1

COLPITO DA UN FULMINE

Cameron sputa l’acqua del lago e afferra la battagliola di legno della barca con la mano dolorante.

Sto per morire.

Non è mai stato più certo di qualcosa in tutta la sua vita. Sta per succedere, pensa. Sto per morire. Non nel modo gotico ed esistenziale delle poesie più ampollose, tipo ‘Ero lì, sul palcoscenico della vita quando vidi la morte, la mia amante dagli occhi scuri, che dall’ultima fila mi mostrava il dito medio’, ma nel senso letterale: sta per accadere qualcosa che fermerà i battiti del mio cuore tra tre, oh, diciamo cinque minuti.

Tutto ciò che ha imparato finora, ogni precauzione che gli sia stata insegnata, in quel momento è inutile. Ha affrontato il brutto tempo altre volte, ma ora non è questione di meteo. È una follia. O magia. Una tempesta che proviene dal nulla, che si è semplicemente materializzata senza alcuna avvisaglia, quando pochi istanti prima il cielo era di un azzurro intenso e privo di nuvole. Sembra che Thor stia facendo una sfuriata in piena regola da qualche parte sopra di lui, urlando in una coppa di idromele e usando Mjolnir per giocare ad Acchiappa la Talpa, o Acchiappa Quello che Hanno ad Asgard. Cameron è inzuppato dagli spruzzi del lago agitato, ma non c’è pioggia, solo una nebbia umida, così fitta che non sa più in che direzione stia puntando la barca. I capelli ricci e folti appesantiti dall’acqua non aiutano, ma spostarseli dalla faccia è inutile. Da qualche parte nelle profondità della sua mente si rende conto di quanto debba apparire patetico: un nerd senza muscoli con mani e piedi grandi, il naso all’insù che spunta da sotto un casco di capelli che lo fa assomigliare a un barboncino bagnato.

* * *

È tutto molto diverso da quello che aveva immaginato nel salpare, emozionato e pieno di speranze, e il vento era una brezza rinfrescante sul viso e non un assalto gelido sul suo corpo tremante e fradicio. In quel momento provava solo esaltazione. Aveva navigato dritto nella tempesta incombente con un’audacia che rasentava la pazzia: il sangue era un cocktail infuocato di adrenalina e testosterone, e già immaginava i commenti entusiasti che si sarebbero susseguiti sotto il suo video con milioni, no, miliardi di visualizzazioni. Sarebbe diventato famoso, tutti i talk show e i pod-
cast gli avrebbero chiesto interviste, tutti, da Joe Rogan a quel tizio del Tonight Show, avrebbero domandato a gran voce di ascoltare la sua storia, e lui avrebbe detto qualcosa del tipo: ‘Gli altri avevano troppa paura di cercare la verità, ma io sapevo che era lì fuori’.

Le cose non stavano proprio così, ovviamente. La gente non era spaventata: semplicemente, non era interessata. Era convinta che le storie sul lago fossero un mucchio di assurdità, favole moderne su navi fantasma, burrasche improvvise, una formazione rocciosa subacquea a trenta metri di profondità che sembrava costruita dall’uomo. A differenza di altre leggende locali però, queste storie risalivano a pochi decenni prima. C’erano persone che si erano perse sul lago alla luce del sole per ritrovarsi diversi giorni dopo in Canada, quando la corrente avrebbe dovuto spingerle nella direzione opposta. Un uomo era stato rinvenuto a diverse miglia dalla riva un pomeriggio d’estate, aggrappato ai rottami della sua barca, che a sentir lui era stata distrutta nella collisione con un oggetto invisibile. E le burrasche… tutti erano convinti che fossero semplici fenomeni atmosferici, e che qualsiasi attributo bizzarro fosse un’esagerazione, chiacchiere di navigatori inesperti, troppo imbarazzati per ammettere di essere salpati senza controllare il meteo e di aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma Cameron sapeva che c’era ben altro, dietro quelle tempeste. Ne era stata segnalata una anche la notte in cui suo padre era scomparso, e William Ackerson era un vero esperto, quando si trattava di navigazione. Non avrebbe mai commesso un errore così sciocco.

E adesso Cameron ha le prove. Registrate. In quei primi istanti, mentre in cielo crepitava un fulmine che non somigliava a niente che avesse mai visto prima, aveva sollevato un pugno e lanciato un urlo.

Questo accadeva prima che l’orizzonte scomparisse e la barca cominciasse a inclinarsi, colpita da onde sempre più grosse che minacciavano di farlo cadere nell’acqua gelida. Non sa bene da quanto tempo è intrappolato in quella tempesta, potrebbero essere trascorsi anche solo dieci minuti, ma sa che è sempre più feroce, più violenta ogni secondo che passa. Il cielo blu e il sole caldo di un’ora prima sono solo il ricordo di un mondo lontano, e il lago, che per lui era una seconda casa, sembra ora appartenere a un altro pianeta. Si aspetta quasi che una bestia ultraterrena schizzi fuori dall’acqua in un ammasso di tentacoli e denti.

