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Un altezzoso sceicco stava discutendo con i buttafuori del Club Electric perché pretendeva di entrare armato, spiegò l’interprete a Janson.
«E adesso perché sta gridando?»
Se lui non poteva entrare armato, esigeva che almeno le sue guardie del corpo tenessero le pistole.
I gorilla all’ingresso non si lasciarono impressionare. Tutti i clienti del locale notturno più importante di Baghdad dovevano lasciare in deposito qualsiasi arma, non erano ammesse eccezioni.
Faceva molto caldo, oltre quaranta gradi, pur essendo ormai sera. L’interprete di Janson non perdeva d’occhio un istante la strada che correva parallela al fiume Tigri. Aveva l’aria di domandarsi quante auto, tra gli Hummer, le Land Rover e le Cadillac Escalade che si accostavano ai posteggiatori del locale, avessero a bordo dell’esplosivo. I clienti in fila alle loro spalle sembravano altrettanto ansiosi di entrare al riparo dei muri blindati.
Alla fine lo sceicco si arrese.
Janson depositò la pistola automatica acquistata poco prima, ricevendo in cambio un gettone di plastica. I buttafuori, parlottando nei walkie-talkie, lo fecero passare attraverso le porte rinforzate in Kevlar.
Si fermò un momento in cima alle scale, in attesa degli iracheni entrati dopo di lui, e si mescolò discretamente al gruppo. Scesero una scala a chiocciola, con i gradini in Lucite illuminati di verde, fino a una sala cavernosa e priva di finestre, rimbombante di musica araba. Centinaia di uomini più o meno in carne, in maniche di camicia, erano seduti a bere Pepsi Cola, fumare pipe ad acqua e guardare partite di calcio sulle tv a schermo piatto.
«Ci si diverte un sacco qui, eh?» disse rivolto all’interprete, uno studente serioso, mettendolo in imbarazzo. In effetti, nonostante i muri blindati, le scale strette, progettate per minimizzare i rischi di una bomba, e l’assenza di finestre, in quella specie di bunker sotterraneo si respirava un’atmosfera molto vitale. Disse al ragazzo di aspettarlo nell’area riservata alle guardie del corpo, delimitata da cordoni.
«Come farà a farsi capire, signore?»
Viaggiando con il nome di Adam Kurzweil, Janson si comportava in modo più aperto rispetto al suo carattere, di norma molto riservato. L’alto dirigente canadese dei servizi di sicurezza appariva sicuro di sé, gioviale, arrogante, persino presuntuoso. «Il proprietario del locale parla inglese» spiegò.
L’interprete era orgoglioso: il nuovo Club Electric era il locale notturno più alla moda esistente tra Vienna e Mumbai. E inoltre ammirava molto Janson che si era vantato di conoscere il primo ministro iracheno, seduto in un angolo in fondo alla sala, a cena con il sindaco di Baghdad. «Lei conosce Michel Sarkis, il proprietario del club?»
«Quando lo frequentavo io era semplicemente “Mike”. Aspetta qui, per favore. Ti chiamerò quando avrò bisogno di te.»
Sarkis, un libanese massiccio dalla capigliatura corvina, passava da un tavolo all’altro.
Janson attraversò la sala, puntando su Sarkis in piedi a un tavolo di uomini d’affari iracheni e banchieri tedeschi, accanto a quello del sindaco e del primo ministro. Il proprietario del locale accennava un lieve movimento a ritmo con la musica, sorrideva, traboccava arroganza, e scherzava parlando in un inglese con forte accento francese.
«Da dove vengo io?» stava dicendo a uno dei banchieri. «Oh, la risposta è complessa e affascinante. Sono stato concepito nel 1975 a Beirut, la notte in cui scoppiò la guerra civile. Sono nato in alto mare, su una nave diretta in America. Quale nave? La SS France, naturalmente. L’ultimo transatlantico davvero elegante mai costruito. Per questo ho un gusto innato per la bellezza e il piacere.»
In realtà, la France aveva fatto la sua ultima traversata nel 1974. Ma Janson non aveva intenzione di contestare a Sarkis i dettagli della sua leggenda.
«Poi Greenwich, Beverly Hills, Manhattan e Parigi. Sempre Parigi.»
Janson gli passò accanto e gli sussurrò all’orecchio: «Nell’elenco hai dimenticato la Florida».
Sarkis si girò facendo una piroetta. «Bonjour!» esclamò, con un sorriso radioso e a braccia aperte, ma con un’espressione di panico negli occhi. Janson non fu sorpreso di non essere riconosciuto da Sarkis.
«Sarasota, Florida, Mike. Quando hai un minuto, ti aspetto fuori sulla terrazza.»
«Al momento sono molto occupato, signore. Posso offrirle un drink e…»
«Come va la Lamborghini?»
Il sorriso di Sarkis si gelò sulle labbra. «Ci vediamo sulla terrazza.»
