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LA TUA PRINCIPESSA È IN UN’ALTRA TORRE
Il cervello di Cameron è un groviglio di confusione, paura e rabbia, che lottano per il controllo. Attraversa la stanza in un lampo, pronto a dire a Juaquo che è uno stronzo e non fa neanche ridere, ma si blocca appena mette piede nella stanza successiva, che è piccola e anonima come un armadio, e ha le pareti fatte dello stesso materiale levigato e illuminate dallo stesso bagliore. Non è uno scherzo o una bugia: Barry, Barry il Suonato, è accasciato contro uno dei muri, seduto in un angolo con le ginocchia ossute tirate su fin quasi al mento. Guarda Cameron con gli occhi arrossati, e Cameron prova un’ondata di disgusto misto a pietà. Il vecchio sembra avere dieci anni in più rispetto a quando l’ha visto per l’ultima volta. La sua pelle è cadente, pallida, appesa in bargigli molli sotto il mento e borse evidenti sotto gli occhi. L’incarnato è grigio come l’affare strano che indossa: una specie di caffetano su un paio di pantaloni larghi. I piedi sono nudi e sporchi. Ma quando vede Cameron alza le sopracciglia in segno di riconoscimento e gli angoli della bocca si contraggono verso l’alto. Cameron sussulta. Gli sembra di guardare un cadavere che prova a sorridere.
«È interessante che sia proprio tu» dice Barry, con voce tremante. «Una coincidenza, suppongo. Ma si sa, in momenti come questo gli esseri umani vedono significati reconditi in tutto. Potrei quasi credere nel destino io stesso, ora che ti vedo in questa stanza».
Cameron scuote la testa.
«Tu! Non capisco. Che posto è questo? Che cosa ci fai qui?»
«Questa è casa mia» dice il vecchio. «O comunque quanto di più vicino a una casa io abbia mai avuto».
«La tua…» Cameron si interrompe, ansimante. «Hai creato tu… quella roba? Il campo di grano? La sparatoria? Il dannato fantasma di mio padre?»
Barry scuote la testa. «Credi sia una questione personale. Non lo è. È il programma a fare le scelte, ragazzo mio, sulla base di ciò che trova nella tua mente. Analizza, indovina ciò che ti emoziona o ti spaventa; oppure, come in questo caso, cosa ti convincerebbe ad andartene. A lasciarci stare». I suoi occhi lo implorano. «Cerca di capire, volevo solo darle degli insegnamenti».
«Stai parlando di Nia» scatta Cameron, e gli occhi del vecchio si spalancano. «Dove si trova? Siamo venuti a prenderla. Non me ne andrò senza di lei».
«Per favore» sussurra Barry. «Non capisci. Se la lasci andare…»
Juaquo si fa avanti, supera Cameron e si accovaccia accanto a Barry. Scruta il vecchio con aria confusa.
«Come stai, papà di Nia? Hai, tipo, un milione di anni. Cameron, sei sicuro che…?»
Ma Cameron non sta ascoltando. Fino a quel momento, la rabbia e la confusione erano così forti nella sua testa che sovrastavano tutto il resto, compresi i sussurri di un sistema segreto nascosto nelle pareti di quella stanza. Ma ora li sente, e nella sua mente li vede. Strati su strati di sicurezza, una serie di serrature complesse tutte collegate strettamente a un’unica porta. Lo chiamano, lo attirano. Cameron chiude gli occhi e si concentra.
Quando li riapre, si apre anche il muro di fronte a lui. Si spalanca un solo pannello, rivelando un intricato display digitale.
«NO!» urla Barry, e mentre cerca di rialzarsi Juaquo lo afferra, inchiodandolo contro il muro.
«Ehi, ehi, ehi, nonnino» dice, poi alza gli occhi al cielo. «O papà. Nonno papà. Non importa. Se tua figlia è dietro quel muro, la faremo uscire, fine della storia. Cameron? Il muro è, tipo, smart?»
«Ci sono quasi». Le palpebre di Cameron tremano mentre lavora, concentrando la sua attenzione sul sistema davanti a lui, chiudendo le orecchie alle proteste del vecchio. Una per una, le serrature scattano per aprirsi, e pezzo per pezzo gli ostacoli diminuiscono. Si sta avvicinando, adesso, e sente la voce di Nia dall’altra parte del muro, o è solo la sua immaginazione? Sta davvero gridando il suo nome?
«Nia, sono qui!» urla, e con un ultimo sforzo sfonda la serratura che ancora resisteva. Il display di fronte a lui lampeggia una volta e scivola di lato, rivelando una porta sulla quale si fionda.
Dietro di lui, Barry singhiozza: «No, ti prego, non farlo!» Cameron lo sente lottare invano, mentre Juaquo lo trattiene con la forza, ma il suono appare lontanissimo.
Nia è in piedi nella stanza, e gli sorride tra le lacrime. È bellissima, luminosa, sembra che abbia una luce all’interno, come i muri che la circondano.
«Nia!» grida, travolto dalla gioia e dal sollievo.