Poi, un lampo, il più vicino finora, e un tuono squarciano l’aria con così tanta forza da rimbombare nel petto di Cameron come un secondo battito in gara con quello del suo cuore. E ora i fulmini arrivano velocissimi, uno dopo l’altro, uscendo dalla massa di nuvole sopra la sua testa per poi toccare la superficie del lago. Cameron giurerebbe però che alcuni di essi non provengano affatto dall’alto, ma si sollevino dall’acqua del lago in segno di sfida nei confronti di ogni legge della natura.

* * *

Ed è allora che il caos nella sua testa si apre in due per far emergere tre semplici parole.

Sto per morire.

E non è una cosa buona, su questo non c’è dubbio. È una cosa molto, molto brutta.

Ma non è la cosa peggiore. La cosa peggiore è che essere colpiti da un fulmine, nel bel mezzo del lago Erie, durante un live stream su Internet renderà il video così virale che nessun essere umano vivente potrà evitare di vederlo. Avrà un miliardo di visualizzazioni, poco ma sicuro. Lo renderà famoso. Cameron Ackerson, il sedicente pirata avventuroso di Cleveland con sedici iscritti al suo canale YouTube, verrà catapultato dall’anonimato alla celebrità nel momento in cui il filmato sarà in rete… e sarà troppo morto per godere del successo. In realtà, sarà peggio che morto: sarà morto stupidamente. Gli consegneranno un Darwin Award postumo e un soprannome umiliante come L’Ammiraglio Coglione, o L’Inutile Marinaio, oppure Il Temibile Pirata Imbecille, Esploratore mezza calzetta dei Laghi. I titoli clickbait si scriveranno da soli: ‘Il ragazzo idiota che è stato fritto da un fulmine. Non crederai ai tuoi occhi!’ Qualcuno creerà un remix dei suoi ultimi momenti sulla Terra e userà come colonna sonora un terribile brano techno, e questa sarà la sua eredità. E i commenti, oh, Dio, i commenti.

* * *

Deve sopravvivere a tutto questo, se non altro per evitare che il suo cadavere digitale venga fatto a pezzi da quei trogloditi smanettoni e musoni altrimenti noti come commentatori. E quando otterrà tutti quei subscriber e quegli sponsor, e potrà finalmente ribattere ‘te l’avevo detto’ a tutti i troll che spuntano sempre per mettere Non mi piace ai suoi video, e insultarlo… be’, quello sarà solo un piacevole bonus.

Un lieve bagliore a sinistra della barca e il rombo sordo del tuono gli dicono che il fulmine ha colpito di nuovo, ma questa volta non così vicino. Per un momento osa immaginare che la tempesta stia passando, o che forse si stia allontanando. Abbassa la visiera da navigatore, sperando contro ogni evidenza che gli mostrerà qualcosa di utile, o almeno di rassicurante. La visiera l’ha creata lui, è un sistema di realtà aumentata che analizza la posizione sul lago, le condizioni meteorologiche, la direzione del vento sopra e delle correnti sotto. Ha sempre funzionato solo a tratti – Cameron non ha né il genio né le risorse per programmare il sistema in modo che funzioni davvero – ma ora gli dice qualcosa di utile, e ciò che vede gli fa rivoltare lo stomaco. La maggior parte dei dati è criptata sotto una barra di errore lampeggiante su cui c’è scritto ATTIVITÀ ELETTRICA ANOMALA, che è il modo in cui il sistema lo informa educatamente di non sapere cosa stia succedendo. Qualsiasi cosa sia, comunque, è decisamente strana. L’unico flusso di dati che riesce ancora a leggere senza problemi riguarda la pressione barometrica, che è altissima e si inerpica sempre più in alto, come se lui si trovasse a cento metri di profondità invece di navigare sulla superficie del lago. Cameron deglutisce, e sente subito uno scricchiolio nelle orecchie. Altro che essere colpito da un fulmine: avrà un malore da decompressione e morirà seduto su quella barca con il sangue pieno di bolle di azoto. Il lato positivo è che tutto questo renderebbe la situazione più strana che stupida. Meno premi Darwin, più X-Files.

* * *

Distratto da quei pensieri, non si accorge dell’onda improvvisa che lo sovrasta da sinistra. Colpisce la fiancata della barca, facendola dondolare violentemente, e Cameron tenta di restare in equilibrio ma cade nella carlinga con un tonfo e un grugnito. L’acqua è gelida. Ipotermia! pensa, ricacciando in gola una risata isterica. Esiste qualcosa in questa situazione che non finirà per ucciderlo? Le sue mani sono rosse e doloranti. Cerca di stringerle in un pugno, con una smorfia: fa male, ma non quanto dovrebbe. Sta iniziando a perdere la sensibilità alle dita.