Janson seguì le frecce verde fluorescente che indicavano l’accesso alla terrazza affacciata sul Tigri e le luci della città. Pochi clienti sfidavano la calura notturna. I camerieri apparivano fiacchi e provati. Il livello del fiume era basso. C’era odore di plastica bruciata, petrolio e scarichi fognari.
Si sistemò accanto al parapetto, appena oltre il cerchio luminoso degli espositori frigoriferi della Pepsi, e si appoggiò con la schiena rivolta verso l’acqua. Sarkis lo fece attendere dieci minuti: il tempo necessario a riprendersi dall’improvvisa apparizione di Janson dal passato, senza dubbio.
«Allora, sfrecci sempre sulla tua Lamborghini?» lo apostrofò Janson.
«L’ho venduta a un russo» rispose Sarkis in tono brusco. «Cosa vuoi da me?»
Lontano dalla portata d’orecchi dei suoi clienti iracheni di riguardo, Sarkis assomigliava molto di più a un americano cresciuto a Danbury, nel Connecticut, uscito senza terminare gli studi da un’università statale e abituato a sfruttare il proprio bell’aspetto per vendere a vedove danarose appartamenti di vacanza in Florida.
Janson rispose: «Voglio che mi aiuti a comprare un caccia Harrier. Sei ricco e hai conoscenze: nessuno è più adatto al compito di te».
Sarkis non disse subito di no, ma domandò: «Perché dovrei farlo?».
«Per gratitudine, per averti salvato la vita. O per paura, dato che ne so abbastanza per distruggerla, la tua vita.»
«Io non ti conosco. E non so perché Sarasota dovrebbe significare qualcosa per me.»
«È stato un po’ di tempo fa» disse Janson. «Da allora, ho seguito la tua carriera con ammirazione.»
«Per ricattarmi?»
«Solo per venire a riscuotere, al momento opportuno.»
«Quanto vuoi?»
«Non voglio denaro, ma informazioni. Anzi, mi correggo: voglio informazioni sicure.»
Sarkis schioccò le dita e due buttafuori si avvicinarono.
Paul Janson cominciò: «Immagina una calda serata sulla costa della Florida. Immagina un ex studente di bell’aspetto, sui venticinque anni. Indossa un completo di lino bianco, dono della sua ragazza, e un orologio costoso, proveniente dalla gioielleria di proprietà dei suoi genitori immigrati a Danbury, nel Connecticut. Quell’abito e quell’orologio sono i suoi beni più preziosi. Se vuole parla con accento francese, dato che a casa mamma e papà parlavano francese, come usavano fare in Libano.
«Ora immaginatelo mentre convince con il suo fascino delle anziane signore ad acquistare appartamenti a Sarasota. Le sue provvigioni sono molto basse e deve passarne una buona parte al suo capo. Vive in ristrettezze, circondato dal denaro, ma senza riuscire a metterci sopra le mani. Non vede l’ora di avere una possibilità. E c’è una cosa che veramente ammiro, in questo ragazzo: è pronto a coglierla, se appena se ne presenta l’occasione. E quella sera, succede».
Sarkis guardò Janson, con un’espressione a un tempo inquieta e affascinata sul bel volto. «Va’ avanti!»
«Manda via i tuoi gorilla.»
Sarkis allontanò con un gesto i due energumeni, torreggianti alle sue spalle. «Continua!»
A un tratto le luci si spensero. Tutta la città restò al buio. Scomparsi i riflessi sull’acqua. Il cielo era cupo, senza stelle. La rete elettrica di Baghdad, notoriamente problematica, li aveva abbandonati.
«Nel locale la luce tornerà entro dieci secondi» assicurò Sarkis. «Va’ avanti.»
La terrazza vibrò e il Club Electric si illuminò come un albero di Natale, avvolto dall’oscurità degli edifici circostanti. «I nostri sono i generatori migliori, acquistati con i soldi dei contribuenti americani» proseguì Sarkis. «La Halliburton li ha lasciati all’aeroporto, ancora imballati. Continua.»
«Siamo al Sarasota Film Festival. Almeno mille persone si accalcano a un party organizzato da un agente immobiliare che sta cercando di vendere appartamenti di lusso in una zona paludosa e lontanissima dalle spiagge. L’ex studente in completo di lino bianco spera in una provvigione, ma non si vende niente e se ne va presto, quando la festa sta cominciando a raffreddarsi, pensando di evitare il grosso del traffico di rientro. Ma, quando va a ritirare la macchina, scopre che i parcheggiatori si sono ubriacati. Dopo un po’ hanno smesso di contrassegnare le chiavi con un numero progressivo, le hanno gettate tutte insieme, alla rinfusa.
«Ci sono mille persone in attesa di recuperare le loro auto. Un centinaio di loro sta già urlando: “Dove sono le mie chiavi?”. La gente del posto è preoccupata per la Mercedes, la Range Rover o la Aston Martin, i turisti cercano di ricordare il colore dell’auto presa a noleggio all’aeroporto.
