TRENTATRÉ

I

«Conoscete il piano», disse Avram. «Abbiamo ripassato il piano una dozzina di volte».

«Conosciamo il piano per entrare», disse Danel. «Conosciamo il piano per piazzare le cariche per far crollare la Cupola. Quello che ancora non conosciamo è il piano per tirarcene fuori alla fine. Ci sembra di capire che se saremo ancora dentro durante il crollo, rimarremo schiacciati e moriremo. Ci sembra che se non saremo dentro, allora saremo fuori a farci tagliare pezzo per pezzo da diecimila schifosi arabi. Consideraci pure dei vigliacchi, Avram, ma nessuna delle due opzioni è esattamente allettante».

«E nessuna delle due si verificherà».

«Ci hai sempre detto che non avresti potuto dirci tutto fino al giorno dell’attacco, perché troppe persone sarebbero state in pericolo se avessero catturato uno di noi e lo avessero interrogato. Ci andava bene. Lo abbiamo accettato. Ma oggi è il giorno e adesso vogliamo sapere».

«È ancora troppo presto». Alzò una mano per sedare le loro proteste. «Sapevate tutti che ci sarebbero stati dei rischi. Adesso stiamo per prenderci il più grosso di tutti: guidare due veicoli carichi di armi e munizioni nel cuore di Gerusalemme, poi mettercele in spalla e portarle alla luce del sole nella Città Vecchia. Qualcosa potrebbe andare storto. Qualunque cosa. E se succede, più persone conoscono il piano, più pericoloso sarà per gli altri». Si rivolse a Danel. «Non credevi che ti avrei dato la prima tranche del pagamento. L’ho fatto. Non credevi che avrei trovato i missili, gli esplosivi, le pistole e tutto il resto. L’ho fatto. Tutto quello che ho promesso, l’ho mantenuto. Quindi, ti prego, fidati di me ancora per un po’. Aspetta fino a quando saremo dentro la Città Vecchia…».

«Una volta dentro la Città Vecchia sarà troppo tardi per tirarcene fuori».

I loro visi erano implacabili. Avram capì che doveva concedere qualcosa. «Molto bene», sospirò. «Cosa volete sapere esattamente?»

«Te l’ho appena detto: saremo in un edificio pronto a esplodere, completamente circondati da polizia ed esercito, con una folla di arabi che vuole il nostro sangue. Ci avevi promesso un piano infallibile per andarcene, liberi e al sicuro. Vogliamo sapere qual è questo piano».

«Ah», disse Avram. Sorrise rivolto a tutti. «Allora temo di avervi un poco depistato. Noi non ce ne andremo liberi e al sicuro. Noi ci arrenderemo».

II

La centralinista della compagnia dei taxi aveva promesso un autista sotto casa di Jay entro dieci minuti. In realtà ci aveva impiegato ventiquattro minuti e trentasette secondi dal momento in cui aveva chiuso la telefonata. Jay si era poi seduto senza una parola sui sedili posteriori mentre si dirigevano verso nord, le braccia incrociate, lanciando occhiate taglienti alla nuca del suo autista. I lavori stradali intorno a Elephant & Castle avevano ridotto il traffico a una singola corsia, costringendoli quasi a passo d’uomo. E ora, per giunta, il Blackfriars Bridge era completamente bloccato.

L’ansia gli premeva il petto. Non aveva creduto a Croke, quella era la verità. E ciò significava che Luke e Rachel non erano al sicuro. Non poteva restare seduto nel retro del taxi senza fare niente un minuto di più. «Cammino», disse all’autista, passandogli la somma esatta sul tassametro, perché sapeva che era importante non lasciare mance per un servizio scadente.

«Vaffanculo anche a te», disse l’autista.

Jay per metà camminò, per metà corse lungo il ponte e poi salì per Ludgate Hill verso Saint Paul, l’ovvia causa della paralisi del traffico. La polizia aveva circondato la cattedrale e l’evacuazione era in atto, centinaia di turisti mulinavano sulla piazza mentre gli allarmi antincendio strillavano dall’interno. Cercò nella folla senza vedere né Luke né Rachel. Forse erano riusciti a scappare. O forse erano ancora dentro. Fece un cenno di saluto agli agenti davanti all’ingresso principale, cercando di camminare fra loro. Gli risero in faccia e gli dissero di sparire. Voltò l’angolo. Un insegnante, in lacrime, contava i suoi alunni. A parte lei, tutti sembravano straordinariamente calmi, quasi allegri. Ma poi sentì un grido venire dall’ingresso su Paternoster Square. Si formò velocemente un cerchio attorno a un’anziana signora, svenuta sulle lastre di pietra. Alcuni agenti arrivarono in soccorso dall’entrata della caffetteria, lasciando l’ingresso sguarnito. Jay si guardò intorno, abbassò la testa e scivolò all’interno.

«Ehi!», gridò uno dei poliziotti. «Torna qui!».

