DIECI
I
Avram attraversò la strada di Giaffa e si trovò all’istante in un altro mondo, le nere uniformi degli ultra ortodossi di Mea Shearim sostituite dagli sgargianti pantaloncini e magliette di Ben Yahuda. Comprò una carta prepagata a un chiosco, cercò un telefono pubblico, compose uno dei molti numeri che si era preso la briga di memorizzare. «Sono io», disse, quando Danel rispose.
«Sta succedendo, dunque», disse Danel. Metà affermazione, metà domanda.
«Porta tutti quelli di cui ti fidi», gli disse Avram. «Netanya, domani pomeriggio. Stesso posto, stessa ora».
«È qui», disse Danel. «Sta succedendo davvero».
«Domani pomeriggio». Terminò la chiamata, si diresse a passo spedito verso un altro gruppo di telefoni. «Ho bisogno del camion», disse, quando Ephraim rispose.
«Quando?»
«Questo pomeriggio. Questa notte».
«Ho venduto l’ultimo», disse Ephraim. «Ne ho uno nuovo. È blu scuro e un po’ più grande. Ma rovinato. Lo avrei ridipinto questa settimana».
«Rovinato va bene. Purché funzioni».
«Funziona benissimo. Lo lascio a te adesso».
Avram si spostò ancora per fare la sua terza telefonata. Rispose una giovane donna americana fastidiosamente allegra. Quando chiese di Francis, le disse di aspettare in linea, poi si allontanò cantando uno spiritual. La sua voce si dissolse e i minuti passarono, tanto che Avram ebbe paura di aver perso la linea. Ma all’improvviso arrivò un uomo. «Sono Francis. Con chi parlo?»
«Lo sai chi».
«Oh». Silenzio prolungato. «Cosa vuoi?».
Avram abbassò la voce, non tanto per la paura di venire ascoltato quanto per la vergogna. «Ho bisogno di una vacca», disse.
«Siamo qui per questo», disse Francis.
«Ne ho bisogno per le sette di domani mattina».
Francis rise. «Ma questo non è possibile. Lo sai che non lo è. Non perfetta. Non di tre anni».
«Tu una volta mi dicesti che non credevi che le nove heifer precedenti potessero essere tutte delle rosse perfette. Mi dicesti che se non eravamo riusciti ad allevarne nemmeno una, nonostante le nostre enormi mandrie, la nostra varietà del bestiame e le nostre moderne tecniche di manipolazione genetica, voleva dire che gli antichi non ne avevano trovata nemmeno una davvero perfetta, figurarsi nove. Me lo dicesti tu, giusto?»
«E ne sono convinto».
«Lo credo anch’io». Fece un respiro profondo prima di tuffarsi di testa nell’eresia. «Credo che molte cose dichiarate assolute nel Tanakh di fatto non fossero assolute. Credo che troppi dei miei fratelli usino letteralismi per farsi vanto della propria devozione. Non è così che si rende onore al Signore, benedetto il Suo Nome. Così Lo si sfida».
Un attimo di silenzio, poi: «Domani mattina».
«Sette in punto. Appena ce l’hai. E almeno di tre anni. Possiamo avvicinarci almeno così. E i suoi documenti dovranno essere convincenti. I miei vorranno controllare. Oh, e fai sembrare che abbia compiuto i tre anni all’ora precisa del terremoto».
«Chiedi troppo. Non c’è tempo».
«E avremo bisogno di tutto il posto solo per noi. Dovrai essere là, per rispondere alle domande. Ma non portare i tuoi volontari. Direbbero solo qualcosa di stupido».
«Tu non mi stai ascoltando. Non c’è tempo».
«No», disse Avram. «Sei tu che non mi ascolti. Chiama in America se hai bisogno di conferme. Thaddeus ti spiegherà. Ma questa cosa deve succedere. Sta per succedere. Sette di domani mattina. Preparati». E riagganciò prima che Francis potesse discutere oltre.
