Capitolo trentatré
Nonostante il sibilo dell’acqua nel piatto della doccia, Rowan sentì il campanello e si irrigidì all’istante. «Vado io», gridò Adam sul pianerottolo e scese di corsa le scale. Aveva ancora lo shampoo nei capelli, ma chiuse l’acqua e aprì la porta del box doccia. Sperava fosse Bryony, venuta a riprendere il cellulare, ma quando riuscì a distinguere le voci, ne sentì una profonda. Maschile. Si avvolse in un telo, attraversò con cautela la stanza e abbassò la maniglia della porta, con una folata di aria fredda che le fece rizzare i peli sulle braccia.
«Le dispiace se entriamo?».
La voce risuonò fino in cima alle scale e Rowan chiuse gli occhi. Conosceva quell’affabile tono borghese con l’inflessione di Ironbridge. Theo. Fu travolta da un’ondata di panico, sentì un gran caldo e subito dopo un gran freddo, una mano che le agguantava il cuore e glielo stringeva.
La porta si richiuse e le voci si fecero sommesse mentre Adam portava Theo in salotto. Rowan aveva il cuore a mille ormai, con i battiti che si susseguivano con una premura eccessiva. Pensò alla madre, all’infarto che aveva avuto a ventotto anni. Per un attimo rimase paralizzata dalla paura, poi rimise il telo sul gancio e riaprì l’acqua. Si sciacquò i capelli alla bell’e meglio, li asciugò e si vestì a tempo record.
In cima alle scale, si fermò ad ascoltare, ma le parole che giungevano dal salotto erano così attutite da risultare incomprensibili. Scese piano, con il cuore ancora al galoppo. Come se la stesse aspettando, Adam la chiamò quasi subito e lei riuscì a malapena a trattenere un gridolino di allarme.
Theo sedeva sul divano, nello stesso posto occupato da Jacqueline il giorno della morte di Seb e, quando entrò nella stanza, Rowan vide le emozioni passare sul suo viso solare come le ombre delle nuvole su una parete imbiancata: sorpresa, divertimento, interesse. «Ciao», le disse. «Che piacere rivederti».
Accanto a lui sedeva un uomo mingherlino con una giacca nera. Pareva più giovane di Theo, probabilmente era sui trent’anni, ma forse solo per via della pelle più liscia e dell’assenza di zampe di gallina intorno agli occhi con cui fissava Rowan come se volesse assimilare ogni dettaglio.
«Questo è il sergente Grange», lo presentò Theo. «Rowan Winter».
Adam spostò lo sguardo dall’uno all’altra. «Vi conoscete voi due?»
«Siamo andati all’università insieme», spiegò Rowan.
«Già», confermò Theo. «Giusto». Con un luccichio allusivo negli occhi, osservò prima la maglietta sgualcita di Adam e poi i suoi capelli bagnati. Oh, vaffanculo, avrebbe voluto dirgli, sei tu quello sposato, che cavolo.
«Vieni a sederti, Ro». Adam toccò il cuscino accanto a sé e la gentilezza di quel gesto, l’attenzione che sottintendeva, la colpirono come una freccia al petto. «L’ispettore capo…».
«Mi chiami Theo, la prego. Io e Rowan siamo vecchi amici».
Adam annuì, palesemente incerto. «Ci sono brutte notizie, Ro».
«Questa mattina è stato rinvenuto un corpo, Rowan». Theo le puntava gli occhi dritto in faccia. «Non abbiamo ancora la conferma, l’identificazione formale avverrà più tardi, ma crediamo che si tratti di Michael Cory».
Rowan sentì rimbombare il sangue nelle orecchie. «Cory?», si udì dire. Se lo stava forse immaginando, l’interesse con cui lui e l’altro uomo la osservavano? D’un tratto il suo viso le parve alieno, come se non fosse più sotto il suo controllo e potesse tradirla da un momento all’altro.
«L’ha trovato stamattina presto un uomo che portava fuori il cane. Sempre così, eh? Lungo il fiume».
«Dove?»