«Ci metterò un attimo», Jay lo rassicurò. Corse giù per le scale e attraverso la caffetteria. Sentì rumori alle sue spalle e si voltò per trovare tre agenti che lo inseguivano. Le loro facce erano così rosse e cattive che un qualche istinto primordiale prese il sopravvento e Jay scappò e basta. Inciampò sui gradini e finì disteso sul pavimento della cattedrale. Raggiunse la navata e corse verso l’entrata principale.

Era a metà strada quando finalmente gli allarmi si fermarono. Avevano suonato così forte che Jay poteva ancora sentirseli nelle orecchie. Poi realizzò che non stavano più suonando. Erano delle urla. Guardò in alto e vide Luke attaccato alla ringhiera della balconata, molto in alto sopra la sua testa, che lottava per tenere Rachel che dondolava impotente sotto di lui, mentre nella galleria un uomo con la barba nera li guardava come si guarda uno spettacolo.

Dietro a Jay, anche i poliziotti rallentarono. Rallentarono e guardarono in alto. E ancora Rachel gridava, chiedendo aiuto. E ancora quell’aiuto non arrivava.

III

Dicono che ti passi la vita davanti agli occhi nei momenti di massimo pericolo. Ma mentre Rachel guardava in alto verso Luke, che lottava con tutta la sua forza per non lasciarla andare, mentre oscillava al di sopra del pavimento della cattedrale, quello che stava vivendo era un terrore così totale che non lasciava spazio per nient’altro. Tutto quello che stava vivendo era la certezza della sua stessa, imminente morte e la consapevolezza di essere impotente.

Poi l’allarme si fermò e sentì urlare e guardò giù, vedendo Jay e gli agenti arrivare miracolosamente lungo la navata sotto di lei, e la loro presenza non diede altra scelta a Barbanera se non quella di sporgersi oltre la ringhiera, afferrarle la mano libera, e aiutare Luke a tirarla su e portarla in salvo oltre la balconata.

Cadde sulle ginocchia, sulla pietra fredda, braccia attorno allo stomaco, scossa da conati, mentre le sue viscere cercavano di espellere l’eccesso di paura chimica, ma non uscì niente. Luke si inginocchiò accanto a lei, abbracciandola stretta contro di sé. «Andrà tutto bene», continuava a ripetere. «Te lo prometto». Ma le sue parole non servirono a rassicurarla. Suo padre, dopotutto, aveva detto qualcosa di simile la prima volta che le aveva dato le brutte notizie, e quello non era andato bene. Il decorso della malattia era stato sorprendentemente veloce e spietato. E poi, nelle settimane successive alla sua morte, sua madre era semplicemente andata in pezzi per il dolore, la perdita e il senso di colpa per aver speso tutti i pur modesti risparmi della famiglia da ciarlatani in cure inutili. E così, a due mesi dal funerale di suo marito, aveva parcheggiato la sua vecchia e scassata Renault vicino a un passaggio a livello, facendosi forza con una bottiglia di gin, e poi aveva camminato sui binari. E, solo a sette mesi da quello, il corpo di Bren era stato macellato da una bomba improvvisata.

Senza mai mostrare debolezza, senza mai mostrare fragilità. È l’ironia della natura umana, più si ha bisogno di aiuto e più è difficile chiederlo. Mentre la sua famiglia cadeva a pezzi, Rachel si era costruita una corazza nella quale aveva imparato a contare solo su se stessa. Ma quella corazza si era distrutta in un milione di piccoli pezzi mentre se ne stava appesa là, guardando Luke, completamente dipendente da lui, lo sforzo di trattenerla così chiaramente scritto nel suo sguardo, il sangue che pompava nella sua faccia e i tendini come acciaio nelle spalle e nel collo. E ora tutta la sofferenza, la solitudine e la disperazione degli ultimi anni si riversava contro la camicia di lui, mentre la stringeva forte e le sussurrava parole di conforto.

Barbanera non si dimostrò né sentimentale né empatico, a ogni modo. La prese per il polso, torcendolo così brutalmente da strapparla a Luke. «Da questa parte», disse. La trascinò lungo il corridoio del triforio e dentro la stanza con il modellino della cattedrale e la ammanettò al radiatore di ghisa sotto la finestra. Il suo compare spintonò dentro Luke un istante dopo, ammanettandolo al radiatore a fianco. I loro carcerieri uscirono di nuovo e ci furono grida, seppure troppo attutite dalle porte e dalla distanza per capirne il senso.

Divenne, all’improvviso, totalmente cosciente di Luke; di essere sola con lui, della debolezza che gli aveva appena mostrato. Guardò dalla sua parte. La stava guardando con un’espressione addolorata e compassionevole sul volto, come preoccupato dalle cicatrici che quella esperienza avrebbe sicuramente lasciato. «Pensavo di essere morta», disse. «Se non mi avessi tenuta…».

«Io non c’entro niente», le disse lui. «Il tuo orologio si è impigliato col mio, tutto qui».

In ogni circostanza, la risata di Rachel era poco meno di un miracolo. «Grazie», disse lei.