* * *

Si alza la visiera, e stringe gli occhi verso la telecamera montata a prua, con la lente piena di gocce d’acqua. Sta riprendendo? È ancora vivo? Una luce verde ammicca verso di lui da sotto la custodia bagnata. Sì. Per un secondo, Cameron si concede una certa soddisfazione. Non solo perché il sistema che aveva progettato per lo streaming funziona perfettamente, mantenendo la connessione nonostante le massicce interferenze che la tempesta elettromagnetica sta sicuramente provocando: sapere che qualcuno potrebbe vederlo in quel momento lo fa sentire meno solo. Inoltre, si sente coraggioso. Risoluto. Dovrebbe fare una cronaca per il suo pubblico, ma cosa puoi dire in un momento come questo al gruppo di estranei a caso e a una mamma meno a caso che costituiscono la base dei suoi subscriber?

Di fronte alla telecamera, indica il paesaggio con un movimento della mano, mentre nell’altra stringe la drizza. «E insomma, ho trovato la tempesta!» urla, e dentro la sua testa una voce dura gli risponde: Non dire cazzate, cretino. Quelli ci vedono. Cameron rabbrividisce. «Non so dirvi da quanto tempo ci sono, ma è come essere dentro una lavatrice! Non vedo più l’orizzonte, e non riesco… ecco, cioè…»

Il suo balbettio viene soffocato da un tuono potente e da due lampi arcuati, di cui uno proprio davanti agli occhi: gli brucia le retine con la sua immagine residua, una crepa blu intensa e profonda, che taglia in due il suo campo visivo. Cameron serra le labbra. Può bastare. Chiunque stia guardando può capire cosa sta accadendo, vedere ciò che non è possibile descrivere. Dovrebbe parlare di quello che non possono vedere. Di quello che pensa lui, di cosa prova. È così che ci si connette con un pubblico, no? La barca oscilla furiosamente nell’aria muta e pesante. Cameron lascia andare la corda, fa sbattere la vela. Non uscirà vivo da tutto questo. Non ne uscirà e basta. Questa consapevolezza, per qualche strano motivo, lo calma. Il suo destino è nelle mani di forze più grandi di lui. L’unica cosa che può fare è sperare di farcela e, nel frattempo, rendere questo momento significativo per coloro che osserveranno… o no.

* * *

Fa un respiro profondo. Dovrebbe dire qualcosa di eroico. Di epico. Qualcosa di tanto coraggioso da cementare la sua grandiosità, ma anche abbastanza poetico da poter essere utilizzato sulla sua lapide. Qualcosa che suonerà davvero bene pronunciato dalla bocca dell’attore che reciterà nel film dedicato alla sua più grande avventura.

Aiutami, Obi Wan Kenobi.

I Goonies non dicono mai la parola morte. Sono solo un ragazzo, dritto su una barca, che chiede di… essere amato? E DAI, FRATELLO, grida dentro di sé. Smettila di cazzeggiare e di’ qualcosa. Di’ qualcosa!

* * *

Cameron guarda dritto nella telecamera e urla quelle che potrebbero essere le sue ultime parole:

«Mi dispiace, mamma!»

Merda. Ma veramente?

La telecamera trasmette con un lieve ritardo: se avesse più tempo a disposizione, allungherebbe la mano per resettarla e riprovare, per pensare a qualcosa, qualsiasi cosa, che sia appena un po’ meno stupida di Mi dispiace, mamma. Ma tempo non ne ha. Non ci sarà una seconda ripresa. Non ci sarà una seconda possibilità. I peli sottili sul braccio di Cameron si sono rizzati e c’è uno strano odore nell’aria: è in quel momento che il mondo si apre in due con una vampata di fuoco incandescente. Il mondo intorno a lui cessa di esistere. Cameron è dentro il lampo e il lampo è dentro di lui. L’elettricità gli si agita nella pancia e gli scorre nelle vene, cammina sulla sua pelle e striscia lungo la spina dorsale, gli immerge il cervello in un mare infinito di luce. Per un istante, gli sembra di essere senza peso, come la nebbia che non riesce più a sentirsi addosso.

Poi la luce che ha dentro muore, e lui sente tutto in una volta: il tuono che sembra un boato sonico, la carne che si apre in un caldo fragore, il suono distante di qualcuno che urla, accompagnato dalla consapevolezza che quel qualcuno è lui. L’odore nauseante della pelle che brucia gli invade le narici e gli ricopre la lingua: il dolore non somiglia a niente che abbia mai provato prima. L’unica cosa che gli dà sollievo è il fatto che non sarà qui a sopportarne gli strascichi. Mentre precipita sul fondo della barca gli occhi gli si ribaltano, e tutto diventa buio.