DICIOTTO

I

Rachel sentì raschiare e graffiare per qualche istante dopo che Luke svanì nel passaggio, ma dopo quello ci fu il nulla, niente di più di uno spiraglio di luce. Fissando verso il basso, fu presa alla sprovvista da quanto in ansia si sentisse per lui. Provò a dire a se stessa che si trattava di normale spirito di cameratismo, ma nel suo cuore sapeva che si trattava di qualcosa di più.

C’era stato un tempo in cui Rachel aveva avuto una serie di ragazzi. Ma poi Bren era tornato distrutto dall’Afghanistan, e lei aveva messo gli uomini da parte. Una storia d’amore le era sembrata all’improvviso una cosa egoista e frivola, in qualche modo perfino sleale. Divertirsi mentre suo fratello soffriva. E la sua vita, in quei giorni, era comunque molto poco adatta per una storia. Lavorava tutte le ore che Dio metteva in terra, risparmiava tutto quello che riusciva. Ma all’improvviso capì quanto le mancasse quel tipo di rapporto.

«Com’è la storia di Luke?», domandò a Pelham, tenendo la voce bassa perché l’acustica del pozzo non la portasse in qualche modo fino a lui.

«La storia?», chiese Pelham.

«Gli è successo qualcosa di brutto all’università. Voi due lo sapete. Cos’era?»

«Se Luke vuole raccontartelo, te lo racconterà lui».

«Ma non vuole, giusto? E se ha degli scheletri nell’armadio, potrebbero esserci conseguenze anche per noi. Ho il diritto di sapere».

Pelham guardò Olivia. Olivia annuì. «Non gli dirai che te l’ho detto?», chiese Pelham.

«Hai la mia parola», disse Rachel.

«Ok», disse Pelham. «Ma per favore, tieni presente che neanche io conosco tutta la storia. Odia parlarne».

«Capisco».

«Va bene, allora. C’era questa donna che faceva le pulizie all’università. Gloria, mi pare. Congolese e deliziosa».

«Ah», disse Rachel.

«No», disse Pelham. «Luke a quel tempo stava con una collega. Maria. Stavano pensando di sistemarsi. Era il suo vice rettore che non riusciva a tenere giù le mani da Gloria».

«Il mio vecchio amico Charlie», disse Olivia. «L’uomo più viscido e schifoso che puoi immaginare. Nato nel privilegio, mai dubitato per un istante di meritarselo».

«Conosco il tipo», disse Rachel.

«Gloria, una ragazza molto solare», continuò Pelham. «All’improvviso diventa triste. Luke le dice qualcosa per tirarle su il morale. Lei scoppia a piangere. Lui le chiede che succede. Lei non vuole dirlo. Lui insiste. Lei esplode, racconta tutto. Non è esattamente clandestina. È una dei dimenticati, persa fra la richiesta d’asilo e il permesso di soggiorno. Charlie lo aveva scoperto e lo aveva usato per costringerla ad andare a letto con lui».

«Suo fratello è un pezzo grosso al dicastero degli interni», disse Olivia. «Poteva davvero farla espellere».

«Comunque, rimase incinta», disse Pelham. «Non aveva i soldi per un bambino, e l’aborto era contro la sua religione. Così andò da Charlie e lui diede di matto. Negò tutto, la minacciò di metterla sul primo volo per Kinshasa se avesse mai fatto parola della cosa. Viene fuori tutto. Luke perde la brocca. Si assume il dovere di affrontare Charlie, lo obbliga a confessare e gli fa promettere di aiutare economicamente Gloria e il bambino. Gloria è felicissima. Luke crede di aver risolto. Ma poi non la vede più. Chiede di lei, i suoi colleghi non lo guardano in faccia. E Charlie ora nega tutto, minacciando di farlo licenziare».

«Non ci posso credere», disse Rachel. «Che ha fatto Luke?»

