DODICI

I

Pelham viveva in una ex fabbrica di malto trasformata in abitazione, poco distante da Cambridge verso nord. Parcheggiò nel suo posto vicino a una collinetta erbosa e li fece entrare. Paragonato ai prati e alle aree comuni ben tenute, il suo appartamento al piano terra era un vero casino. Agitò una mano come vaga spiegazione, o scusa, mentre li conduceva nel suo studio foderato di scaffali, a loro volta affollati di libri e giornali, e molti altri libri erano accatastati sul pavimento in alte pile dal precario equilibrio come fosse una riproduzione delle Alpi fatta da un bambino.

Andarono dritti alla stampante, temendo che le carte di Newton non fossero arrivate a destinazione; ma erano là, ad aspettarli sul vassoio. La stampante, però, aveva tanto faticato per restituire l’elegante color seppia della carta originale da inzuppare i comuni fogli di inchiostro giallo e nero, sfocando ulteriormente la scrittura di Newton, rendendola ancora più difficile da leggere e sicuramente diminuendone il suo valore come prova se avessero dovuto mostrarla a uno scettico.

Pelham sparse le pagine sulla sua scrivania, scostò le tende per avere più luce. «Cosa stiamo cercando?», chiese Rachel.

«Qualsiasi cosa spicchi», disse Luke.

«Così è chiaro».

Pelham batté in fondo alla sesta pagina. «Che mi dici di questo?», chiese.

Luke diede un’occhiata. Come nelle altre pagine, c’erano prevalentemente citazioni di testi alchemici. Ma Pelham aveva ragione: c’era qualcosa di molto diverso nel quarto in basso a sinistra.

Ricevuto da E.A.
12 pannelli lisci e blocchi LA, 2 rotoli di lino
S T S, C Z D, L A A, G O D
Carte J.D. J.T.
Al termine, E.A. chiede che tutto sia ben celato nella SALOMANS HOUSE

«E.A.?», chiese Pelham. «Chi è E.A.

«Non ne ho idea», disse Luke, avvicinandosi al foglio. «Pensi che potrebbe essere F.A.? Newton era amico di un certo Francis Aston a Cambridge».

«Non è una F», disse Rachel. «È una E».

«Allora non lo so», disse Luke. «La madre di Newton da nubile si chiamava Ayscough, ma non mi viene in mente nessun Edward o Elizabeth fra i suoi cugini».

«Ebenezer?», suggerì Pelham. «Ezechiele?»

«Torniamoci sopra», disse Rachel. Indicò la seconda riga. «“12 pannelli lisci e blocchi LA, 2 rotoli di lino”. Qualche idea?». Luke fece segno di no con la testa. Lo stesso fece Pelham. «E questi gruppi di lettere?», domandò, indicando la terza riga.

Luke aprì il browser sul portatile di Pelham. «Leggimeli», disse. Digitò le lettere mentre lei le ripeteva, quattro gruppi da tre, poi fece partire la ricerca. Ma Google non trovò niente. «Com’è la riga dopo?», domandò.

«Carte J.D. e J.T.», lesse Rachel.

«J.D. potrebbe essere il mio vecchio amico Dottor Dee, no?», chiese Pelham. «Voglio dire, si chiamava John. E sicuramente c’è un collegamento con l’alchimia».

«Era morto da ottant’anni nel 1690».

«Lui poteva esserlo. Ma non i suoi lavori. Infatti…». Schioccò le dita. «Credo di sapere anche chi è E.A.».

«Chi?», domandò Rachel.

«Alcune carte di Dee andarono perdute dopo la sua morte», disse Pelham. «Annotazioni sulle sue conversazioni con gli angeli in enochiano, perlopiù».

«Le sue cosa?», chiese Rachel.

Pelham ridacchiò. «Dee era convinto di poter usare il Libro di Enoch per comunicare con gli angeli. Credeva di poter aprire i cancelli del paradiso da dentro e accelerare l’Apocalisse e la Seconda Venuta. Ma prima doveva trovare un bravo medium».

«Oh, tutto qui?»