II
Rachel era troppo intontita per fare altro che non fosse starsene stupidamente lì in piedi mentre la BMW si precipitava verso di lei. Ma gli uomini erano stati più veloci, lanciandosi lontano dalla traiettoria dell’auto. Questa sterzò all’ultimo momento, inchiodò stridendo accanto a lei. La portiera del passeggero si spalancò e un giovane dall’aspetto atletico e i capelli scuri la afferrò per il polso, tirandola su di lato sulle sue ginocchia, con le gambe che le ciondolavano ancora fuori. Il biondo le si lanciò addosso, ma il guidatore schiacciò l’acceleratore e la BMW si allontanò, la velocità le faceva sbattere la portiera sugli stinchi. Raggiunsero l’incrocio con la strada principale e il traffico che incontrarono obbligò l’uomo al volante a usare i freni. La portiera si spalancò ancora, permettendole di mettere completamente dentro i piedi, così che il passeggero riuscì a chiudere lo sportello. Si guardò intorno. I tre uomini correvano dietro all’auto, con la furia negli occhi. Le erano quasi addosso, quando si aprì un varco quasi inesistente fra gli altri veicoli e il conducente ci schizzò dentro, obbligando le altre macchine a frenare bruscamente, lasciandoli a suonare il clacson come oche indignate.
«Chi cazzo siete voi?», chiese Rachel, ancora sulle ginocchia del passeggero. «Cosa sta succedendo?»
«Quegli uomini», disse il passeggero. «C’era un poliziotto con loro?»
«Sì».
«Cazzo!», disse.
L’uomo che guidava fece una smorfia. «Credi che abbiano preso la targa?»
«Non lo so, amico», disse il passeggero. «Probabile. Possono rintracciarti?».
Il guidatore scosse la testa. «Non sarà facile. La società la noleggia per me».
«Ehi!», Rachel dovette gridare per avere un po’ di attenzione. «Chi siete voi? Cosa sta succedendo?».
Il passeggero fece una faccia strana, non sapendo cosa rispondere. Le porse la mano, il che fu abbastanza bizzarro con lei ancora sulle sue ginocchia. «Mi chiamo Luke Hayward», disse. «Conoscevo tua…».
«Luke Hayward?», ripeté lei. Si allontanò da lui con orrore, raggiungendo in qualche modo i sedili posteriori. «Tu hai ucciso mia zia».
«No», disse lui, voltandosi per guardarla in faccia, tenendo le mani alzate per cercare di non farla sentire minacciata. «Non è vero. Giuro che non è vero. Sono stati quegli uomini. Quello coi capelli chiari».
«Erano della polizia. Stai dicendo che la polizia ha ucciso zia Penny?»
«Non erano della polizia», insistette. «Erano con un poliziotto. Non è la stessa cosa».
«Lui era in servizio. Parlava di ordini dall’alto».
«Ti hanno colpita alla schiena con un taser», disse Luke. «Davvero vuoi credere alla parola di gente che ti ha colpito alla schiena con un taser e non a quelli che ti hanno salvato?».
Cercò una buona obiezione, non riuscì a trovarla. «Cosa cazzo succede?», domandò senza forza.
«Non lo so», disse Luke. «Non tutto, comunque. Ma quegli uomini erano a casa di tua zia prima. Hanno scoperto che ti aveva mandato un’email che non avrebbe dovuto mandare, e il tizio biondo ha dato di matto. Stava cercando di scappare da lui quando è caduta dalle scale della soffitta».
«Tu eri là? L’hai visto succedere?»
«Sì».
«Perché non hai chiamato la polizia?»
«Ci ho provato».
Si lanciò in una storia assurda di fughe sui tetti, telefonate da pub locali, sciami di poliziotti. Lei lo ascoltava con crescente orrore. Un quarto d’ora prima, non avrebbe creduto a una sola parola. Ma ora ci credeva, completamente. «Questa email che mia zia ha mandato», disse. «Anche quell’uomo ne ha parlato. Voleva che gliela inoltrassi».
Lui scosse la testa. «Dubito. Scommetto che voleva cancellarla».
«Perché? Cos’è?»
«Questo ti sembrerà assurdo», le disse.
«Più assurdo del resto?»
«Giusto. Sono fotografie di alcune vecchie carte che tua zia voleva far valutare». Doveva essersi accorto dello stupore sul suo viso, perché continuò: «Hanno valore, non mi fraintendere. Sono state scritte da Sir Isaac Newton. Il prozio di tua zia le comprò da Sotheby’s negli anni Trenta. Si chiamava Bernard Martyn. Era un fisico che lavorava per…».