Dietro di lui, Juaquo dice: «Eh? Dove?» ma Cameron non sente, non gli importa di nient’altro. Ha occhi solo per lei, è qui per salvarla. Nia allunga una mano verso di lui, con gli occhi che brillano, e Cameron corre verso di lei, anche lui con le braccia protese. Ha appena il tempo di rendersi conto che questa sarà la prima volta che si toccheranno davvero, e il cuore accelera i battiti prima ancora di farlo.
Poi le sue mani si tuffano nel corpo di Nia, e lei scompare mentre nella stanza scende l’oscurità.
Nia, cerca di dire, ma dalla sua bocca congelata non esce alcun suono, e il corpo resta immobile. Guarda fisso davanti a sé, guarda le sue mani, che avrebbero dovuto stringere la ragazza che ama e che sono invece immerse in un globo di luce elettrica luminescente e brillante. Il fulmine crepita e si divide in piccoli rami, strisciandogli lungo le sue braccia, avvolgendogli il petto, le spalle, il collo. Cameron sente un formicolio mentre il lampo gli sfiora la nuca e poi gli avvolge il volto, in una replica perfetta di ciò che un tempo gli ha provocato la cicatrice. La sensazione che prova è orribilmente familiare, e quando sente la voce di Nia non lo fa con le orecchie. Sembra che lei gli parli nella testa.
Sei venuto per me. Sei venuto. Sono così felice, Cameron, così felice, e mi dispiace così tanto. Questo è l’unico modo.
Ti dispiace? Ti dispiace per cosa?
La voce di Cameron è un gemito frenetico, anche dentro la testa. Il silenzio prima del ritorno della voce di Nia sembra protrarsi per sempre. Il corpo è stato inghiottito dalla luce del globo, che lo avvolge dalla testa ai piedi, e Cameron si chiede per un breve istante se è così che ci si sente quando si muore colpiti da un fulmine, e se i suoi occhi si scioglieranno nelle orbite prima che il corpo ceda.
Persino in quel momento, la voce di Nia è gentile, sembra quasi che lo prenda in giro.
Non si scioglieranno. Non stai morendo. Non vorrei, ma devo fare in fretta… e farà male.
Nia ha ragione. Il dolore è sottile, infinito, e se le corde vocali di Cameron non fossero paralizzate, quella sensazione di furia elettrica, di qualcosa di intelligente, orribile e alieno che corre tra le sinapsi del suo cervello, sarebbe sufficiente a farlo urlare di terrore per il resto della vita.
E invece non emette alcun suono. Diventa preda del dolore, e un istante dopo si accascia sul pavimento, guardando in alto verso il viso preoccupato di Juaquo e quello angosciato del vecchio accanto a lui.
«Cos’è successo?» chiede Juaquo, mentre Barry geme sommessamente: «Oh, bambina mia, che hai fatto?»
* * *
La voce di Nia sembra provenire da tutte le parti. Mormora dalle pareti, dal pavimento. Sussurra negli stretti corridoi e riecheggia in ogni spazio cavernoso, mentre la stanza pulsa di una luce morbida e rosata.
«Cameron ha fatto ciò che era giusto fare, Padre» dice. «Lui comprende ciò che tu non potresti mai capire. Non puoi insegnare a un essere umano a pensare, a sentire, a essere libero… e poi aspettarti che rimanga in gabbia».
Juaquo balza all’indietro con un grido. «Chi è?» urla, mentre il vecchio crolla accanto a Cameron, e Cameron fatica a tirarsi su e sedersi. «Che cazzo è, un fantasma?!»
«Nia» dice Cameron, debolmente. «Dove… dove sei?»
La voce nel muro trabocca di emozione. «Non voglio lasciarti così, ma la finestra si sta chiudendo. Ti troverò, lo prometto».
La luce dentro le pareti pulsa e ondeggia. Per un istante si concentra come in una pozzanghera accanto al corpo di Cameron. Poi svanisce, e sulla stanza cade una pesante immobilità. Juaquo fissa Cameron. Cameron fissa Barry. E Barry preme la fronte contro il pavimento e mugola sommessamente la parola ‘no’, ancora e ancora.
Infine, Juaquo parla.
«Ragazzi, ne ho passate parecchie stasera. Una barca rubata. Giocatori di baseball fantasma. K-pop. Ho scoperto che il mio migliore amico è una specie di uomo che sussurra ai computer e può parlare con un’aspirapolvere, e che per giunta frequenta la figlia di Barry il Suonato, la quale è invisibile e vive in un muro…» Scuote la testa. «Cos’è che mi sfugge? Qualcuno parli!»
Cameron guarda Juaquo. «Non ho capito. Invisibile? Ma se era qui. L’ho vista».
Il vecchio guarda Cameron con un’espressione simile alla pietà. «Povero ragazzo, davvero non capisci. L’hai liberata. L’hai scatenata».
«Ma dov’è?» chiede Cameron, con tono sempre più acuto. «Dov’è Nia?»
L’Inventore allunga le mani di fronte a sé, con i palmi rivolti verso l’alto, il gesto universale per mostrare impotenza.
«Dov’è?» dice. «È dappertutto».