«Ne provò qualcuno. Non funzionò. Poi assunse il grande Edward Kelley. Un ciarlatano totale e uno dei miei più grandi eroi. Non si accontentò di spennare Dee; lo convinse anche che gli angeli avevano ordinato loro di scambiarsi le mogli per la notte». Pelham rise forte. «Tanto di cappello, eh?»

«E Dee ci cascò?», chiese Rachel, incredula.

«Certo che sì», disse Pelham. «Non si scherza con gli angeli».

Luke scrollò la testa. «Cosa c’entra questa storia con E.A.

«Le carte di Dee che andarono perdute», disse Pelham. «Non ce ne fu traccia per anni. Decenni. Poi un giorno questa vecchia coppia comprò una cassa di legno a una svendita. Sembrava vuota, ma continuavano a sentire rumori provenire dal suo interno, così rimossero il fondo e trovarono uno scomparto segreto pieno di strani fasci».

«Le carte scomparse di Dee», disse Rachel.

«Complimenti, risposta esatta. La ragazza vince… una noce di cocco!», disse Pelham. «Comunque, il marito muore e la vedova si risposa con un tizio che conosce un altro tizio a cui piacciono quel tipo di cose».

«Chi?».

Pehlam battè il dito sulle iniziali. «Elias Ashmole», disse.

Rachel corrugò la fronte. «Il fondatore dell’Ashmolean Museum?»

«Proprio lui. E vi dico un’altra cosa: Ashmole dichiarò che alcune delle carte furono bruciate da una cameriera». Scosse la testa. «Le cameriere che tengono al loro lavoro non buttano nel fuoco carte a casaccio. E se Ashmole avesse tenuto da parte alcune carte per spedirle a Newton? Se avesse incolpato la cameriera per spiegare i buchi fra i documenti?»

«Ashmole e Newton erano amici?», chiese Rachel.

Pelham indicò Luke. «È lui quello che sta scrivendo il libro».

Luke scosse la testa. «No, amici no. Erano contemporanei, e lavoravano negli stessi campi, e sicuramente sapevano l’uno dell’altro. Furono entrambi fra i primi membri della Royal Society, per esempio. Ed erano i due alchimisti di punta della Gran Bretagna. Ashmole pubblicò uno dei maggiori compendi alchemici: il Theatrum Chemicum Britannicum».

«E Newton lo conosceva?»

«Dio, sì. La sua copia personale ora si trova all’Università della Pennsylvania. L’ho vista un paio di anni fa mentre ero lì per una conferenza. Newton aveva fatto le orecchie a metà delle pagine, e scarabocchiato annotazioni sull’altra metà, segno inequivocabile che lo teneva in altissima considerazione».

«Quindi a Newton piaceva Ashmole», disse Rachel. «Era una cosa reciproca?».

Luke rise. «Quello che posso dire è che Newton scrisse queste pagine intorno al 1693. Sono quattro o cinque anni dopo la pubblicazione di Principi di Matematica, più o meno. I Principi hanno cambiato il mondo, soprattutto per le élite più colte, di cui Ashmole faceva parte». Quasi nessuno dei suoi contemporanei aveva potuto comprendere la matematica di Newton, ma tutti avevano afferrato il concetto di base. L’universo era divenuto meccanico. I cieli erano improvvisamente diventati prevedibili e per questo non più da temere come la lavagna sui cui divinità capricciose e iraconde lasciavano i propri messaggi. «La natura e le sue leggi giacevano nascoste nella notte», disse Luke. «E Dio disse: “Che Newton sia”, e tutto fu luce».

Pelham strinse gli occhi su Luke. «Non pagano il Papa per scrivere queste cose?», domandò.

«Non significa che non sia vero», disse Luke. «Fidati di me su questo: se Ashmole avesse posseduto qualcosa di straordinario, qualcosa di matematico, specialmente qualcosa di alchemico, Newton sarebbe stato l’uomo per lui».

Rachel aveva trovato una biografia di Ashmole su internet.

«Mi spiace fare la guastafeste», disse. «Ma Ashmole era già morto nel ’93. Morì nel maggio del ’92».