«Il prozio Bernie», annuì Rachel. «Mamma ci parlava di lui».
«Io sono un esperto di Newton», disse Luke. «Quei tipi mi avevano assunto per trovare le sue carte perdute. Ho trovato il lotto del tuo prozio nella soffitta di tua zia. Ho fatto le foto e le ho mandate, il mio cliente aveva il diritto di prelazione. A tua zia stava bene. Ma non sapeva quale sarebbe stato un buon prezzo».
Rachel si sentì svuotata. «Per questo ha mandato a me quella email?».
Luke fece segno di sì. «Credo pensasse che avresti potuto farle avere una valutazione in qualche modo. Ma poi sono arrivati quei tipi».
«Chi sono? Chi è questo tuo cliente?»
«Non lo so».
«Ma lavoravi per loro?»
«Non mi hanno mai detto i loro nomi. Non mi hanno mai detto niente».
«E non hai pensato che fosse strano?», disse Rachel. «Non hai pensato che fosse sospetto?»
«Sono le carte perdute di Isaac Newton ciò di cui stiamo parlando, non di qualche cazzo di segreto nucleare. Ho solo pensato che fosse un vecchio collezionista strambo. Come facevo a sapere che sarebbe successo tutto questo?»
«La zia Penny è morta», disse Rachel furibonda. «È morta perché tu hai portato quegli uomini da lei».
Luke sbatté gli occhi come se l’avesse schiaffeggiato. Stava per difendersi da quell’accusa, ma decise di non farlo.
«Mi dispiace», disse. «Mi dispiace davvero. Se avessi anche solo immaginato…».
L’uomo al volante si guardò intorno, ruppe il silenzio. «Senti, tesoro, dispiace anche a me, e tutto il resto, ma non siamo noi quelli che hanno ucciso tua zia o che ti hanno dato la scossa col taser. Questa email è l’unica prova di come sono andate davvero le cose oggi pomeriggio. Se in qualche modo riescono a cancellarla, loro la passeranno liscia e forse il mio amico qui finirà in galera per il resto della sua vita, per una cosa che hanno fatto loro. È questo che vuoi?»
«Perché dovrei fidarmi di voi più di quanto mi fidi di quelli?».
Mise la mano in tasca, tirò fuori il cellulare, glielo passò. «Ho avuto il tuo indirizzo da una donna di nome Sonia, non so il cognome, ma insegna al Caius. È amica di una mia amica, Miriam. Chiama Sonia. Lei garantirà per Miriam. Poi chiama Miriam. Lei garantirà per me».
«E tu come ti chiami?»
«Redfern. Pelham Redfern».
Un campanello suonò debolmente nella memoria di Rachel. «Conosco questo nome», disse. «Sei il bastardo che usciva con Vicky Andrews».
«Ah», disse Pelham. Si grattò la gola a disagio. «Sì. Vicky. Ci siamo frequentati per un…».
«Le hai spezzato il cuore».
«Sì, be’, purtroppo non tutte le storie sono destinate a finire a coriandoli e…».
«Ti ha beccato a letto con la sorella».
«Oh, ma cazzo, amico», disse Luke. «Ti sei fatto la sorella?»
«Per essere precisi, lei si è fatta me», si strinse nelle spalle Pelham. «Seri problemi di rivalità fra sorelle, se chiedete a me, sono lo scemo preso nel mezzo. E finisce che sono io il cattivo?».
Luke si rivolse senza speranza verso Rachel. «Ok, va bene», disse. «Forse non puoi fidarti di noi. Non del tutto. Ma non siamo truffatori, cattivi o niente del genere, giuro che non lo siamo. Siamo persone come te. I nostri amici sono tuoi amici».
Rachel esitò. Voleva essere arrabbiata con lui, voleva essere sospettosa, ma c’era qualcosa in lui di cui si fidava istintivamente, e sarebbe stato ingiusto negarlo. «D’accordo», disse. «Diciamo che vi credo. Adesso cosa facciamo?».