Prologo

Prima di aprire la porta, prima ancora di mettere piede nel vialetto, si mette in allerta. Sa che c’è, gliel’aveva detto lui stesso, ma la casa è al buio. Se fosse uscito per qualsiasi motivo, le avrebbe scritto – “Vado a prendere il vino. Torno tra dieci minuti” – ma, quando controlla il telefono, non trova alcun messaggio.

La luna si insinua in uno spiraglio tra le nuvole e, per un momento, con un raggio illumina gli occhi orbi della casa. È ancora presto, non sono nemmeno le sette, ma tra la strada deserta e l’assenza di rumori prodotti dal genere umano sembra di stare nel cuore della notte. L’unico movimento è quello del vento che agita le foglie dei sempreverdi e scuote i rami sottili del salice con il capo chino sul vialetto.

Dopo aver lanciato un’occhiata dietro di sé, si avvia sulla ghiaia che scricchiola sotto i suoi passi e sale i gradini fino alla porta d’ingresso. Il lampioncino è spento, quindi cerca a tastoni le chiavi nella borsa.

Aprire la porta è più difficile del solito per via di una strana pressione, come se qualcuno la spingesse dall’altro lato. Quando si volta per richiuderla, una folata di aria proveniente dall’interno dell’abitazione la fa sbattere. Nel silenzio, il rumore è impetuoso.

Non se lo sta immaginando: c’è davvero corrente in casa. Dev’esserci una finestra aperta, ma dove? Non sulla parte anteriore, altrimenti l’avrebbe vista. Ma perché avrebbe dovuto aprire una finestra? Fuori si gela.

È successo qualcosa. Non appena lo pensa, ne è sicura.

«C’è nessuno?».

Accende la luce e l’ingresso prende forma tutt’intorno a lei. Lo spiffero arriva dal piano di sopra. Grida di nuovo ai piedi delle scale, ma non ottiene risposta. La porta del soggiorno è aperta, lei accende la luce, va velocemente al caminetto e prende l’attizzatoio.

Sul pianerottolo, la paura le attanaglia lo stomaco. L’aria fredda arriva dal piano superiore. Dallo studio. Mentre sale l’ultima rampa di scale, sente il sangue pulsare nelle tempie.

Al chiaro di luna, vede gli schizzi gettati alla rinfusa sul tavolo da lavoro e per terra. Quando nota il lucernario aperto, con sotto la scala doppia, l’attizzatoio le cade di mano con un gran clangore. Ha quasi la nausea per la paura, ma a spaventarla non è il pensiero di uno scassinatore né di un ladro.

Con mani tremanti, sale sulla scala.

Lui la aspetta in cima, gigantesco per la prospettiva, con le gambe ben divaricate. Il vento tenta di strappargli il foglio che ha in mano, ma lei non ha bisogno di guardarlo per sapere di che cosa si tratta. L’ha perso per sempre; è palese dal suo viso impenetrabile. Severo. Rancoroso.

Sferzato dal vento, il foglio si piega e si accartoccia. Non c’è nulla che non farebbe, letteralmente nulla, pur di strapparglielo di mano e cancellarlo dalla sua memoria. Pur di tornare indietro anche solo di un giorno.

Dietro di lui c’è il bordo del tetto. Lei ne percepisce il potere, il campo di forza che esercita, lo strano miscuglio di attrazione e repulsione. È così intenso, privo di protezioni – un volo di quattro piani, una morte quasi certa. Lui segue il suo sguardo e si fa da parte.

«Fallo», dice.