«Vicino a Iffley». Dal modo in cui Theo sollevò appena un sopracciglio, Rowan capì che la domanda gli era parsa interessante e ne aveva preso nota mentalmente.
Il pavimento si inclinò come il ponte di una nave con il mare grosso. «Che cosa è successo?», domandò, con un certo distacco.
«Al momento non possiamo dirlo».
Non potete o non volete? Che stessero nascondendo delle informazioni, tendendo una trappola?
«Ha una brutta ferita alla testa», intervenne Grange. «Non sappiamo ancora se sia stato un incidente o meno. Dobbiamo aspettare l’autopsia per chiarire la causa della morte. Se fosse ancora vivo quando è caduto in acqua oppure…».
«In quanto agente del signor Cory nel Regno Unito», lo interruppe Theo, «James Greenwood procederà all’identificazione del corpo».
«Gallerista», lo corresse Adam.
«Gallerista, scusi, certo». Theo annuì. «È l’unico contatto inglese che siamo riusciti a trovare online».
«È stato James a dire loro di parlare con noi». Adam strinse una mano a Rowan. «Li ha informati che Marianne e Michael erano amici e che lui doveva ritrarla».
«In realtà», spiegò Theo, «il signor Greenwood ha parlato specificamente di te, Rowan. Sia lui sia il signor Glass dicono che ultimamente passavi del tempo con il signor Cory». Perdonami se mi ero dimenticato quanto fossi integerrima.
Rowan si portò una mano alla bocca e guardò Adam. Aveva gli occhi sgranati e un’espressione seria, ma non aveva colto il sottinteso di Theo.
«Ci siamo visti tre o quattro volte», rispose lei. «Quattro. Dovevamo prendere un caffè ieri…». Guardò di nuovo Adam, come a dire: “Ecco come mai non siamo riusciti a contattarlo. Noi provavamo a chiamarlo e invece per tutto il tempo lui…”. «Mi faceva delle domande su Marianne», disse a Theo. «Su com’era da ragazzina e a vent’anni».
«Parlavate?»
«Sì», confermò, guardandolo negli occhi, «parlavamo».
Il sergente Grange si rivolse a Adam in modo brusco. «Mentre lei non gli aveva ancora parlato, signor Glass? In quanto fratello di Marianne».
«Non ancora». Anche in questo caso, Adam parve non capire la vera domanda. «Forse voleva mostrarsi sensibile, darmi del tempo. Mi ha chiamato mercoledì, nel tardo pomeriggio. Ho ancora il messaggio sul telefono, credo, se vi serve».
«Grazie. Sì».
«Per caso, Rowan», disse Theo, «sai dove alloggiava il signor Cory?».
Con l’occhiata che gli rivolse sperava di mostrargli tutto il suo disprezzo. «Aveva una stanza all’Old Parsonage».
Grange prese nota sul taccuino.
«Il fatto è», proseguì Theo, guardando prima lei e poi Adam, «mi dispiace, ma sono sicuro che ci avrete già pensato… Il fatto che il signor Cory sia morto così poco tempo dopo sua sorella, signor Glass», un breve cenno del capo in segno di rispetto, «solleva degli ovvi dubbi. Due artisti del loro calibro, e pure amici. E sembra che anche il signor Cory sia morto qui a Oxford, anche se ovviamente dobbiamo ancora accertarlo. Viveva a Londra, a quanto ci ha detto il signor Greenwood, quindi…».
«Il caso della morte di Marianne verrà riaperto», disse Adam, stringendole le dita. Rowan fissava Theo che fissava lui.
«Temo di sì», confermò il poliziotto. «Esistono le coincidenze, anche grosse, però questa…». Scosse la testa. «Dobbiamo procedere sulla base del fatto che ci sia un legame».
«Avete idea di quale possa essere?», s’informò Adam.
«No, non ancora. È troppo presto. Il corpo è stato rinvenuto alle sette di questa mattina, quindi siamo ancora agli inizi».
Con un’occhiata alla mensola del caminetto, Rowan vide che erano le undici. Da quando avevano saputo della morte di Cory, i poliziotti ci avevano messo meno di quattro ore per presentarsi alla sua porta.
