36

Doug Case presenziava alla «serata della carrozzina» al Rifugio per ragazzi della Phoenix, la sua casa-famiglia nella zona sud di Houston per adolescenti ex membri di gang criminali, rimasti invalidi dopo uno scontro a fuoco, quando il cellulare gli ronzò in tasca: era l’unica chiamata da non rifiutare, anche quando era con i ragazzi. Era la Voce, sebbene non fossero passati i canonici cinque giorni. Gli eventi dovevano essere precipitati, se persino l’algida, spassionata, cinica Voce si stava lasciando prendere dall’ansia.

«Scusate, ragazzi, ma devo proprio rispondere a questa chiamata. Chi ha voglia di sostituirmi?»

Scelse due tra le mani alzate e guardò con un moto d’orgoglio i ragazzini, indietreggiando con la carrozzina verso la porta. Stavano consegnando la supercarrozzina elettrica a un ragazzo che aveva diligentemente imparato a usare i numerosi comandi con le dita di una sola mano. L’altra era rimasta paralizzata, come pure la spina dorsale, in una sparatoria in cui il giovane si era trovato coinvolto per difendere la sua attività di spaccio di crack e cocaina, in una casa abbandonata di Higgins Street.

Un infermiere sollevò il fagotto rattrappito, un tempo un robusto adolescente, dalla sua sedia a rotelle e lo adagiò sulla nuova carrozzina superaccessoriata.

Case uscì nell’atrio. Dietro il bancone all’ingresso c’era una guardia armata e le finestrelle erano protette da grate metalliche, per scoraggiare gli attacchi di malviventi non ancora rovinati dalle sparatorie che avvenivano nei cortili del quartiere di Sunnyside, la comunità afroamericana. Case lanciò un’occhiata dalla finestra alla sua Escalade nera, in attesa accanto al marciapiede con il motore acceso. L’autista era seduto al volante, con una pistola in pugno.

Case si fermò davanti a una vetrina in cui erano esposti i trofei vinti dai ragazzi della casa-famiglia nelle fasi di qualificazione per le Paralimpiadi di basket in carrozzina, scherma in carrozzina, tennis in carrozzina, sollevamento pesi, judo e tiro con l’arco.

«George» disse rivolto alla guardia.

«Dica, signor Case.»

«Hai ancora quel brutto vizio?»

George sorrise. «Ho paura di sì.»

«Perché non ti fai un giro fuori, a fumarti una sigaretta? Ti sostituisco io.»

George non se lo fece ripetere due volte.

Case rispose al telefono, ancora in vibrazione: «Salve, strana Voce».

«Ce ne ha messo di tempo, a rispondere.»

«Non ero solo, non potevo. Mi dispiace.»

«Come va con Paul Janson?»

Era un argomento gradito e Case rispose con entusiasmo: «Janson se l’è bevuta».

«Crede sul serio che se ne andrà dalla ASC?»

«Ancora meglio.»

«Ossia?»

«Janson mi crede passato dalla sua parte. In questo momento mi ritiene la sua talpa all’interno della ASC.»

«Talpa?» Distorta dagli effetti digitali, la sua risata era chioccia e stridula come una cinghia di ventola difettosa. «Da dove gli è venuta questa idea?»

«Mi sono fatto assumere da lui.»

La Voce rise più forte. «Ottimo! Veramente bravo, Douglas. Lei mi assomiglia.»

«Lo prenderò come un complimento, signore.»

«Cosa vuole dalla talpa?»

«Niente di particolare, finora» mentì Case. «Osservazioni generiche.»

«Lasci che le dia un consiglio da amico.»

«Prego» si affrettò a rispondere Case. Tutti gli effetti dello spettro digitale non riuscivano a camuffare l’improvviso tono gelido e minaccioso.

«Non si faccia coinvolgere nella recita al punto di arrivare a crederci.»

«Non succederà.»

«Come fa a esserne così sicuro? Paul Janson le può offrire una vasta gamma di tentazioni.»

«Io non faccio la talpa di nessuno» rispose Case in tono risoluto.

La Voce non era convinta. «Stia attento: potrebbe avere l’illusione che diventare una talpa sarebbe nel suo interesse. Ma le assicuro che per lei non lo sarebbe affatto, anzi le provocherebbe solo dolori e sofferenze intollerabili.»

Case era furioso: non sopportava di essere minacciato. Come si permetteva? Se avesse potuto, l’avrebbe ammazzato per telefono. Ma quando guardò il proprio riflesso nella vetrina dei trofei, vide solo un uomo in sedia a rotelle, anche se ipertecnologica. Quel poveraccio gli fece un sorriso storto, misto di rimorso e rimpianto. Non era più in grado di ammazzare coloro i quali osavano sfidarlo. In quel momento gli restava solo la ferocia della mente.

Tremando di collera repressa, dovette sforzarsi oltremodo per rispondere in tono calmo: «Non si preoccupi. Io non sputo nel piatto in cui mangio, anzi sono grato a chi mi nutre».

«Ci sentiamo.»

Fine della telefonata.

Case osservò il proprio riflesso con aria interrogativa.

Essere ricorso alla minaccia era alquanto insolito. La Voce non lo aveva mai fatto apertamente. Anche quando il misterioso chiamante aveva rischiato, all’inizio, non aveva mai cercato di controllare Case incutendogli terrore. Aveva la strana sensazione (una sensazione di pancia, derivata da una vita passata tra gli intrighi) che la Voce gli avesse inavvertitamente rivelato di essere una figura molto addentro alla ASC, non esterna. Addentro e molto, molto in alto.

Altrimenti perché avrebbe dovuto preoccuparsi tanto che Case potesse rivelare a Paul Janson la strategia della ASC?

