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MESSAGGI CONTRASTANTI
La caffetteria è il posto ideale: alla metà esatta di una strada alberata nella zona più elegante di Ohio City, lontana dalla confusione e dalla folla del mercato all’aperto, che si trova a pochi isolati di distanza. All’interno è tranquilla e accogliente, l’assalto del mattino è terminato da tempo, e la folla dell’ora di pranzo non è ancora arrivata. Cameron si avvicina al bancone lucido e fa un sorrisetto al barista con il grembiule nero, che nel notarlo pare innervosirsi. Sa che probabilmente sembra un idiota, ma non può farci niente. Dopotutto, sta per superare uno dei confini più importanti dell’esistenza umana.
Oggi, per la prima volta nella sua lunga vita da single, offrirà un caffè a una ragazza.
«Un red-eye grande e un latte primavera rosa» dice, poi si sporge per aggiungere: «Per la mia amica, ovviamente». Sposta gli occhi su Nia, che sta appollaiata sul bracciolo di una sedia imbottita vicino alla porta. Lei ricambia il suo sguardo e inclina leggermente la testa, come per chiedergli come mai ci stia mettendo tanto.
Il barista lancia un’occhiata in direzione di Nia, poi torna a guardare storto Cameron.
«Non mi interessa per chi è, amico» dice. «Fanno nove dollari e ottantotto».
Cameron gli dà lo stesso una mancia. Niente può rovinare il suo buon umore, oggi. Lui e Nia hanno un appuntamento. Non è un incontro casuale, è un vero e proprio appuntamento, di quelli che si organizzano in anticipo. Il suo messaggio aveva illuminato lo schermo del telefono proprio mentre scendeva dall’autobus di fronte al City Center High, un’altra tappa significativa, sebbene non altrettanto entusiasmante: quel giorno aveva dato l’ultimo dei suoi esami, dunque la sua carriera scolastica era giunta al termine mancava solo la salita sul palco, durante la cerimonia dei diplomi.
Mio padre lavora tutto il giorno, diceva il messaggio di Nia. Ci vediamo? Da Spiffy Bean alle undici.
Per farcela in tempo avrebbe dovuto battere un record di velocità di consegna per il suo test di fisica, ma ne valeva la pena? Diavolo, certo che sì.
La sua determinazione nel sentirsi al settimo cielo dura il tempo di avvicinarsi a lei con la tazza in mano, una tazza decorata in modo stravagante, con una torre altissima di panna montata rosa, chiazzata da piccoli cristalli di zucchero dello stesso colore.
«Ecco qua» le dice, ma invece di prendere la tazza con l’atteso squittio di delizia, Nia si ritrae con un’espressione lievemente angosciata sul volto.
«Oh, Cameron, mi dispiace» sussurra. «Non bevo caffè».
La mano di Cameron si ferma bruscamente a mezz’aria e la torre di panna montata vacilla in modo pericolosissimo, minacciando di crollare.
«No? Ma… allora perché hai voluto che ci vedessimo in una caffetteria?»
Le sopracciglia di Nia si uniscono in un’espressione preoccupata. Si guarda intorno nervosamente. «Non dovevo? Pensavo che questo fosse il luogo in cui si incontrano tutti».
«Sì. Per bere caffè» dice Cameron ridendo, ma Nia non sorride neanche. Oh, Dio, sto rovinando tutto, pensa disperato, e a quel punto si rende conto che la sua umiliazione ha un pubblico. Il barista li sta fissando, senza far niente per nasconderlo. Cameron si infila il caffè nell’incavo del braccio e afferra la porta, spalancandola. «Vieni, parliamo fuori».
Nia dev’essere imbarazzata quanto lui, perché corre letteralmente fuori.
* * *
La sua espressione rimane cupa quando iniziano a camminare, le braccia conserte attaccate al petto. Cameron pensa di prenderle la mano e rivolgerle una drammatica richiesta di perdono: Mi dispiace di averti preso il caffè più ridicolo del mondo, per favore non odiarmi, ma ha entrambe le mani occupate dal caffè.
«Ehi, Nia, errore mio. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto perché, sai, avevi chiesto di vedermi lì. E poi, alla maggior parte delle ragazze piace questa bevanda».
