli fotografie negli anni, naturalmente. Aveva visto dei filmati. Ma era un’opera degli arabi e perciò l’aveva sempre trattata come di nessuna importanza, architettura per piscine. Ma essere là, fissando lo sguardo verso l’alto, rendeva impossibile sminuirla. Impossibile provare altro che meraviglia. Non aveva assolutamente idea che sarebbe stata così, che qualcosa potesse essere così. Provò una vertigine. Si ricordò perché un tempo aveva voluto diventare architetto.
Una coppia di colombe aveva fatto il nido all’interno, un rischio sempre possibile in spazi così vasti. Disturbati dal loro riposo dall’improvviso rumore e dalle luci, cominciarono a volteggiare per la cupola, cercando una via d’uscita dalla più dorata delle gabbie. Una delle due defecò per la paura mentre Benyamin la guardava, sporcando la stessa Pietra della Fondazione. Il suo cuore andò a lei, e a entrambe loro; solo per un istante vide le sue figlie nei loro ultimi momenti, intrappolate nel retro di quel pullman per Haifa, mentre sua moglie faceva del suo meglio per consolarle e fare uno scudo col suo corpo, e fuori gli uomini armati scaricavano le loro munizioni, per poi ricaricare con freddezza e ricominciare.
Il terrore che avevano dovuto provare.
«Svegliati», disse Danel. «Ho bisogno di te».
Le gambe di Benyamin non funzionavano a dovere. Troppo acido lattico dovuto a tutto quel correre. Dovette guardarsi i piedi mentre lo seguiva verso un pilastro, per metà coperto da ponteggi in tubo d’acciaio, dove le cariche di esplosivo erano già state posizionate. «Allora?», domandò Danel. «Basteranno a tirarla giù?».
Una singola occhiata era più che sufficiente. I ponteggi erano chiaramente là per facilitare le riparazioni, non per rafforzare la Cupola.
«Basteranno», disse Benyamin. Ed ecco tutto, l’intero scopo della sua presenza lì.
Si fermò vicino a un pilastro, volendo stare in disparte, mentre li guardava affaccendarsi intorno alla Pietra della Fondazione. Per prima cosa, coprirono la roccia esposta con un doppio strato di seta blu. Poi srotolarono due materassi in neoprene uno accanto all’altro, li unirono con una zip in un unico grande materasso. Lo trasportarono fin sopra la Pietra della Fondazione e lo posizionarono con cautela, legandolo poi ai pilastri vicini con una serie di corde.
Il materasso in neoprene aveva numerosi scomparti interni, ciascuno con la propria valvola. Danel e la sua squadra recuperarono ora contenitori di schiuma industriale, inserirono gli ugelli in quelle valvole, e riempirono i compartimenti. La schiuma si espanse all’interno del neoprene prima di sedimentare in un duro guscio ad alveare, capace di assorbire l’impatto della caduta dei detriti, proteggendo così la Pietra della Fondazione dall’imminente demolizione. C’era comunque ancora il rischio che qualcosa di tagliente potesse farsi strada nel materasso, così si tolsero i giubbotti antiproiettile e li unirono con strisce di velcro, per formare una coperta di Kevlar da stendere sul carapace di neoprene.
La Pietra della Fondazione era stata messa in sicurezza al meglio delle loro possibilità. Erano pronti a distruggere la Cupola.