«Uno di voi due ha per caso qualche idea? Delle osservazioni?», chiese. «Rowan, visto che parlavi con lui…».
Lei scosse la testa, con aria vaga. «No».
«Qualcosa che ti è sembrato strano, o che lo preoccupasse, secondo te, l’ultima volta che l’hai visto?».
Nella mente rivide la sua nuca pelata spaccata in due e piena di sangue, l’espressione nei suoi occhi quando si era voltato. Tu.
«No. No, non mi pare».
«Quando è stato?»
«Ehm…». Si sforzò di riflettere. Erano passati due giorni da quando erano andati al fiume; quando si erano visti prima di allora? Pensa, Rowan, cazzo. Sbrigati. «Martedì», rispose, con voce che le parve risoluta, affidabile. Erano andati dai Johnson, giusto? Avevano incontrato Martin. Le tornò in mente che Sarah Johnson aveva detto che la polizia era andata nei condomini dopo la morte di Marianne e si rese conto che avrebbe dovuto dirlo subito, se non voleva che poi sembrasse sospetto. «In effetti», aggiunse, «quel giorno ha fatto una cosa per me. Un favore».
«Davvero?».
Lanciò un’occhiata a Adam. «Ero un po’ preoccupata», spiegò. «Avevo notato un tizio che di notte osserva la casa dai condomini in Benson Place».
«Non me l’avevi detto». Adam aggrottò la fronte.
«Lo so. Non volevo farti preoccupare. Avevi già abbastanza in ballo. Quando Michael è arrivato quel pomeriggio, gli ho chiesto di venire con me per scoprire chi fosse e che cosa stesse succedendo».
«E?»
«Non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Era Martin Johnson. Lo conosci?»
«Martin?», ripeté Theo. «Sì, lo conosco. È un bravo ragazzo». Si rivolse al sergente Grange. «Gli abbiamo parlato all’epoca. Ha avuto un incidente con la moto qualche anno fa, ha picchiato la testa, ma non è pericoloso. Ha visto il corpo di Marianne in giardino quella mattina». Lanciò a Adam un breve sguardo di scuse.
«Era il suo fan numero uno».
«Non sapevo fossero amici», disse Rowan.
«Era tra le persone che mia sorella aveva preso sotto la sua ala», spiegò lui alla polizia. «Lei era buona, si prendeva cura degli altri. Avevamo sempre paura che un giorno sarebbe incappata in qualcuno di pericoloso, ma non è mai successo, grazie a Dio». Si interruppe. «A meno che…».
«Non saltiamo alle conclusioni», intervenne Theo. «Ovviamente parleremo con Martin. Ma potrebbe comunque risultare che la morte di Marianne sia stata un incidente, e magari anche quella del signor Cory. Cerchiamo di tenere presente questa possibilità fino a quando non scopriremo qualcosa che indichi il contrario».
Adam annuì, con aria cupa.
«Ma, signorina Winter», disse il sergente Grange, «giusto per tornare un attimo a Martin, lei ha detto che guardava la casa?»
«Dalla sua finestra, di notte. Un paio di volte anche di giorno, ma di notte era più facile vederlo, con le luci accese».
«Che cosa pensava che facesse?»
«Non lo so», rispose, incerta. «Di notte, mi ero chiesta se non fosse un guardone».
«Mi perdoni, per unire l’utile al dilettevole», Theo lanciò un’occhiata in direzione di Adam, «ma quando abbiamo bevuto un drink l’altro giorno, Rowan, hai espresso delle… perplessità circa l’idea che Marianne potesse essere scivolata. A meno che io non abbia frainteso».
Adam cambiò posizione accanto a lei e Rowan si sentì il suo sguardo sul viso. Chissà se riusciva a vedere il rossore che si allargava sulle sue guance. «Mi è solo sembrato… strano», disse, più a lui che a Theo. «Con il fatto che soffriva di vertigini. Non parlavamo da molto tempo, come sai, e magari non era più così, non ne ero sicura. Non avevo altro motivo per chiedertelo».
