VENTISEI

I

Rachel scostò le tende per far entrare la luce del mattino. Un ciclista passava traballante appena fuori dalla loro finestra, e un uomo si trascinava mesto verso il fiume, sbadigliando. Sembrava tutto così normale. Indicò il telefono di Jay. «Pensi che gli dispiacerebbe se chiamassimo la sorella di Pelham? Vediamo come se la sta cavando, se ha bisogno d’aiuto?».

Luke scosse la testa. «Non è impossibile che abbia il telefono sotto controllo. Se fosse così davvero, potrebbero rintracciare le chiamate in entrata. Sarebbero qui in un attimo».

Chiuse gli occhi per un istante. «Continuo a scordarmene».

C’erano riproduzioni di ritratti di personaggi famosi appesi a entrambi i lati della porta della cucina. Rachel non li aveva notati nell’oscurità di prima, ma ora uno catturò la sua attenzione, il ritratto dipinto da Kneller che Luke aveva indicato come modello per quello di Newton nella camera segreta. Glielo fece notare. Sorrise e sussurrò: «Jay darebbe il suo braccio destro per vedere quello che abbiamo visto noi».

Rachel annuì. Jay amava lo scienziato, quello era fuori discussione. E anche l’ordine. Ogni quadro aveva la sua controparte sull’altro lato della porta: Einstein con Newton, Faraday con Curie, Linneo con Darwin, Edison con Tesla. Andò verso la libreria. Era organizzata principalmente per soggetto, poi per dimensione del volume, con i più grossi a sinistra. Cinque interi scaffali erano dedicati ai testi su Newton. Aveva anche una vasta collezione di libri su alchimia, chimica e altre scienze. Luke sorrise malizioso e ne prese uno sulla storia dell’elettricità, andò all’indice.

«Cosa cerchi?», chiese lei.

«Quelle tue batterie babilonesi. Secondo me te le sei inventate». Le mostrò la pagina con l’indice. «Vedi. Qui non c’è niente».

«Sono le batterie di Baghdad», disse lei, indicandogli l’introduzione.

«Cazzo», disse. Andò alla pagina e iniziò a leggere. Poi un’espressione perplessa gli si impresse sul viso.

«Che c’è?», chiese lei.

Chiuse il libro. «Queste batterie. Come descriveresti quello che facevano? Al livello più semplice, intendo?».

Lei scrollò la testa. «Non ti seguo».

«Usavano l’acido per trasformare i metalli in oro, giusto? Non ti ricorda niente?».

Aveva capito. «Alchimia», aggrottando la fronte.

«L’alchimia si basava essenzialmente su testi scritti intorno ad Alessandria nei primi secoli dopo Cristo», disse Luke. «Ma questo non significa che l’idea sia nata lì. Baghdad era una delle principali partner commerciali di Alessandria. È davvero così inverosimile immaginare i mercanti che chiacchierano di questi vasi miracolosi che hanno visto, che usano l’acido per trasformare altri metalli in oro? Ed è così azzardato pensare che gli abitanti di Alessandria abbiano cercato di capire quella tecnica, e poi di riprodurla?»

«Avrebbero fatto qualunque cosa per riuscirci».

«Avrebbero fallito, certo. Ma il tentativo era il punto: credere che fosse possibile, con la giusta miscela di ingredienti, o usando un particolare minerale come catalizzatore, o magari se eri abbastanza puro di cuore o se aspettavi che Saturno si allineasse con Venere. Così scrissero le loro idee e aspirazioni ed esperimenti, e quella è la roba che i tuoi amici Harriani hanno conservato come loro testi sacri, e che alla fine è arrivata in Europa».

«L’alchimia si basa sul fraintendimento di una forma primitiva di elettroplaccatura?», Rachel si lasciò andare a una risata divertita. «È un’ipotesi fantastica».