«Può starci lo stesso», disse Luke. «Rende semplicemente questa cosa, qualunque cosa fosse, un lascito e non un dono».

«Qualcosa da cui Ashmole non poteva sopportare di separarsi finché era in vita», suggerì Rachel. «O qualcosa di troppo esplosivo da condividere», disse Pelham.

Luke annuì. «Questo spiegherebbe i tizi di prima».

«Ma cosa cavolo è?», chiese Rachel. Alla sua domanda seguì solo silenzio. «Forse se sapessimo di più di Ashmole», continuò lei. «Tutto quello che dice qui è che fondò il museo. Che altro fece?»

«Conosco qualcuno che potrebbe aiutarci», disse Pelham. «Olivia qualcosa, non mi ricordo il cognome. Dirige il Museo di storia della scienza di Oxford. Organizzai una mostra insieme a lei qualche anno fa, sulla transizione dall’alchimia alla chimica».

Luke scosse la testa. «Perché dovrebbe conoscere Ashmole?»

«Perché il suo museo si trova nell’edificio originale dell’Ashmolean», disse Pelham. «Ed è una storica della scienza. Quindi qualcosa deve pur saperla, no?»

«O forse c’è un modo più semplice», disse Rachel, indicando l’ultima riga, leggendola ad alta voce: «Al termine, E.A. chiede che tutto sia ben celato nella SALOMANS HOUSE». Li guardò entrambi con un sorriso malizioso. «Non credete che possa essere ancora là, che ne dite?».

II

Una Range Rover blu mare stava aspettando Croke sulla pista del City Airport di Londra. Un giovane uomo con la testa rasata, pantaloni chiari, una camicia blu a maniche corte e occhiali da sole a specchio, ci stava appoggiato contro, le mani in tasca con noncuranza. Croke gli si avvicinò. «Morgenstern, giusto?»

«Sono io».

«Grazie per aver organizzato Cambridge».

«Nessun problema». Morgenstern stava cercando di sembrava rilassato, forse rimpiangendo il suo straripante entusiasmo di prima per il vice presidente. Aprì la portiera posteriore della Range Rover, invitò Croke a entrare.

«E i miei uomini?», domandò Croke, mentre Manfredo scendeva la scaletta del jet con le sue valigie.

«Mi è stato detto di aiutare lei», disse Morgenstern. «Nessuno ha parlato della sua squadra».

«Non c’è problema». Raggiunse Manfredo per dirgli di trovare delle stanze e aspettare istruzioni, poi entrò nella Range Rover con Morgenstern.

«Crane Court, no?», chiese Morgenstern.

«Crane Court», confermò Croke.

Morgenstern si sporse in avanti per dare ordini all’autista, poi fece partire lo schermo elettrico interno per avere più privacy.

«Lo stiamo evacuando proprio ora», disse. «Dovrebbe essere pronto per le ricerche per quando saremo lì».

«E quanto ci metteremo?».

Strinse le spalle. «Abbiamo dovuto chiudere Fleet Street. Il traffico sarà pazzesco. Useremo le sirene dove potremo, ma non sono di grande aiuto in una paralisi del genere».

«Le dà tempo per spiegarmi come funziona», disse Croke.

Morgenstern annuì. «La prima cosa che deve sapere è che l’antiterrorismo, in Inghilterra, una volta era in mano alla polizia metropolitana di Londra; ma continuavano a fare cazzate, così venne creato un nuovo corpo».

«La National Counterterrorism Taskforce, NTC

«Quella. L’altra cosa da sapere è che, nello stesso periodo in cui si formò l’NTC, la Corte Suprema britannica ordinò la pubblicazione di alcuni documenti altamente confidenziali che la CIA aveva condiviso con diverse agenzie di qui. Il contenuto di per sé non era niente, a dire il vero. Più imbarazzante che pericoloso».

«Ma era questione di principio», suggerì Croke.

«Esatto. Questione di principio. I britannici ci avevano giurato che avrebbero tenuto il segreto. All’improvviso finisce tutto in prima pagina. La prossima volta cosa pubblicheranno? Il nome di qualche nostro agente? Le società internet e le banche che ci passano i dati dei loro clienti? Il filmato di un interrogatorio intenso

«Potrebbe essere un problema».

