TRENTANOVE

I

Non c’erano sedili nel retro del nuovo furgone, così Luke e Rachel se ne stavano in ginocchio sul pavimento di metallo, come in adorazione dell’Arca. Era anche più buio rispetto al blindato, con un’unica luce fioca sul tettuccio. Luke alzò un sopracciglio guardando Rachel, l’unico modo di comunicare che gli rimaneva con la bocca chiusa dal nastro. Lei sollevò entrambi i suoi in risposta. Il modo in cui la pelle si era piegata intorno ai suoi occhi faceva pensare che stesse sorridendo. Il suo coraggio lo aveva impressionato, e gli aveva dato forza. Si sporse in avanti, si guardò intorno nel furgone. Walters e Kieran erano là, naturalmente. E anche Jay, con gli occhi fissi sulla cassa. Si accorse di Luke che guardava nella sua direzione e arrossì un poco, poi si alzò e si avvicinò a loro, abbassando la testa.

«Dove cazzo stai andando?», ringhiò Walters.

«Voglio parlare con i miei amici», disse Jay.

Walters rise. «Te lo sogni, amico».

«Posso ancora far saltare la missione», Jay gli disse. «Il tuo capo ti ringrazierebbe se lo facessi?».

Con sorpresa di Luke, Walters alzò le spalle e lo lasciò avvicinare. Si inginocchiò a fianco di Luke, sollevò fra le dita abbastanza nastro per poterlo strappare. Era un giorno e mezzo che Luke non si radeva, perciò la sensazione fu quella della pelle che prende fuoco, ma il piacere di respirare liberamente e poter parlare ne valsero la pena.

«Toglilo anche a Rachel», disse.

Jay eseguì. La pelle intorno alla sua bocca era rossa come un rossetto sbavato. «Grazie», disse lei.

«Non devi avere paura», disse Jay. «Siete entrambi ancora sotto la mia protezione».

«E cosa succede quando la tua protezione si esaurisce?»

«Non succederà», disse Jay. «Non prima di arrivare in Israele. Non possono spostare l’Arca senza un Kohen, vedi».

Luke scosse la testa incredulo. «Non puoi credere davvero che a questa gente interessi una cosa del genere».

«Forse no. Ma a mio zio interessa. Quante volte devo dirtelo? Questa notte non succederà niente senza di lui. Non può succedere senza di lui. E poi, non sono qui solo a scortare l’Arca. Ho un compito molto più importante. Qualcosa che nessun altro può fare, non questa gente, nemmeno mio zio. Qualcosa che richiede un vero esperto».

«E sarebbe?», chiese Luke.

Jay abbassò la voce. «Io so come funziona», bisbigliò.

«Come funziona cosa?», aggrottò la fronte Rachel.

«L’Arca ovviamente».

Lei scosse la testa. «Di cosa stai parlando?».

Nonostante il buio, la pelle di Jay sembrò arrossire. «Credete davvero che sia semplicemente una cassa di legno e oro che abbiamo trovato? Perché Ashmole e gli altri avrebbero avuto bisogno di Newton per qualcosa del genere? È descritta molto dettagliatamente nell’Esodo, dopotutto. Qualunque artigiano che sapesse il fatto suo avrebbe potuto riprodurne una».

«Allora perché avevano bisogno di lui?»

«Perché l’Arca è quello che la Bibbia dice che sia, Luke. È un’arma. E non un’arma qualsiasi. È la prima arma di distruzione di massa».

«Per l’amor di Dio, Jay!».

«Non sai come la chiamano, Luke?», domandò. «La chiamano l’Arca della Forza e della Gloria del Signore. Sette volte fu portata intorno a Gerico ed essa distrusse le sue mura».

«Cristo, Jay».

«E non furono solo città a essere distrutte. Sconfisse eserciti. Nel primo Libro di Samuele, capitolo sei, verso diciannove. L’Arca sterminò settanta nobili e cinquantamila popolani solo perché l’avevano guardata. Cinquantamila. O nel secondo Libro, quando l’Arca cade e Uzza cerca di non farle toccare il suolo, e viene ucciso all’istante. O nel Levitico, capitolo dieci». Jay si mise in piedi barcollando, divaricò le gambe e le braccia come un commediante di poco talento che sta per recitare il gran monologo. «E Nadab e Abihu, i figli di Aronne, presero ciascuno il proprio turibolo, vi misero dentro il fuoco, vi posero sopra l’incenso, e offrirono uno strano fuoco davanti al Signore, che Egli non aveva loro comandato. E allora un fuoco uscì dal Signore, e li divorò, ed essi morirono davanti al Signore». Si rimise in ginocchio, spostando lo sguardo soddisfatto da Luke a Rachel più volte. «Uno strano fuoco davanti al Signore. Uno strano fuoco. Non vi dice niente?»