«Vorrebbe dire che Newton ci aveva preso a considerare l’elettricità come pietra filosofale. E se fu quello a cui lavorò durante tutto il 1693, si potrebbe anche spiegare la sua crisi di nervi. Allucinazioni, confusione e danni cognitivi a lungo termine sono esattamente i sintomi che ci si aspetta dall’esposizione a una serie di scosse elettriche».

Rachel annuì. «Quindi quando smise con gli esperimenti, sparirono anche le allucinazioni».

«Quanto meno smise con gli esperimenti su se stesso. Come presidente della Royal Society, nominò un suo curatore degli esperimenti e lo fece concentrare quasi esclusivamente sull’elettricità».

«Cercando la pietra filosofale per interposta persona?»

«Non è quello che avresti fatto tu? Assumere un povero aspirante che si becca tutte le scosse e le visioni al posto tuo?». Guardò la porta. «Forse ci siamo lasciati un po’ trascinare. Raccontiamolo a Jay, vediamo che ne pensa?».

Andarono in cucina. Jay era così preso dal decifrare il codice che non si accorse nemmeno di loro. Continuava semplicemente a scribacchiare sul suo quaderno, provando delle parole per poi cancellarle con una linea. Lanciò un piccolo grido di eccitazione mentre strappava un foglio e ne cominciava uno nuovo. Luke e Rachel lo guardarono scrivere rapido e sicuro e poi stringere il pugno in trionfo.

«Ce l’hai fatta?», chiese Luke.

Jay si girò di scatto. Scosse la testa e fece per girare il quaderno come per nascondere la sua scoperta, ma Luke lo fermò con una mano, cosicché lui e Rachel potessero vedere cosa aveva scritto.

Come sopra splende
Così sotto splende
Il monumento
Di Sir
Christopher Wren

II

Croke tornò alla galleria nel seminterrato in tempo per assistere alla perforazione che raggiungeva la camera sottostante. Ci vollero comunque altri quindici minuti per pulire il foro e permettere di introdurre l’endoscopio.

Morgenstern si mise vicino a lui. «Ho parlato con il nostro amico di Washington prima. La nostra vice presidente vuole assistere, quando la troviamo. Ma se la sveglio e poi non c’è niente, farà colazione col mio culo. Quindi per come l’ho pensata io, diamo prima noi una sbirciata. Se c’è, tiriamo su l’endoscopio, la chiamiamo e facciamo finta di aver appena finito il foro. Altrimenti, la lasciamo dormire. D’accordo?»

«D’accordo».

Si formò un capannello intorno al portatile per guardare le immagini restituite dall’endoscopio durante la discesa, la sua illuminazione integrata abbagliava lo stretto cunicolo. All’improvviso raggiunse la camera e l’immagine sparì. L’operatore sistemò i settaggi e lo schermo fu di nuovo chiaro. Un blocco di pietra entrò nel campo visivo, poi figure spettrali su ogni lato. Ma era ancora difficile vedere qualcosa con chiarezza, il che rendeva la cosa misteriosa e frustrante allo stesso tempo.

L’endoscopio scendeva sempre di più. Croke vide qualcosa che lo congelò. «Il pavimento», disse asciutto. «Stringi sul pavimento».

L’operatore annuì, mise a fuoco. Tutti si allungarono verso lo schermo. Sì. Era come pensava. C’erano delle impronte nella polvere. Impronte di scarpe da ginnastica. Chiuse gli occhi incredulo. Ecco dove si erano nascosti Luke e la ragazza. E cosa ancora più frustrante, dovevano essere scappati di nascosto durante la perforazione, o l’autista non avrebbe potuto caricarli e portarli a Londra.

Si voltò di scatto, uscì dalla galleria verso il pozzo. In un silenzio di pietra, vide la corda dondolante e lo squarcio nero nella tromba del pozzo a due terzi della sua profondità. La rabbia lo riempiva a grandi ondate, ma non aveva tempo per assecondarla. Qualunque segreto ci fosse laggiù, Luke e Rachel lo conoscevano già. E avevano almeno cinque ore di vantaggio.

Aveva un bel divario da colmare.