Mentre lo dice, gli viene in mente che potrebbe anche non essere vero: in effetti, non sa con certezza se le settantasette ragazze che hanno pubblicato sui social le foto del latte rosa lo abbiano anche bevuto, o se lo hanno ordinato solo perché appare carino in foto. In ogni caso, Nia non lo vuole. In realtà, si limita a guardarlo accigliata.
«Be’, non lo voglio» dice.
«Ehi, va bene così. Ne potrò bere di più io, no? Ho sempre voluto provare uno di questi» dice Cameron, mentendo della grossa. Prende un sorso dal bicchiere rosa: ha il sapore di un marshmallow avvolto in un bozzolo di zucchero filato e affogato in un gabinetto colmo di tè annacquato. Le sopracciglia di Nia si arcuano verso il cielo.
«Com’è?»
«Mi scuso sinceramente» dice Cameron, «per aver pensato che avresti voluto bere questa roba».
«Ma piace a tutte le ragazze» dice lei, e ora è davvero accigliata. «L’hai detto tu».
«Che cosa?»
«Tipo a quelle ragazze con cui hai visto il film. A Emma Marston, forse».
«Emma Mar-chi?» Cameron si blocca, prendendo a fissarla. «Un momento, Nia. Sei arrabbiata per… per cosa, per il film?»
Capisce di aver fatto una domanda stupida. Certo che è arrabbiata per il film, e lui l’ha dimenticato perché era troppo felice di vederla, anche se è successo solo ieri sera. Dopo la fantastica settimana nella quale hanno portato a termine l’Operazione Giustizia Cosmica, tutto quello che Cameron voleva era presentare Nia ai suoi amici: Juaquo, in particolare, insisteva sempre più spesso per conoscerla, e un’uscita di gruppo al cinema per vedere il nuovo film di supereroi campione di incassi sembrava il modo perfetto per rompere il ghiaccio. E per farlo sembrare un incontro causale. Persino la dottoressa Kapur, che lo metteva sempre in guardia sul fatto che trascurava gli amici e la famiglia per trascorrere il suo tempo online con Nia, aveva dato l’impressione di approvare la scelta. Ma quando il giorno prima aveva detto a Nia che alcuni amici li avrebbero raggiunti, lei all’improvviso aveva scritto che non poteva uscire più e si era disconnessa.
Cameron aveva cercato di non dare troppo peso alla cosa, soprattutto perché lei non aveva tirato fuori l’argomento, nella loro discussione successiva. Ma forse avrebbe dovuto. Forse Nia si comportava come chi dice che tutto va bene ma intende l’esatto opposto, anche se in realtà non l’aveva mai fatto prima. E con quei biglietti già comprati e solo un paio d’ore rimanenti prima dell’inizio dello spettacolo cosa poteva fare? Quindi l’appuntamento di gruppo era diventato una normale serata con Juaquo e alcuni compagni di scuola. E sì, alcuni tra loro erano ragazze… e sì, avevano postato la foto della serata, e Nia l’aveva vista.
Ma era stata lei a non voler venire. Non aveva senso la sua incazzatura. A meno che…
«Un momento» le dice. «Sei gelosa?»
La domanda gli viene fuori con un tono troppo allegro, e Cameron si sente improvvisamente stupido: che genere di idiota chiede a qualcuno se è geloso, un’emozione che nessuna persona sana di mente ammetterebbe di provare? Solo…
«Sì!» dice Nia, con gli occhi che si illuminano. «Gelosa! È proprio così che mi sento».
La mascella di Cameron gli cade fino alle ginocchia.
Nia sembra confondere la sua sorpresa con l’incomprensione. «Non capisci? Ero così felice quando me l’hai chiesto. Così emozionata al pensiero di andare a vedere un film con te! Ma poi non ho potuto, e quelle ragazze, Emma e Amber, invece, si sono potute godere un’esperienza che a me era negata. E per questo sono gelosa!»
Cameron non riesce a impedirselo: sorride. Fa un gigantesco, sdolcinato sorriso traditore. Nel suo stomaco sente qualcuno che balla il tip tap. È gelosa, pensa, e le due parole gli ronzano nella testa come un mantra miracoloso. Gelosa! È la cosa più pazzesca del mondo!
