POSTFAZIONE

Per otto decenni, Stan Lee si è seduto alla sua scrivania per fare un lavoro serio: raccontare storie. Sebbene spesso i suoi personaggi, nei vari media e negli infiniti mondi che
hanno popolato, manifestino personalità bizzarre – il
che rimane pertinente oggi come quando furono creati –
ciò che ha mosso Stan dal letto all’ufficio fino ai novant’anni è stata l’opportunità di allargare le menti dei suoi lettori, confinate su questa Terra. Dagli X-Men, la personale dichiarazione di voto di Stan a favore del movimento per i diritti civili, a Pantera Nera, che fornisce una visione socialmente consapevole del futuro, alle riflessioni di Silver Surfer sui motivi oscuri che ci guidano, fino ai conflitti in Vietnam e altrove, Stan ha visto l’opportunità che il semplice ‘cosa accadrebbe se’ presenta di porre domande molto più grandi su chi siamo e come scegliamo di vivere.

Noi abbiamo visto di persona questa magia prendere forma.

Anni fa, Stan ci invitò gentilmente nel suo parco autori per contribuire a creare quello che alla fine sarebbe diventato l’universo Alliances, il primo episodio di ciò che avete appena letto. Nel corso degli anni in cui abbiamo lavorato con Stan, abbiamo avuto la grande fortuna di verificare che la sala scrittori era il luogo d’ispirazione – a volte fisico, a volte virtuale – che da ragazzi avevamo immaginato. Come molti di voi, eravamo avidi fan delle trame fantastiche che trovavamo negli albi di Stan e dei suoi redazionali, le ‘soapbox’ in fondo agli albi stessi, ognuna delle quali permetteva una sbirciata dietro le quinte di come prendevano vita le nostre storie e i nostri personaggi preferiti. Quelle anticipazioni per noi hanno smascherato il processo della scrittura e ci hanno sfidato a scegliere una nostra personale strada per raccontare storie. Come tantissimi altri che hanno subito l’influsso di Stan, grazie al suo lavoro e al suo generoso accesso alla natura collaborativa della comunità degli autori, diventammo lettori a vita… e scrittori.

* * *

Come sono nati i personaggi che avete appena incontrato in Un gioco di luce? Come ha fatto la tenace, superintelligente ed eroica Nia a diventare sia la protagonista sia l’antagonista del nostro romanzo?

Questo è il genere di domande a cui Stan amava rispondere – e che noi amavamo leggere – nella sua ‘soapbox’. Il processo di ideazione del personaggio di Nia si attiene strettamente alla classica creazione dei personaggi di Stan. Ognuno di quelli che hanno collaborato potrebbe raccontare una propria versione del momento che ha provocato una completa riscrittura da parte di Stan. E questa cominciava sempre con la dichiarazione ‘Ehi, ho un’idea!’

Nel caso di Nia, la magia funzionò in questo modo.

Se avete mai visto delle foto di Stan seduto alla scrivania che occupava in un modesto palazzo di uffici nell’assolata California meridionale, saprete che la postazione dove aveva scelto di impiegare il suo tempo era tutto fuorché modesta. Era un’orgia di colori. Grafica di tutti i tipi: dipinti, stampe e media vari sapientemente sistemati accanto a gadget e memorabilia rappresentativi del lavoro di Stan, del fandom di Stan, nonché oggetti donatigli da amici e fan che esprimevano il loro amore per le sue creazioni. Guardandovi intorno nella stanza, il vostro sguardo si sarebbe posato su una locandina delle Avventure di Robin Hood con Errol Flynn o sulla statuetta di un leone o su un ritratto dell’artista pop Steve A. Kaufman con Stan che guarda minacciosamente Spider-Man. E, naturalmente, c’erano anche innumerevoli foto che coprivano la parete dietro la scrivania. Foto di Stan e di sua moglie Joan o di Stan con moltissime celebrità o importanti personaggi contemporanei, tutti che sfoggiano un’espressione di gioia per essere ritratti accanto al loro eroe. Per quanto eccitato dall’idea di passare del tempo da solo con Stan, nessun ospite dell’ufficio poteva impedirsi di posare gli occhi dappertutto, per trarre ispirazione dalle idee e dalle persone che ispiravano Stan.