Poi ebbe una sensazione ancora più strana. E se la rivelazione non fosse stata involontaria, ma voluta? Forse la Voce gli stava segnalando di fidarsi di lui al punto di fargli capire qualcosa di più su di sé? Si stava avvicinando il momento in cui avrebbero trattato alla pari, e di persona?

C’era un solo modo per scoprirlo.

Case fece due rapide telefonate, poi tornò a guardare il proprio riflesso nel vetro, aspettando la chiamata. Il cellulare squillò: era la Voce.

«Dica, signore.»

«Iboga non è più nelle mani della Sécurité Referral, me l’hanno appena riferito.»

Il vetro gli rimandò l’immagine di un volto sorridente. «Come prevedevo, la SR non si è dimostrata all’altezza.»

«Ma abbiamo perso Iboga proprio quando ci serviva di più.»

«Non lo definirei perso, in questo caso» replicò Doug Case, sorridendo a se stesso.

«E come diavolo lo definirebbe?»

«Temporaneamente fuori dalla sua posizione.»

«Mi sembra maledettamente sicuro di sé.»

«In questo particolare caso lo sono, signore. Non si preoccupi, per favore.»

«Non pensa di dover andare lei stesso alla Isle de Foree, e al più presto?»

«Ho già il Gulfstream della ASC con i motori accesi all’Hobby Airport. Sarò a bordo tra venti minuti.»

«Non ci andrà da solo, immagino.»

«Ho già provveduto a far rinforzare la sicurezza sulla Vulcan Queen

«Per precauzione?»

Doug Case si giocò tutto. Era il momento di rivendicare il proprio ruolo legittimo, e prima del colpo di Stato.

«Non per precauzione. In previsione di quando mi avrebbe chiesto di eliminare il capo dello staff, Mario Margarido.»

Dalla voce distorta venne un suono, probabilmente una risatina. «Io l’ammiro, Douglas. Riesce davvero a prevedere tutto.»

«Grazie.»

«È pronto a togliere di mezzo Margarido?»

«Certamente, come le ho detto. È tutto pronto.»

«Ottimo, allora proceda!»

«Lo consideri cosa fatta.»

«Ah, e quando sarà alla Isle de Foree…»

«Sì, signore?»

«Faccia tutto il possibile per appoggiare Kingsman Helms.»

Questo suonava definitivo, come una spada incandescente nelle viscere. Case passò in rassegna le varie possibilità: la Voce era Kingsman Helms in persona, e intendeva assicurarsi il suo appoggio. Oppure era il Buddha, il quale aveva scelto Helms come suo successore. O ancora, la Voce era un soggetto esterno, un membro del consiglio di amministrazione, o un rivale che voleva mettere Helms, il suo uomo, a capo della ASC. Comunque guardasse la cosa, era un bel dilemma.

«Douglas, è ancora lì?»

«Farò tutto quello che posso per appoggiare Kingsman Helms.»

«Ottimo. Sapevo di poter contare su di lei.»

L'occhio della fenice
9788858638606_epub_cvi_r1.htm
9788858638606_epub_abs_r1.htm
9788858638606_epub_ata_r1.htm
9788858638606_epub_st_r1.htm
9788858638606_epub_tp_r1.htm
9788858638606_epub_cop_r1.htm
9788858638606_epub_htp_r1.htm
9788858638606_epub_fm1_r1.htm
9788858638606_epub_pro_r1.htm
9788858638606_epub_p01_r1.htm
9788858638606_epub_c01_r1.htm
9788858638606_epub_c02_r1.htm
9788858638606_epub_c03_r1.htm
9788858638606_epub_c04_r1.htm
9788858638606_epub_c05_r1.htm
9788858638606_epub_c06_r1.htm
9788858638606_epub_c07_r1.htm
9788858638606_epub_c08_r1.htm
9788858638606_epub_c09_r1.htm
9788858638606_epub_c10_r1.htm
9788858638606_epub_c11_r1.htm
9788858638606_epub_p02_r1.htm
9788858638606_epub_c12_r1.htm
9788858638606_epub_c13_r1.htm
9788858638606_epub_c14_r1.htm
9788858638606_epub_c15_r1.htm
9788858638606_epub_c16_r1.htm
9788858638606_epub_c17_r1.htm
9788858638606_epub_c18_r1.htm
9788858638606_epub_c19_r1.htm
9788858638606_epub_c20_r1.htm
9788858638606_epub_p03_r1.htm
9788858638606_epub_c21_r1.htm
9788858638606_epub_c22_r1.htm
9788858638606_epub_c23_r1.htm
9788858638606_epub_c24_r1.htm
9788858638606_epub_c25_r1.htm
9788858638606_epub_c26_r1.htm
9788858638606_epub_c27_r1.htm
9788858638606_epub_c28_r1.htm
9788858638606_epub_c29_r1.htm
9788858638606_epub_c30_r1.htm
9788858638606_epub_c31_r1.htm
9788858638606_epub_c32_r1.htm
9788858638606_epub_c33_r1.htm
9788858638606_epub_c34_r1.htm
9788858638606_epub_c35_r1.htm
9788858638606_epub_p04_r1.htm
9788858638606_epub_c36_r1.htm
9788858638606_epub_c37_r1.htm
9788858638606_epub_c38_r1.htm
9788858638606_epub_c39_r1.htm
9788858638606_epub_c40_r1.htm
9788858638606_epub_c41_r1.htm
9788858638606_epub_c42_r1.htm
9788858638606_epub_c43_r1.htm
9788858638606_epub_c44_r1.htm
9788858638606_epub_bm_r1.htm
9788858638606_epub_bm1_r1.htm
9788858638606_epub_toc_r1.htm