«Be’, mi dispiace. Non pensavo che fossi tipo da gelosie» dice alla fine.
«Neanche io» dice Nia, con un tono sorprendentemente allegro. «Non mi sono mai sentita così, prima».
* * *
Il semplice fatto di esprimere i suoi sentimenti ad alta voce sembra aver alleviato l’infelicità di Nia, e così prendono a parlare in modo più naturale mentre vagano per la città, e il quartiere commerciale svanisce dietro di loro. Davanti a loro, a una fermata dell’autobus, è esposto un poster che pubblicizza il grande evento del mese prossimo presso L’I-X Center, fuori città. ‘HACKERA TE STESSO’, c’è scritto, e Nia lo indica.
«Che roba è?»
«Bodyhacking» dice Cameron, sogghignando. «Arti bionici, tatuaggi smart, microchip ingestibili e realtà aumentata. I confini tra uomo e macchina sfumano. Sarò sincero: questa è proprio roba per me. Ehi, e anche per te: dai un’occhiata, si fa sport virtuale. La tua aviatrice killer potrebbe uccidere altra gente, tanto per cambiare».
Gli occhi di Nia si spalancano. «Che cosa? Ma è fantastico!»
«Ci vuoi andare?» le chiede Cameron. «È sold out da una vita, ma io sono una specie di celebrità locale. Forse basteranno un paio di telefonate per avere due biglietti».
«Mi piacerebbe». Sembra avere un’aria malinconica, e lo guarda timidamente. «Mi piacerebbe andarci con te. Vorrei… vorrei stare più tempo con te».
«Be’, ehi» dice Cameron, arrossendo di piacere. «Anche io».
Nia è pensierosa. «È dura essere soli, no? E sono tante le persone che si sentono così. Anche quando sono nello stesso posto, è come se fossero disconnesse. Tipo quelli». Indica una coppia che passa, camminando in silenzio, ognuno con gli occhi sul proprio cellulare. «Sono entrambi da qualche altra parte, con la testa. Non sono vicini, non cercano di capirsi a vicenda». Fa una pausa, sospirando. «Non sarebbe bello se le persone potessero semplicemente collegarsi in modo diretto? Cervello con cervello, e tutti sarebbero nello stesso posto». Cameron fa una smorfia e ridacchia.
«Non hai visto Matrix, vero?»
«No. Che cos’è?»
«Un film. O forse sarebbe meglio dire una trilogia. Fanno qualcosa di simile a quello di cui parli».
Il volto di Nia si illumina. «Davvero? E che succede?»
«Uh» dice Cameron. «Non voglio fare spoiler, ma le cose non finiscono bene».
Lei aggrotta le sopracciglia. «E perché?»
«Perché le macchine senzienti prendono tutte le persone collegate e fanno loro il lavaggio del cervello, usandole come fonti di energia».
Nia fa uno strilletto e Cameron ride.
«Ma è terribile» dice lei. «Questa non era affatto la mia idea».
«Be’, certo che no. Perché tu non sei un robot malvagio che vuole schiavizzare l’umanità. Ma hai ragione. Le persone sono disconnesse. Questa è l’ironia di Internet: si supponeva che dovesse porre fine a tutto questo, e invece l’ha alimentato».
Cameron scuote la testa, pensando alle cose orribili che vede ogni volta che apre la mente e si tuffa nel cyberspazio. «Sono tutti murati dietro ai loro schermi. Soli, anonimi, e quando le persone sentono di avere l’anonimato garantito smettono di comportarsi come persone. Smettono di trattare gli altri come persone. Chiunque non sia uguale a loro non veramente umano: chi non appartiene alla loro tribù è considerato malvagio e dev’essere distrutto».
«La loro tribù». Nia si acciglia.
«È una cazzata» dice Cameron. «Sono un mucchio di linee tracciate a caso sulla sabbia. Peccato che non possiamo cancellarle».
«Non c’è nessuna tribù» riflette Nia.
