VENTISETTE

I

«Il monumento di Sir Christopher Wren», mormorò Rachel. «È il Monumento al Grande incendio di Londra, giusto? Voglio dire, l’ha costruito Wren, no?»

«Sì», disse Luke. «Lui e Hooke».

«Non sembri convinto».

«Hooke e Newton si detestavano», disse Luke. «Non riesco a immaginarli a collaborare volontariamente a un progetto».

«Cos’altro può essere?», domandò Jay.

Luke fece un cenno e andò verso la sala, guardò fuori dalla finestra, ma ovviamente non si poteva vedere da lì, nascosto dalle case di fronte e dagli altri edifici costruiti nei tre secoli e mezzo trascorsi dopo il Grande incendio. «Come sopra splende, così sotto splende», ripeté. «Cosa credete che voglia dire?»

«Se mi avessi dato un minimo di contesto», disse Jay, «forse te lo saprei dire».

Luke diede un’occhiata al portatile, domandandosi se non fosse arrivato il momento. Poi pensò ai problemi che aveva causato a Pelham. L’ultima cosa che voleva ritrovarsi sulla coscienza era aggiungere altri suoi amici ai danni collaterali. «Pensiamo che Newton possa aver nascosto qualcosa di prezioso», disse. «E pensiamo che questo messaggio possa dirci dove».

«Il Monumento ha un’urna d’oro a forma di fiamma in cima», annuì Jay. «Simboleggia il Grande incendio. Quello deve essere il “come sopra splende”».

«E il “così sotto”?»

«C’è una camera», disse Jay. «Wren la costruì per condurre esperimenti di astronomia. O così disse. Ma non la usò mai molto. Il traffico interferiva con gli strumenti».

«Allora deve essere quella», disse Rachel. «C’è ancora?».

Jay annuì. «Provai a visitarla una volta. Non mi fecero entrare. L’unico accesso è una botola nel pavimento ai piedi della scala principale, quindi devono tenerla chiusa durante il giorno. Ma mi dissero che sarei stato il benvenuto se fossi arrivato prima dell’apertura».

«E quando apre?», chiese Rachel.

Jay trovò la pagina internet del Monumento. «Otto e mezza», disse. «Potete farcela se partite subito. Potete prendere un treno da Queenstown Road».

«Tu non vieni?», domandò Rachel.

Scosse la testa con convinzione. «Non posso», disse. «Non nelle ore di punta. Troppe persone».

«Possiamo prendere un taxi», disse Luke.

«Non arrivereste mai in tempo. Sono sempre tutti già presi a quest’ora. Il treno è la vostra unica speranza, credetemi. E dovete andarvene immediatamente. Dopo tornate e mi raccontate tutto».

Rachel annuì. «Faremo delle foto».

«Bene. Ottimo».

«E se abbiamo qualche domanda?», chiese Luke. «Tu conosci Wren e Hooke molto meglio di noi».

«Mi chiamate». Scrisse il suo numero, lo diede a Luke.

Queenstown Station distava una decina di minuti a piedi. Ce ne impiegarono cinque. Comprarono i biglietti alla macchinetta, si unirono alla folla sulla piattaforma. Il primo treno era troppo pieno per accogliere altri passeggeri, ma si strizzarono nel secondo. «Non si può dare torto a Jay», mormorò Rachel, la faccia incastrata contro la gola di Luke. Cambiarono a Vauxhall, da lì ancora tre fermate verso nord. Una grande ondata di pendolari li trascinò verso l’uscita, ed eccola lì, un’imponente colonna dorica sormontata da un’urna dorata che splendeva al sole del mattino. L’ingresso era chiuso, e nessuno rispose ai colpi alla porta di Luke. Mancavano quindici minuti all’apertura.

Rachel fece cenno a Luke di seguirla verso l’iscrizione in latino incisa nella pietra. «Guarda la data», disse. «1666 diventa MDCLXVI in numeri romani. Ogni lettera usata solo esattamente una volta».

«Questo è uno dei motivi per cui lo chiamarono annus mirabilis», confermò Luke. «Anche se in realtà si aspettavano un annus horibilis. 666 era il numero della Bestia, quindi la gente era convinta che sarebbe andato male. Ci fu una cometa verso la fine del 1664, un’altra nel 1665». In realtà si trattava della stessa cometa che tornava a orbitare intorno al sole, ma quasi nessuno lo aveva capito. «La gente si aspettava ogni genere di orrori. Poi arrivò la peste. E il Grande incendio. Puoi capire quanto dovesse sembrare tutto predestinato. Ma quell’anno non fu tutto negativo. Fu davvero l’annus mirabilis di Newton. L’anno in cui si suppone abbia visto la mela cadere e risolse tutti i segreti dell’universo».

«Si suppone?», chiese Rachel. «Stai dicendo che la mela non è mai caduta?»

«No, probabilmente è successo», ammise Luke. «Newton sicuramente raccontò la storia egli stesso, anche se aspettò la vecchiaia per farlo. E quasi certamente ne esagerò l’importanza. Voleva far credere di aver avuto la sua epifania prima nel tempo, a causa della disputa con Leibniz, io…».