Adam la guardò per un istante, poi tornò a fissare i poliziotti. «Ma lei, Marianne, intendo, era preoccupata che qualcuno potesse essersi introdotto qui in casa».
«Mi ricordo», annuì Theo. «Ricontrolleremo le informazioni a riguardo». Il telefono nella sua tasca vibrò, lui lo prese e controllò rapidamente. «Bene», disse, con un’occhiata al sergente Grange, che si alzò all’istante. «Dobbiamo andare per ora, purtroppo».
Adam li accompagnò alla porta.
«Mi dispiace sottoporla a tutto questo», gli disse Theo. «L’unica cosa che posso prometterle è che, se sta succedendo qualcosa di sconveniente, faremo del nostro meglio per scoprire di che cosa si tratta».
«Grazie».
Forse era paranoica, pensò Rowan, o forse lui non era riuscito a resistere a un ultimo colpo basso ma, nell’uscire, Theo si girò verso di lei e aggiunse: «Ci terremo in contatto».
Quando sentì i loro passi sulle piastrelle del patio, Rowan si prese per un attimo la testa tra le mani. Era fregata. Il panico che la assalì aumentò la tensione al cuore, tanto che riusciva a malapena a respirare.
Non aveva avuto scelta. Se non l’avesse fatto, sarebbe comunque venuto tutto allo scoperto. Ma a Oxford… Forse sarebbe dovuta andare a Londra, occuparsene là? Ma le sarebbero serviti un piano e del tempo che non aveva avuto. Non poteva sapere quanto Cory avesse avuto intenzione di restare, ma immaginava che non se ne sarebbe andato fino a quando non fosse stato soddisfatto e avesse conosciuto la verità su Marianne. Considerando quello che aveva detto Adam la sera prima in macchina, la sua dedizione aveva senso: era innamorato di lei, l’aveva detto lui stesso, e Marianne si stava a sua volta innamorando di lui; Rowan non aveva dubbi che Adam avesse ragione a riguardo. Per forza Cory non aveva creduto che si fosse buttata, visto che tra loro stava nascendo qualcosa.
La luce che filtrava dalla finestra le colpiva le dita, colorandone il contorno rosso sangue. Nel sentire lo scatto della porta e i passi di Adam sulla moquette, Rowan si mise le mani in grembo e si ricompose in viso. «Oddio, Adam». Si alzò e gli andò incontro. Sentì il suo cuore che batteva attraverso la maglietta di cotone e, quando alzò lo sguardo, vide che piangeva.
«Come farò a dirlo alla mamma?», disse.
Rowan chiuse gli occhi per scacciare l’immagine di Jacqueline al funerale.
Adam si asciugò le guance con la mano. «Ro, quello che hai appena detto alla polizia sulle vertigini, lo credi davvero? Era davvero l’unico motivo per cui avevi dei dubbi sul fatto che la morte di Mazz sia stata un incidente?»
«Sì».
«Me lo giuri?»
«Sì».
«E Martin?»
«Avrei dovuto parlartene. Scusami».
«Se succede qualcos’altro, se c’è qualcosa di anche solo lontanamente sospetto o se sei preoccupata o spaventata, devi dirmelo. Subito. Qui la faccenda si sta facendo seria, Rowan. Non pensare neanche di fare l’eroe. C’è gente che muore».
Lei avvertì un brivido, un fremito nell’aria come una premonizione.
«Va bene?», le chiese e lei annuì.
«Ok».
Si staccò da Rowan e si voltò verso la finestra, come per seguire Theo con lo sguardo. «Quel poliziotto», disse. «Era un tuo buon amico?»
«No, buono no, non proprio. Non si era inserito benissimo nel nostro gruppo all’università».
«È mai successo qualcosa tra voi due? Siete mai usciti o…».
«Con Theo? Oddio, no. E poi adesso è sposato. Ha un figlio».
«Non mi è piaciuto il modo in cui ti guardava», commentò Adam. «Come… come un predatore».