«Ma che cazzo…».

«Newton e gli altri alchimisti cercavano il fuoco sacro. Non credi che possa essere almeno possibile che il fuoco sacro e lo strano fuoco siano la stessa cosa? Che quello che stavano davvero cercando fosse l’Arca dell’Alleanza? Una fonte di energia che potesse distruggere città, annientare eserciti di decine di migliaia di uomini? Una fonte di energia che avrebbe cambiato il mondo per sempre?». Si sporse ancora di più verso Luke, abbassò la voce. «Sai cosa dice la tradizione alchemica su come Salomone costruì il suo tempio? Dice che lanciò degli incantesimi che intrappolarono dei geni e altri potenti spiriti in un’anfora magica, e che li costrinse a compiere il suo volere. Geni intrappolati in un’anfora. Uno strano fuoco in una cassa di legno e oro. Una fonte di energia che può cambiare il mondo». La sua espressione ormai era fra il maniacale e l’esaltato. «Newton comprese il suo funzionamento, Luke. E anch’io. E domani mattina lo dimostrerò. Domani mattina mostrerò al mondo il volto stesso di Dio».

«Come?».

Jay aprì la bocca pronto a rispondere, ma poi sbatté le palpebre ed esitò, realizzando quanto era andato vicino a raccontare più di quello che avrebbe dovuto. Fece un sorrisetto complice a Luke, come se si congratulasse per averlo quasi ingannato. «Lo scoprirai molto presto», disse.

«Dimmelo, Jay».

Ma scosse solo la testa, il fervore mano a mano scemava, sembrava quasi rimpicciolirsi, lasciandolo più piccolo e meno uomo. «Molto presto».

II

Croke se ne stava in silenzio sui sedili davanti del furgone mentre si avvicinavano al City Airport. Era fin troppo consapevole di quanto critici sarebbero stati i pochi minuti che lo aspettavano. Senza la protezione diretta dell’NTC, il loro piccolo convoglio adesso era molto più soggetto alle disavventure, o addirittura al tradimento. Ma Morgenstern l’aveva reso orgoglioso. Due agenti di sicurezza dell’aeroporto li attendevano in un’auto segnalata, come promesso. Li condussero per una strada di servizio verso un recinto di sicurezza sormontato da un triplo giro di filo spinato, dove un’altra guardia aprì loro il cancello mentre si avvicinavano, per poi richiuderlo alle loro spalle.

Guidarono sull’asfalto fino allo spazio del jet privato. L’auto della sicurezza illuminò coi fari il portone di un hangar parzialmente aperto. Manfredo fece lampeggiare anche i suoi per mostrare di aver capito ed entrò. Il jet di Croke li aspettava là, con il pilota Craig Bray vicino all’area di carico mentre controllava i pallet col materiale. Parcheggiarono di fianco a lui, saltarono giù. «Tutto a posto?», domandò Croke.

«Più che bene», annuì Bray. «Hanno firmato le nostre carte senza nemmeno leggerle. E ci hanno dato priorità assoluta. Devono crederci Dio in persona».

Croke rise. «Ci sei andato più vicino di quanto credi».

Bray diede un calcetto a uno dei pallet. «Dobbiamo caricare questi, vero? Sono stati inviati alla mia attenzione da un certo Jakob Kohen. Solo che qui c’è abbastanza acido per farcisi più di un bagno».

«Dammi un momento», disse Croke. Andò sul retro del furgone, trovò Kohen a chiacchierare con Luke e Rachel. «Ma che cazzo?», domandò rivolto a Walters.

«Ha minacciato di boicottare la missione».

Croke aggrottò la fronte. Lo stronzetto cominciava a dargli sui nervi. «Va bene», disse. «Fai salire i suoi amici. E resta con loro. Non voglio che provino a fare scherzi».

«Ci pensiamo noi, capo».

Croke fece un cenno a Kohen. «Quello che ti serve è qui», disse. «Dobbiamo fare un controllo o carichiamo e basta?»

«Voglio fare un controllo».

«Bene», disse Croke. «Ma prima dobbiamo parlare con tuo zio».