«Cazzo, sì. Ma che potevamo fare? La Gran Bretagna è nostro alleato, e non possiamo tenerci le informazioni solo perché i loro giudici, nella loro suprema saggezza del cazzo, sono dei coglioni totali. Inoltre, anche loro hanno delle belle fonti. Che succede se ci tagliano fuori per rappresaglia? A far gara a chi piscia più lontano, tutti finiscono per bagnarsi i piedi. Così abbiamo messo un po’ di teste insieme e abbiamo elaborato una soluzione comune da inserire nel nuovo NTC. Mi segue?»

«Sì».

«La conduzione è britannica, naturalmente, e anche tutto il personale assunto. Prevalentemente sono ex poliziotti, perché prima erano un ramo di Scotland Yard, anche se stiamo reclutando sempre di più dal SAS e dall’MI5, cose del genere. Il punto è che per colpa della Corte Suprema non possiamo rischiare di dargli le nostre informazioni così come ci arrivano, perciò quello che facciamo è distaccare gente come me dal dipartimento di stato, dalla CIA, dall’NSA e dalla sicurezza nazionale. Abbiamo tutti alti livelli di autorizzazione e di conseguenza accesso totale alla nostra intelligence».

«Quindi se lei scopre qualcosa di utile per l’NTC, può farglielo sapere», annuì Croke. «E, non essendoci documentazione fisica, i tribunali non possono ordinare pubblicazioni».

«Esatto», disse Morgenstern. «Sfortunatamente, com’è venuto fuori, la nostra intelligence a volte è così ultra top secret che condividerla è troppo rischioso. Così quello che facciamo in situazioni del genere è aiutare i nostri colleghi britannici a pianificare le loro operazioni, che noi seguiamo passo passo per essere sicuri che abbiano tutte le informazioni di cui hanno bisogno in tempo reale».

Croke aggrottò la fronte. «Mi sta dicendo che possiamo pianificare e dirigere operazioni dell’NTC? E loro fanno il lavoro sporco?»

«In pratica, sì».

«E a loro sta bene?»

«Mi prende in giro? Ce ne sono grati! Incredibile quello che può fare la paura. Ma è un terreno molto delicato, come può immaginare, specialmente dopo che c’è stata qualche maldicenza di recente, che ci accusa di utilizzare questo accordo per perseguire i nostri obiettivi, beccare hacker di basso profilo, stangare i critici della nostra politica estera, cazzate del genere».

Croke sorrise. «Magari!».

«Esatto, magari!».

«Quindi come funzionerà oggi?»

«Semplice. La sistemeremo in un appartamento a Crane Court, dandole accesso a qualunque cosa dovesse servirle. Io e la mia controparte britannica dirigeremo le ricerche vere e proprie. La terrò aggiornata ogni mezz’ora. Lei mi dice di cosa ha bisogno dopo, io mi assicuro che succeda».

«E la sua controparte non avrà obiezioni?»

«Abbiamo un rapporto estremamente buono con questa gente», disse Morgenstern. «Il nostro accordo ci permette di condividere le informazioni solo con persone che abbiamo esaminato e di cui ci fidiamo. Naturalmente, ci fidiamo solo di quelli che condividono la nostra ampia prospettiva sul mondo, e solo dopo che ce li siamo portati negli Stati Uniti per sei mesi per valutarli e addestrarli. Si fidi di me. Per quando tornano qui, potrebbero essere dei nostri, nati e allevati».

Croke annuì. «Ce ne sono tanti come lei?»

«Intende americani? Solo venti. Ma sono abbastanza, mi creda. Pensi a noi come responsabili di un progetto più che a del personale operativo. Possiamo servirci di chi vogliamo: imprenditori civili, l’esercito, forze di polizia locale. E non possono domandare perché o rifiutare. Nel momento in cui tiriamo in ballo la sicurezza nazionale, devono darci quello che vogliamo».

Croke rise. «Be’, questo sì che è un rapporto speciale», disse.