«Oppure ce n’è una sola» risponde lui. «Siamo tutti umani. Se solo se lo ricordassero…» Si interrompe, scuotendo la testa. «Non lo so. Forse è impossibile. E forse esiste un compromesso. Le persone sole sanno essere molto creative, sai? A volte fanno cose belle».
Cameron si concentra, usando le lenti per proiettare una nuvola di farfalle colorate intorno alla testa di Nia, poi sincronizza la clip con il suo cellulare e gliela invia. Nia sussulta leggermente, ficca la mano in tasca e tira fuori il cellulare, facendo un largo sorriso quando vede quello che ha creato Cameron.
«L’hai fatto tu. Mi piacerebbe vivere in un mondo come questo».
* * *
Un mondo come questo. Le parole sono semi che affondano nel suo cervello, mentre cammina con lei, e un silenzio di intesa cade su di loro. Finché il piede di Cameron comincia a dolere, e lui alza lo sguardo e si accorge che si stanno avvicinando a una vista familiare: le sagome trascurate e massicce delle grandi dimore che nessuno vuole salvare, che stanno lì da un tempo indefinito e prima o poi si trasformeranno in rovine. Senza volerlo, ha cominciato a seguire a ritroso il suo percorso dal giorno dell’incidente. E mentre guarda quelle case vuote, reliquie di un’altra epoca, il seme fiorisce in un’idea.
«Ehi» dice Cameron, fermandosi. «E se costruissimo un mondo? Uno dove possiamo vederci ogni volta che vogliamo, almeno finché tuo padre non deciderà di alleggerire un po’ le sue regole».
«Costruirlo?» chiede Nia. «E come?»
«Non è neanche necessario costruirlo da zero. Sarebbe più come… una ristrutturazione». Cameron indica le lenti che ha agli occhi, con il telefono in mano. «Avevi ragione. Prima non riuscivo a entrare in Oz, ma ora sì. Possiamo farcela. Potremmo trasformare le rovine in qualcosa di grande».
«Solo per noi?» dice Nia. «Oh, mi piace. Sarebbe come quello che hanno nei film: una specie di circolo».
«Un quartier generale»
«Una tana sotterranea» dice lei ridacchiando.
«Questo è lo spirito giusto» dice Cameron. «E sarà un posto sicuro, il che è positivo, perché dobbiamo fare un brainstorming su chi dovrebbe essere il nostro prossimo obiettivo nell’operazione Giustizia Cosmica».
Nia batte le mani. «No, non serve. Ho già in mente qualcuno».
Cameron alza le sopracciglia. «Chi?»
«Non credo abbiano un nome» dice lei, accigliandosi. «Non si tratta di una persona. È più un’entità o una macchina malvagia, come quelle di cui parlavi tu. Ti ricordi tutti quei siti fasulli che si sono oscurati non appena Daggett Smith è scomparso? C’è un collegamento. Qualcosa di grosso. Sto frugando tra i miei dati nei social, è c’è una canaglia di algoritmo che appare sempre. Qualcuno sta manipolando quello che vediamo sui social, giocando con i pregiudizi delle persone, facendo piovere enormi quantità di dati. Non so perché stiano utilizzando quell’algoritmo, ma…»
Nia continua a parlare, ma Cameron l’ascolta solo a metà. L’idea di un algoritmo criminale che corra come un fiume sotterraneo alle fondamenta di ogni social network suona come una teoria complottista: sicuramente è il genere di cosa che avrebbe notato subito anche lui. Quando la sua attenzione torna a concentrarsi su Nia, scopre che lei gli sta sorridendo.
«Non sembri molto convinto» dice.
«È solo che non l’ho visto di persona» risponde Cameron.
«Forse devi guardarlo con occhi nuovi». Il tono di Nia è scherzoso.
«Lo farò. Ma se è come dici tu…»
«Sì?»
«Non sarà facile».
«Non dirmi che hai paura di affrontare una sfida».
Cameron sorride. «Certo che no. Sono con te. Di qualunque cosa si tratti, la butteremo giù».
Si voltano all’unisono e tornano indietro da dove sono venuti. Una brezza leggera si leva dal lago, e il sole è caldo e luminoso. Cameron se ne lascia inondare. Un pomeriggio di prima estate, una passeggiata con una bellissima ragazza; a volte pensa che il mondo vero non sia poi così male. La fermata che hanno superato poco prima appare davanti a loro, e un autobus sta accostando proprio in quell’istante. Nia lo indica, accelerando il passo.
