QUARANTUNO
I
Dall’interfono si sentì il pilota che annunciava la partenza. Walters si allungò per tirare giù la tendina del finestrino. «Non vuoi che salutiamo la folla, eh?», domandò Luke.
«Qualcosa del genere», confermò Walters. Si allacciò le cinture, posò il taser con ostentazione sulle ginocchia. Le luci si abbassarono. Un accenno di movimento, anche se i motori non erano ancora accesi, poi un urto morbido delle ruote mentre venivano rimorchiati verso l’apertura dell’hangar. Si fermarono ancora. Ora si accendevano i motori, lamentosi come ragazzini in gita al museo. Iniziarono a muoversi con la loro propulsione e presto furono nel vivo del rullaggio. Si posizionarono sulla pista, si fermarono. I motori rombavano e si preparavano al decollo. L’accelerazione schiacciò un po’ Luke sul sedile. Il suo cuore affondava mentre la speranza di un intervento miracoloso dell’ultimo minuto svaniva. Rachel fece scivolare la mano nella sua. Intrecciò le dita con lei, stringendo con gentilezza per ringraziarla e rassicurarla. L’aereo si alzò in modo brusco. Walters sollevò di nuovo le tendine. Le luci della parte est di Londra scomparivano sotto di loro. Piegarono in una curva che rubò la città alla vista e al suo posto regalò loro il cielo notturno. Non c’era la luna ma una cascata di stelle, e solo per un attimo Luke si ritrovò nella camera sotto l’Ashmolean, a fissare le meravigliose galassie della sua volta. Poi si accesero le luci della cabina, spegnendo la notte e spingendo Rachel a ritrarre la mano, come se all’improvviso si sentisse in imbarazzo.
Walters si alzò e si stiracchiò. «Champagne, dicevamo?», li canzonò.
«E delle noccioline tostate, se ne avete».
Walters rise. «Torno subito». Andò al bar a prepararsi da bere, poi si sistemò in mezzo al corridoio con i suoi colleghi e Jay. Non restarono molto insieme, comunque, perché Jay disse qualcosa a Kieran e i due si alzarono e si diressero verso il fondo della cabina. C’era un portello là con una maniglia incorporata che Kieran aveva dovuto tirar fuori e girare per sbloccare e aprire. Era spessa e pesante e circondata da guarnizioni in gomma; e si aprì verso di lui quando sicuramente una porta scorrevole avrebbe rappresentato un uso migliore dello spazio.
Luke aggrottò la fronte. La pressione dell’aria era molto superiore all’interno di un moderno jet per il trasporto di passeggeri rispetto all’esterno, perciò i portelli esterni si aprivano invariabilmente verso l’interno. In quel modo, anche se qualcuno avesse provato ad aprirli durante il volo, che fosse per errore o per un atto di sabotaggio, non ne avrebbe semplicemente avuto la forza. Quindi quel portello sembrava progettato per separare un comparto pressurizzato da uno non pressurizzato. Ma se era così, allora Kieran e Jay non avrebbero assolutamente potuto raggiungere il vano della stiva. Ci stava ancora pensando quando Rachel gli toccò il braccio. «È là dietro, vero?», domandò. «L’Arca?»
«Credo di sì».
«Cosa sta succedendo? Stiamo andando in Israele?»
«Da quello che ho capito».
«Ma perché? Tutto questo casino, la segretezza…». Scosse la testa. «Non ha senso».
Luke aggrottò la fronte. «C’è una credenza ebraica secondo la quale il Terzo Tempio non potrà essere costruito finché l’Arca non verrà restituita a Gerusalemme. Ma l’Arca non è abbastanza. La zona va purificata prima. C’è la Cupola, ricordi?»
«Oh Cristo», mormorò Rachel. «Credi che sia quello di cui si sta occupando lo zio di Jay?»
«Non è impossibile, no?», disse Luke. «L’Arca che arriva al Monte del Tempio nel momento stesso in cui lo zio di Jay fa crollare la Cupola? Sembrerà che sia stata l’Arca stessa a farlo, proprio come a Gerico. I credenti di ogni parte del mondo lo vedranno come il volere di Dio».
«Non i mussulmani», mormorò Rachel. «Ci sarà una guerra».
«La fine del mondo, più probabilmente», disse Luke. «Se mai è esistita una profezia auto avverante, eccola qua».
«Non possono essere così pazzi, no?», chiese Rachel, guardandosi intorno. «Voglio dire, Jay e suo zio, forse. Ma questi altri tizi, mi sembra difficile che siano fanatici religiosi, no?»
«Credo che facciano qualunque cosa Croke dica loro di fare».
«Ma nemmeno lui sembra uno così».
«Deve avere le sue ragioni».
«Sì. Ma quali?»
«Non lo so».
«Forse dovremmo chiederglielo la prossima volta che lo vediamo», suggerì Rachel ironica.
«Sì», concordò Luke. «Forse dovremmo».
II
La porta al-Hadda era nel quartiere mussulmano della Città Vecchia, il che rendeva più difficile per Avram e i suoi passare inosservati da lì. Ma ne valeva la pena, perché l’avvicinarsi da quel lato portava il vantaggio di distrarre i guardiani notturni del Waqf dall’avamposto della polizia israeliana dall’altro lato.
Avram si fece strada attraverso l’imboccatura del vicolo: dava l’impressione di essere un vecchio che non rappresentava nessuna minaccia sulla via di casa dopo una cena finita tardi. A breve distanza, Danel e la sua squadra di spazzini spingevano i loro cassonetti sulle vecchie pietre. Danel si fermò per una sigaretta mentre attraversava il posto di guardia, ma il suo accendino lanciò solo scintille. Diede un’occhiata al poliziotto, alzò la sigaretta, sollevò un sopracciglio.
«Ragazzi, lavorate fino a tardi», grugnì uno di loro, prendendo un fiammifero dalla sua tasca.
«Questo maledetto terremoto», disse Danel. «Nessuno sa più cosa succede».
«Dillo a me».
Il rumore dei cassonetti copriva quello più debole di Shlomo e dei suoi che si avvicinavano nell’oscurità. Il posto di guardia si affollò all’improvviso, le mani sulle bocche dei poliziotti.
«Non fate gli eroi», minacciò Danel.
Pistole a tranquillanti li colpirono al collo. Li tennero sollevati finché non crollarono, adagiandoli poi nell’ombra. Sollevarono i coperchi dei cassonetti e presero le armi d’assalto e gli zaini. Si tolsero gli abiti di copertura e indossarono le tute e le pettorine a infrarossi, scure a occhio nudo ma luminose attraverso i loro visori notturni, riducendo così il rischio del fuoco amico. Si misero gli zaini in spalla, strinsero le cinghie. Nel momento in cui Danel diede il via libera ad Avram, lui inviò il messaggio, già preparato, attraverso la notte fino al monte degli Ulivi, dove Ana, Ruth e Nathaniel attendevano.
Qualche secondo ancora e i fuochi d’artificio sarebbero iniziati davvero.