Si interruppe all’arrivo di un uomo corpulento e stempiato alla porta del Monumento, che si buttava in bocca l’ultimo boccone di un croissant mentre pescava le chiavi da una tasca. Si affrettarono per intercettarlo. Tenne la mano davanti alla bocca per evitare loro una doccia di briciole. «Dieci minuti», disse.

«La prego», disse Rachel. «Non vogliamo salire. O almeno, vogliamo, ma siamo qui principalmente per vedere il sotterraneo».

«Il sotterraneo?», aggrottò la fronte. «Non c’è niente là».

«C’è per noi», disse Luke. «Siamo storici della scienza. Il sotterraneo è storia della scienza».

«Dovete passare per il comune. Possono organizzarvi una visita».

«Siamo a Londra solo per oggi», disse Luke. «Torniamo a casa oggi pomeriggio».

«La prego», disse Rachel. «Solo un’occhiata. Ce ne andremo prima che se ne accorga».

Fece un gran sospiro, come se non capissero i guai in cui lo volevano mettere. «Va bene», disse. «Ma non una parola coi vostri amichetti, ok? O me li troverò tutti qui».

«Sarà il nostro segreto», disse Rachel. «Promesso».

II

Inganni e sotterfugi non riuscivano facili a Jay. Oltre a tutto il resto, per lui era difficile capire dalle facce delle persone se gli stavano credendo o meno. Per questo era stato così nervoso, temendo che Luke e Rachel potessero accorgersi dei suoi sforzi per mandarli in una spedizione a vuoto; così aveva deciso di tenerli d’occhio, e li aveva seguiti a distanza di sicurezza fino alla stazione di Queenstown Road. Nemmeno questo lo aveva tranquillizzato del tutto. Continuava ad aspettarseli ricomparire dalla stazione, per questo non era stato in grado di andarsene. Si era rimproverato questo eccesso di cautela, ma questo tipo di comportamenti compulsivi facevano parte della sua condizione, e c’era poco che potesse fare a riguardo.

Quando finalmente si convinse che se ne erano andati, si affrettò a tornare al suo appartamento ed entrò come una furia. Tirò le spesse tende per rifugiarsi nel confortante bozzolo della loro intimità. Poi aprì la custodia del portatile di Luke e lo posizionò sulla sua scrivania.

Questo era il motivo per cui li aveva spinti a uscire. Questo il motivo per cui li aveva mandati al Monumento.

Lo aprì, lo accese, controllò i file aperti di recente. Erano una cartella di fotografie e un documento di testo. Li copiò sul suo computer e rimise via il portatile esattamente com’era prima, cosicché Luke e Rachel non si potessero accorgere di niente. Poi guardò le foto. Quello che vide lo meravigliò e lo gratificò, e alla fine lo deluse.

Non era là.

Passò di nuovo in rassegna le fotografie, fermandosi su ciascuna abbastanza da imprimerla nella sua mente e ricostruire l’immagine composita della camera. Poi si buttò indietro sulla sedia e lasciò il suo cervello a vagliare idee, ipotesi e combinazioni. Prese alcuni volumi dagli scaffali. Cercò in internet. Comprò, scaricò e consultò diversi articoli di riviste ed ebook. E alla fine un sentimento lo pervase un sentimento di cristallina perfezione, ed era gioia. Sapeva dov’era. Sapeva esattamente dov’era. E questa volta non c’era possibilità di errore. Sorrise soddisfatto mentre prendeva il telefono.

Lo zio Avram ne sarebbe stato sicuramente contento.

III

La botola era stata bloccata con un paio di bulloni in acciaio. Il custode fece una smorfia mentre si chinava per toglierli. Poi la sollevò con la sua maniglia. Una ripida scala in pietra scendeva in una spirale verso una piccola stanza. Luke abbassò la testa per evitare l’architrave in pietra mentre scendeva; fu immediatamente ovvio che là non c’era nient’altro che polvere e un impianto per l’aria condizionata.

«Ve lo dicevo io», disse l’uomo.

Ispezionarono comunque la stanza e fecero delle foto, ma era tutto lì. Lo ringraziarono e salirono le scale, togliendosi polvere e ragnatele dai capelli. «Siete già aperti?», chiese Rachel. «Per salire, intendo».

Il custode rimise i bulloni e controllò il suo orologio. «Sarebbero cinque sterline a testa», disse.

Si diressero in cima al Monumento. Le feritoie a intervalli regolari permettevano a Luke di valutare i loro progressi, altrettanto fece con un’occhiata al corrimano alla scala che si srotolava sotto di loro come un cavatappi. C’era spazio per un’unica persona sui gradini sempre più stretti mano a mano che si avvicinavano alla cima. Il vento all’esterno era sorprendentemente forte. «Cosa stiamo cercando?», chiese Rachel, spostandosi i capelli dietro alle orecchie.