«Dovrei andare» dice, ma ha un’esitazione. «Posso farti una domanda, prima?»
«Certo» risponde Cameron. L’autobus accosta al marciapiede e spalanca le porte.
«Questo mondo che creeremo, soltanto per noi due». Nia si interrompe, mordendosi il labbro. «Non ci sarà posto proprio per nessun altro?»
«Come sarebbe? Vuoi invitare qualcuno?» dice Cameron. Ora è lui a sentirsi geloso… ma solo per un istante. Nia sgrana gli occhi, prima di rispondere.
«Nella nostra realtà virtuale potrebbe esserci posto per un… cane?»
Cameron scoppia a ridere. «Sì, Nia. Per un cane c’è posto».
Nia solleva il pollice prima di voltarsi e saltare a bordo dell’autobus in attesa. Cameron la saluta con la mano e l’autista gli fa un cenno.
«Vuoi salire anche tu, giovanotto?»
«No, vado in centro» dice Cameron, senza smettere di sorridere. Saluta di nuovo Nia, scorgendo il suo volto pallido dietro il finestrino. L’autista alza gli occhi al cielo e brontola qualcosa, ma Cameron quasi non se ne accorge. È pieno di aspettative e di possibilità da concretizzare, e ha un intero pomeriggio di sole e una bella passeggiata per ragionarci sopra.
* * *
Alcune ore più tardi Cameron è seduto nel buio del seminterrato, con le dita che volano sulla tastiera mentre il suo cervello conversa con il software, cercando di cogliere la presenza dell’algoritmo che, secondo Nia, è nascosto da qualche parte. Se corrisponde alla descrizione che gliene ha fatto, Cameron non riesce a immaginare come la ragazza abbia potuto trovarlo. Dovrebbe essere stato progettato per passare inosservato e apparire organico al sistema; cercarlo sarebbe come fissare un torrente e cercare di cogliere un’unica increspatura anonima sulla superficie.
Forse devi guardarlo con occhi nuovi, ha detto Nia. Ma a Cameron non servono occhi nuovi. Ha bisogno di una nuova prospettiva, invece. La prospettiva di Nia. La conosce abbastanza bene per sapere che vede le cose in modo diverso rispetto agli altri. Anzi, non le vede in modo diverso: le vede meglio. Nia è in grado di scavare anche quando i dati sembrano impenetrabili, o di cogliere un disegno all’interno di un mare di informazioni che a Cameron sembrano solo rumore.
Un disegno, pensa. Nel suo cervello, qualcosa si muove, e il cuore prende a battergli più forte.
Sto guardando le cose troppo da vicino.
E quando si concentra, cercando di osservare la rete come fa lei, zumando per vedere sempre più cose mentre si tuffa in profondità nel codice, annaspa in modo evidente. Nella mente di Cameron, il codice viene visualizzato, e si allaccia a ogni rete in modo talmente elegante che nessuno potrebbe notarlo, a meno che non sappia cosa sta cercando. Cameron si chiede di nuovo come abbia fatto Nia a trovarlo: anche ora che sembra brillare di evidenza sotto i suoi occhi, è come un miraggio che scompare se provi a guardarlo in modo troppo diretto. Tracciare le origini di una cosa del genere richiederà tutte le sue capacità, e probabilmente anche quelle di lei.
* * *
Mentre Cameron studia immobile le profondità del web, un’ombra scivola accanto alla finestra del seminterrato e prosegue rapida lungo Walker Row. Non sente che lei lo sta osservando, proprio come non l’ha notata durante tutta la settimana, mentre passava di fronte a casa sua al mattino presto, mentre lo seguiva quando andava a scuola, mentre era seduta qualche posto dietro di lui nell’autobus in città, o attendeva sul marciapiede opposto allo studio della dottoressa Kapur, durante l’appuntamento del lunedì. Nonostante tutte le sue capacità intuitive e i suoi poteri, Cameron Ackerson non ha il minimo sentore di essere diventato una preda.