«Continua a cercarla. Sente dire che l’hanno portata in un campo per il rimpatrio immediato. Ci va all’istante, chiede di vederla. Negano che sia lì. La vede a una finestra. Continuano a negare. A quel punto perde la testa, prova a entrare con la forza. Lo tengono. Lui minaccia, spintona una guardia. Tutto ripreso dalle telecamere a circuito chiuso. Perciò lo accusano di aggressione e qualche altra assurdità sotto la nuova legge antiterrorismo. Primo reato, bravo ragazzo, gli danno la sospensione condizionale della pena. Ma è comunque abbastanza perché Charlie riesca a farlo cacciare e a fargli terra bruciata intorno. E poi ha costretto la ragazza di Luke a scegliere. Lei ha scelto la carriera».

«E Gloria?».

Pelham si strinse nelle spalle. «Abbiamo provato a cercarla con un detective privato. Ma non c’è traccia né di lei che lascia il paese né del rientro in Congo. Nessuna traccia ufficiale che sia mai esistita. C’è solo la parola di Luke, tutto qui».

Rachel annuì. Guardò verso il basso. Era un po’ che non si arrampicava sulla corda, ma la valutò come una di quelle capacità che non si perdono. Rimestò nella cassetta degli attrezzi, trovò una vecchia lampada a pile, se la legò al polso. Si sedette sull’orlo del pozzo e strinse forte la corda.

«Che cavolo stai facendo?», chiese Olivia.

«Luke è da solo laggiù», disse Rachel. «Credo che si meriti un po’ d’aiuto».

II

La notte nel deserto era magnificamente stellata, ora che si erano lasciati Be’er Sheva alle spalle. E la strada era quasi sgombra dal traffico, nient’altro che sabbia e roccia su entrambi i lati fino al Mar Rosso.

Avram Kohen guardò suo nipote Uri, la fronte leggermente corrucciata mentre si concentrava sulla guida, per non lasciarsi cullare dall’implacabile monotonia del paesaggio. C’era qualcosa di così fanciullescamente serio nella sua espressione da procurare ad Avram un’inaspettata fitta al cuore. Non era mai stato tentato dalla paternità, ma gli era sempre piaciuto essere zio, portare nella sua casa di Gerusalemme giovani promettenti, aiutarli a trovare loro stessi. Con la maggior parte, come con Uri, aveva un qualche legame di sangue, ma tutto ciò che davvero chiedeva è che i loro cuori e le loro menti fossero aperti al Signore, benedetto il Suo Nome. Era una delle cose più gratificanti della sua vita, ma poteva spezzarti il cuore quando andava per il verso sbagliato.

Nell’oscurità, era difficile vedere le curve. Continuava a controllare il contachilometri per calcolare la distanza percorsa. C’erano quasi. La strada si inerpicò bruscamente, piegando a destra. Fece cenno a Uri di rallentare. «Qui», disse, indicando un delta di segni di pneumatici sulla sabbia. Sobbalzarono e sbandarono lungo una pista nel deserto per un quarto d’ora; Avram indicò delle acacie argentee, aride rocce e altri punti di riferimento perché Uri li memorizzasse. Si fermarono accanto a una coppia di massi, ai piedi di una piccola collina. «Da qui camminiamo», disse Avram. Girarono intorno al veicolo, presero una torcia e uno zaino ciascuno. Attraversarono un costone roccioso e scesero una ripida scarpata, raggiungendo una valle sabbiosa. Avram aprì gli zaini e passò una pala a Uri. «Ecco qua», disse, indicando il punto. «Scava».

Fecero a turno, lavorando alla luce delle stelle, ora che i loro occhi si erano adattati. La sabbia era morbida e asciutta e continuava a scivolare nella buca sempre più grande. Fu Uri a colpire l’acciaio. La sua eccitazione era evidente mentre faceva emergere il coperchio della cassa e cercava senza successo di aprirlo.

«C’è il lucchetto», disse Avram, gettandogli le chiavi.

Uri fece un passo indietro per sollevare il coperchio. Illuminò la cassa con la sua torcia e poi portò il suo sguardo perplesso su Avram. «È vuota», disse.

Avram tiro fuori la pistola e la puntò sul nipote. «Non ancora per molto», gli disse.