«Forse lo sapremo quando lo vedremo».

Il Tamigi scorreva grigio davanti a loro, luccicando al sole del mattino. Il London Eye e gli altri edifici del South Bank offrivano il loro vago riflesso sulla sua superficie frastagliata, così come una nave da guerra ormeggiata vicino al Tower Bridge. Rachel guardò attraverso la rete di sicurezza giù verso Pudding Lane, dove il Grande incendio era scoppiato. «Ti immagini come deve essersi sentito quel povero fornaio?», disse. «Ad aver dato alle fiamme mezza Londra».

«Se davvero è stato lui», disse Luke.

«Che vuoi dire?»

«Nessuno a quel tempo pensò a un incidente. Pensarono a un nemico. Impiccarono addirittura un povero francese mezzo scemo. Ma i poteri forti di allora avevano bisogno che quello fosse un incidente. Così fecero un’inchiesta e voi, un fornaio negligente».

Rachel aggrottò la fronte. «Perché avevano bisogno che fosse un incidente?»

«Un cavillo di legge. I proprietari erano tenuti a ricostruire tutti gli edifici in caso di un atto di guerra, ma gli affittuari erano i responsabili per gli incidenti. Il parlamento era costituito da proprietari. Indovina a chi è toccato ricostruire?».

Rachel rise. «Mi prendi in giro».

«Solo un pochino», ammise Luke. «C’era la sincera preoccupazione che, se fossero stati i proprietari a dover pagare, Londra non sarebbe mai stata ricostruita. Gli affittuari non avevano grande scelta: avevano bisogno di un posto dove vivere. Inoltre, probabilmente fu davvero un incidente. Gli incendi erano molto comuni: tutte quelle case di legno, tutti quei fuochi scoperti. E questo si sarebbe esaurito, come tutti gli altri, se non fosse stato per un fortissimo vento che continuò a ravvivare le braci e alimentare nuove fiammate. Nessun piromane avrebbe potuto pianificarlo. E anche in quel caso, il sindaco avrebbe potuto contenere l’incendio buttando giù alcune case come taglia fuoco, ma fu troppo tirchio. Quello che voglio dire io è che tutti diedero per certo che si trattasse di un incidente, ma la certezza non c’era. E se fosse stato doloso, ci sarebbero stati dei nomi molto interessanti fra i sospettati, non ultimi i nostri amici sir Christopher Wren e John Evelyn».

«Impossibile!».

«Wren era un architetto enormemente ambizioso», disse Luke. «Voleva una cattedrale tutta sua, perché quello era il modo di farsi un nome al tempo. Gli era già stata commissionata la ristrutturazione di Saint Paul prima dell’incendio, perché Cromwell l’aveva lasciata in uno stato terribile. Ma il decano non aveva abbastanza soldi per demolirla e ricostruirla, come avrebbe voluto Wren, così insisté perché si facessero solo alcune riparazioni. Poi arrivò l’incendio».

«Ed Evelyn?»

«Lui odiava Londra. Un odioso Golgota, la definì. Voleva ricostruirla secondo i canoni europei, con grandi piazze, viali e parchi con un sistema decente di tubature e di scarichi».

«L’avversione per l’inquinamento non porta ad appiccare un incendio, Luke».

Lui fece un sorrisetto. «Lo sapevi che, nel giro di qualche giorno, sia Evelyn sia Wren presentarono dei progetti per cambiare completamente volto alla città?».

Rachel scosse la testa. «Continuo a non crederci».

«Neanch’io», sorrise Luke. «Non finché possiamo dare la colpa ai francesi».

Il profilo della città verso nord era affollato dai mostruosi edifici della City. A ovest, il sole del mattino disegnava un alone intorno alla cupola di Saint Paul, mentre sulle balconate i turisti più mattinieri scagliavano lampi dai flash delle loro macchine fotografiche. Si ritrovarono a fissarla rapiti. «Stai pensando quello che penso io?», domandò Luke.

«Saint Paul continua a saltar fuori», concordò Rachel.

«Il nostro quartetto dedicò entrambi i lati di quel plinto a San Paolo. Una volta per la conversione di Damasco, l’altra in veste di Balinus, misterioso alchimista. Ma perché accontentarsi di un plinto in una camera segreta a Oxford, quando hai a disposizione un edificio che porta il suo nome nel cuore della tua nuova Gerusalemme».

Rachel fece una risatina. «Hai mai fatto la visita guidata?», gli chiese.

«Non dai tempi della scuola. Perché?»

«Ci sono stata l’anno scorso. Ospitavo un amico turco che voleva vedere la città. Il figlio di Wren compose un epitaffio per suo padre. È sulla sua tomba e anche intorno al bordo di un anello d’ottone nel pavimento, direttamente sotto alla cupola. Non ricordo com’era in latino, ma mi ricordo come lo tradusse la guida».

«E?», chiese Luke.

Lei gli sorrise, i suoi occhi brillavano. «Diceva così: “Lettore, se vuoi vedere il suo monumento, guardati intorno”».