Capitolo trentasette

Adam non riuscì a mangiare la zuppa che gli aveva riscaldato, quindi gli preparò un sandwich per il viaggio. «Lo so che adesso non ti va», gli disse, «ma se riesci a mangiane due bocconi tra un po’, giusto per stare in piedi. Guidare a stomaco vuoto, con tutto quello che ti passa per la testa…».

«Andrò piano», rispose lui. «E ti manderò un messaggio. Tieni il telefono con te».

Prese la giacca dal gancio e Rowan intravide quella di lana scura che si era messa per andare al fiume. Mentre lui si infilava la sciarpa, sentirono dei passi sul vialetto e, pochi secondi dopo, nella porta a vetri comparve una sagoma. Quando suonò il campanello, Adam la guardò.

«Aspetti qualcuno?».

Scosse la testa. «No».

Un’unica sagoma bassa: non potevano essere i poliziotti, né gli uomini robusti che si erano presentati alla porta nelle ultime due settimane. Quando Adam aprì, Rowan scorse invece una donna con un parka blu navy, jeans aderenti e tacchi alti. Per un folle attimo, pensò che fosse Bryony, ma ovviamente era impossibile: era in arresto.

Anche questa donna era bionda, ma con i capelli ricci e corti. Il sole freddo del pomeriggio alle sue spalle le creava un alone intorno alle tempie e, d’un tratto, incredibilmente, a Rowan parve di rivedere Lorna il giorno della festa.

«Signor Glass?».

Aveva una voce più dolce rispetto a quanto lasciava presupporre il suo abbigliamento, con un lieve accento dello Yorkshire. Sulla difensiva, Rowan notò anche che era carina, con gli occhiali dalla montatura blu sul naso punteggiato di lentiggini e i residui di un’abbronzatura che lasciava intendere una vacanza sulla neve a Natale.

«Sì», rispose Adam, cauto. «Posso aiutarla?»

«Salve. Mi chiamo Georgina Parry e lavoro per il “Mail”. Volevo farle qualche domanda su Michael Cory».

Rowan fu avviluppata dalla paura e, come se fosse caduta sott’acqua, si ritrovò a faticare per respirare. L’ingresso ondeggiava davanti ai suoi occhi.

Mezz’ora prima, mentre lei era in cucina, Adam aveva risposto al telefono di casa. La chiamata era durata meno di un minuto e lei non era riuscita a sentire che cosa lui avesse detto prima di riagganciare. Poi però era subito sceso di sotto, con la mascella tesa. «Hanno cominciato».

«Chi?»

«I giornali l’hanno saputo. Era un reporter del “Telegraph”».

«Che cosa?». L’aveva fissato. Con tutto quello che era successo, con la polizia, si era scordata dei media. Ma, d’altra parte, era la famiglia Glass. «Che cosa voleva?», chiese. «Che cosa ti ha chiesto?»

«Voleva sapere del legame tra Michael e Marianne. Ha usato il termine “relazione”, ma non so se intendesse…». Aveva scosso la testa. «È troppo. Dobbiamo davvero passarci di nuovo? Adesso, così presto? Non so se la mamma riuscirà a sopportarlo… e neanche Fint». L’aveva guardata. «Hai visto quello che è successo al funerale, con il fotografo?».

Le tornò in mente quando poi si era avvicinata a quell’uomo in macchina davanti casa, nel tentativo di comprare le foto. Gli aveva dato dell’avvoltoio.

«Mi dispiace», disse ora Adam alla donna. «So che è morto, purtroppo, ma temo di non sapere altro. Dovrebbe parlare con la polizia, io…».

«Teme che ci sia un legame tra la sua morte e quella di sua sorella?».

Dietro di lui, Rowan lo vide irrigidirsi. «Come le ho detto, dovrebbe…».

«Ho visto le foto del funerale, quindi so che si conoscevano. Deve pur esserci un nesso, giusto? Tutti e due artisti, tutti e due qui… A Oxford, intendo. E sono morti a distanza così ravvicinata, questione di settimane, no?»

«La prego», insistette Adam e Rowan capì subito quanto gli costasse mantenere la calma. «So che questo è il suo lavoro, ma Marianne era mia sorella. Non sappiamo niente sulla morte di Cory. Niente di niente. Quindi la prego, ci… ci lasci vivere il nostro dolore in pace».

Imperterrita, la donna aprì di nuovo la bocca. «Allora sa dirmi qualcosa su Cory come uomo? Era controverso, no, con la storia di Hanna Ferrara, La donna che ha tutto

«Se cerca informazioni sulla sua carriera, dovrebbe parlare con il suo gallerista». Adam fece una breve pausa. «Quello americano, intendo. Saul Hander».

Con un gesto calmo ma deciso le chiuse la porta in faccia.

«Se succede qualcosa, Ro, chiamami subito».

«Certo». Riempì le narici con il suo profumo che sapeva di legno e si staccò da lui. «Adam, puoi dire a tua madre che mi dispiace? Che la penso tanto e le mando tutto il mio affetto?»

«Cercherai di lavorare?»

«Non lo so. No», ammise, «probabilmente no. Volevo, ma adesso…». Lanciò un’occhiata alla porta d’ingresso. Avevano atteso una decina di minuti nella speranza che la donna se ne andasse ma, guardando dalla finestra della stanza di Seb e Jacqueline, avevano visto Georgina Parry attaccata al cellulare su un’auto nera parcheggiata dall’altro lato della strada.

«L’idea di starmene qui seduta e che lei possa ripresentarsi alla porta. O che suoni il telefono. Se per te va bene, che lasci la casa incustodita, intendo, andrei a fare una passeggiata o a prendere un caffè, per camminare un po’ e distrarre la mente. Theo ha il mio numero quindi, se dovesse saltar fuori qualcosa, posso sempre rientrare».

«Sei già pronta per uscire?», le chiese.

«Mi mancano le scarpe e la borsa».

«Allora vieni con me. Ti lascio da qualche parte». Lanciò un’occhiata alla porta. «Non devi affrontare da sola quel fuoco di fila».