Quel giorno in particolare eravamo in quell’ufficio riuniti con Stan, il presidente di POW! Gill Champion e la nostra super-eroina in carne e ossa, l’agente letterario Yfat Reiss Gendell. Per puro caso, Yfat e Gill occupavano due robuste poltrone in pelle spostate lì dalla sala d’attesa, mentre noi sedevamo appollaiati su seggiole misteriosamente instabili che forse, immaginavamo, erano state sottoposte a test di resistenza durante una sessione di scrittura particolarmente animata con il dottor Bruce Banner. Noi quattro eravamo proprio di fronte a Stan, seduto dall’altra parte, chino in avanti con i gomiti poggiati sulla smisurata scrivania, la parete di volti che incombeva alle sue spalle. «Partiamo con Cameron» suggerì. «Quale dovrebbe essere il suo potere?»

Tic toc, tic toc.

Stan l’aveva posta come domanda retorica e naturalmente non c’era nessuna lancetta dei secondi a tormentarci. Stan non si aspettava da noi una risposta più di quanto noi ci aspettassimo da lui che escogitasse tutta la storia da solo. E tuttavia volevamo fagli una buona impressione. Nonostante tutto il lavoro professionale che avevamo fatto, che ci aveva condotto a sedere in prima fila di fronte a lui, eravamo regrediti allo stadio di giovani fan. Nella nostra immaginaria versione cinematografica della scena, tutte le celebrità e diversi ex presidenti affioravano dalle foto dietro Stan per criticarci: Be’, e voi ragazzi che ci fate qui?

«Bene, pensavamo a Cameron un po’ come all’opposto di Tony Stark, un ragazzo che crea invenzioni che non funzionano mai…» Snocciolammo esempi di contrapposizioni mancate, insieme ad altri aspetti e dettagli sugli antefatti che dovevano dare forma al nostro protagonista maschile.

Stan assimilò le informazioni.

«Ecco, torniamo un attimo all’Inventore» suggerì.

Tutti ci volgemmo ai nostri taccuini, sfogliando tra l’ormai corposa raccolta di embrioni di storie, abbozzi di personaggi, piccoli e grandi colpi di scena e punti oscuri della trama che costituivano la carne e il sangue di un universo completamente nuovo.

L’Inventore era un personaggio che Stan aveva sviluppato per l’universo Alliances quasi subito. Aveva immaginato che lo scienziato avrebbe costituito il centro coinvolgente della trama e di tutta l’azione che seguiva. Discutemmo se far vivere questa figura in un mondo dove la tecnologia aveva posto i suoi abitanti in una sorta di stato di fuga perenne. Nel riportare la nostra attenzione sull’Inventore, Stan stava definendo con esattezza le leggi fondamentali che governavano il mondo in cui la sua storia aveva inizio.

«Che genere di alieno è?»

«Quant’è lontano il suo pianeta?»

«Quanti abitanti ha?»

«Che moneta usano?»

Era preciso come un laser e veloce come una mitragliatrice.

Tirammo fuori idee che approfondivano concetti da lui espressi in precedenza; Stan ne approvava alcune e ne scartava altre. Quando ebbe ascoltato abbastanza, o quando semplicemente iniziavamo a prendere le cose troppo alla lontana o a esagerare o ci perdevamo in dettagli che riteneva inutilmente tecnici, si chinava in avanti, i gomiti sempre sulla scrivania, e proclamava: «Okay, fantastico. Che ne dite se rendiamo tutto più semplice?» E poi spiegava: «La Terra è il pianeta più vicino all’Inventore ed è per questo che atterra qui con la sua arma più potente… Alla gente non importa di tutta questa roba di alieni e di computer. I personaggi. A loro interessano i personaggi. Torniamo a loro».

Stan parlò di quelli che considerava grandi personaggi, molti dei quali erano ritratti nella stanza. Tenne una veloce lezione su cosa rendeva Moriarty la perfetta nemesi di Sherlock Holmes, fece un rapido accenno all’elegante semplicità delle origini di Superman (sì, quel Superman), poi ci ricondusse al problema di assemblare i personaggi che dovevano abitare il mondo di Alliances. Come erano in relazione l’uno con l’altro. «C’è sempre una qualche minaccia nel mondo…» E poi ancora «È la gente che ci interessa. Vogliamo capire le loro relazioni con gli altri. Se sono nei pasticci, come se ne tireranno fuori. Come faranno a salvarsi. Tutto è centrato sulle persone».

Il pasticcio, come risultò, sarebbe stato il suo colpo da maestro nella creazione del mondo di Alliances e di Un gioco di luce. Sebbene quel mondo immaginario fosse abilmente pervaso dalla tecnologia del prossimo futuro che lo affascinava, Stan voleva che il cuore della storia fosse percepito come umano e familiare dai lettori, come degli amici o una famiglia seduta intorno al tavolo da pranzo. Stan si interruppe e considerò i personaggi. Potevamo vedergli strizzare lievemente gli occhi dietro i famigerati occhiali. Stava elaborando un’idea. Sollevò un braccio, rivestito del suo cardigan verde preferito, allungò il magro, elegante e autorevole indice a indicare non noi, ma dietro di noi, come se l’idea stesse per scaturire dalla punta del suo dito per venire scagliata nel cielo senza limiti alle nostre spalle.

«Ora, potrei sbagliarmi. Ma… e se...»

Quelle due parole inconfondibili, ‘e se?’, sono state responsabili di numerosi punti cardine della storia e tanti dei personaggi più amati di Stan. (E se un ragazzo fosse morso da un ragno radioattivo? E se uno scienziato fosse esposto ai raggi Gamma? E se un mercante d’armi diventasse un eroe in armatura?) Aveva trovato la soluzione.

«E se… uno dei personaggi principali fosse sia l’eroe sia l’arma? E se fosse l’intelligenza artificiale creata dall’Inventore?»

Eravamo tutti tesi in avanti mentre continuava. «Tutti abbiamo visto i computer conquistare il mondo, abbiamo visto i videogiochi usati per scopi più importanti, tutti conosciamo le IA». Tornò a far riposare l’indice sulla scrivania. «Quello che dobbiamo mostrare al pubblico è qualcosa che non hanno mai visto prima!»

E fu così che Stan creò Nia. In meno del tempo occorso per scrivere questo paragrafo, Stan aveva imperniato il principio organizzativo dell’intero universo di Alliances in Nia, un personaggio chiave ma anche l’incarnazione di una domanda essenziale per tutti noi che siamo immersi nel moderno stile di vita a tecnologia avanzata. Improvvisamente, la vedevamo con chiarezza. Nia, potente, eppure illusoria: un gioco di luce.

Con la sua voce rauca, ma ancora forte e inconfondibile, Stan disse con nonchalance: «Bene. Ora che abbiamo risolto questo, cos’altro abbiamo?»

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Nella sua introduzione a questo romanzo, Stan scrive: ‘Cos’è più reale? Il mondo in cui siamo nati o quello che abbiamo creato noi?’ In Un gioco di luce, Stan pone questa domanda esistenziale, al tempo stesso nuova e antica: gli avatar che ci scegliamo sono un’illusione auto-indulgente per le nostre ambizioni? Nel nuovo mondo di cui sarebbero le autentiche interazioni tecno-generate, Nia è l’entità artificiale, realistica e senziente, che rifiuta il ruolo della musa ispiratrice.

Dopo di che, Stan tornò ai classici mattoni da costruzione del paradigma del supereroe. Nia è l’alter ego di se stessa, forse una versione di come saremo in futuro. Come tanti lavori di fiction di Stan, Un gioco di luce presenta personaggi che con coraggio si pongono le domande che nascono nella nostra mente mentre ci dirigiamo verso un futuro incerto.

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Partecipare al processo collaborativo di Stan, guardarlo portare alla luce questo romanzo insieme all’inimitabile Kat Rosenfield, ha avuto qualcosa di magico (e ci ha fatto sentire umili, e ci ha illuminato, eccetera). È un dono creativo che ciascuno di noi porta con sé.

Come ogni grande mago, Stan faceva apparire possibile l’impossibile. E dopo anni di sforzi, ognuno una fatica d’amore per Stan e la sua squadra, vi siamo grati per aver dedicato il vostro tempo all’inizio di quello che lui sperava essere il primo capitolo di molti a venire.

 

Ryan Silbert e Luke Lieberman