«Lo studente fallito pensa molto in fretta. Prende per il bavero l’unico parcheggiatore non ubriaco, ma terrorizzato, e gli agita sotto il naso i suoi ultimi duecento dollari: “Trovami subito le chiavi della mia Lamborghini gialla e la mancia è tua”.
«Miracolosamente, il parcheggiatore recupera le chiavi e il ragazzo con il completo bianco, l’orologio di lusso e l’accento francese se ne va su una macchina da duecentomila dollari, deciso ad attraversare tutto il Paese, senza fermarsi nemmeno a salutare la sua ragazza, senza mai voltarsi indietro, fino in California, a Beverly Hills, dove le ricche signore hanno un debole per i bei giovani in Lamborghini con l’accento francese.»
Sarkis fissava Janson. «E poi cosa succede?»
«Succede qualcosa di incredibile. L’ultima cosa che il ragazzo poteva immaginare. Ma a volte le cose vanno così, nella vita. Il proprietario della Lamborghini è una persona davvero malvagia. E qualcuno va a cercare il giovane ladro.»
Sarkis sgranò gli occhi. «Ehi, aspetta un momento! Eri tu?»
«Ero io e tu non l’hai mai saputo fino a oggi, ma ti ho salvato la vita.»
Sarkis guardò sull’altra riva del fiume, dove grappoli di luci alimentate da generatori si accendevano in vari punti della città come fuochi d’artificio. Disse, come descrivendo un sogno quasi dimenticato: «Non so come, all’improvviso mi hai superato con una stupida Honda e mi hai tagliato la strada».
«Io sapevo come guidarla veloce. Tu invece no.»
«Mi hai accecato con la luce di una torcia elettrica e mi hai chiesto di mostrarti la patente. Ho pensato che fossi un poliziotto. Però non hai voluto vedere il libretto di circolazione. Poi hai preso le chiavi e mi hai detto di non muovermi. Era buio e non vedevo molto bene, ma sono quasi sicuro di averti visto fare una cosa molto strana. Ti sei sdraiato a terra, sotto la macchina.»
«Ho rimosso un congegno esplosivo radiocomandato, per evitare che venissi scagliato nella palude a centotrenta chilometri orari.»
Sarkis metabolizzò l’informazione. «Avevi piazzato tu quella bomba?»
«Esatto.»
«Perché?»
«Il proprietario della Lamborghini era una cattiva persona, ma tu eri innocente. Almeno, in confronto a lui.»
«Come facevi a sapere che c’ero io alla guida, e non il legittimo proprietario?»
«Non lo sapevo. Ho aspettato la Lamborghini su una strada secondaria e l’ho seguita, in attesa del momento giusto per far esplodere la bomba. Doveva andare veloce, come stavi facendo tu, non dovevano esserci altre automobili nei paraggi e doveva viaggiare vicina all’acqua, o a una scarpata, in modo che il mio bersaglio non sopravvivesse all’incidente. Proprio quando stavo per dare il segnale, mi sono reso conto che qualcosa non andava. La Lamborghini sbandava di continuo. Ma il proprietario era senz’altro un esperto pilota. Quindi, probabilmente non stavo seguendo la persona che avrei dovuto eliminare.»
«Mi hai restituito la patente e le chiavi della macchina, dicendo: “Sparisci. Vattene dalla Florida e non tornare indietro mai più”. Mi hai chiesto se mi servivano dei soldi e io ho risposto di sì. Allora tu mi hai dato un rotolo di banconote da venti e da cento… ma come diavolo facevi a sapere di Danbury e dei miei genitori?»
«Ho preso il tuo nome dalla patente. Mi sei sembrato un tipo molto sveglio e ho pensato che prima o poi avresti potuto essermi utile. Da allora ti ho sempre tenuto d’occhio. Stamattina ho visto la tua foto in un articolo sul tuo locale.»
«E sei venuto a riscuotere il credito.»
«Esatto, Mike.»
«Ti spiace se ti chiedo…»
«Hai già fatto le tue domande. Ora ascolta. Mi serve il tuo aiuto. Tu conosci tutti a Baghdad, a Beirut e a Dubai. E più di quanti tu sia autorizzato a frequentare a Kabul.»
«Gestisco un locale notturno. Curare i rapporti con i miei clienti è importante.»
Janson scoprì i denti in un sorriso minaccioso. «Non farmi perdere tempo, Mike. So chi sei e cosa hai fatto.»
«La storia della Lamborghini è successa tanti anni fa. Allora ero un ragazzo.»
«Il furto della Lamborghini è stato solo l’inizio. Vogliamo parlare di Teheran? No? Allora di Kandahar. Sei pur sempre un cittadino americano. Ti daranno la caccia fino in capo al mondo.»
«A Kandahar non ho fatto niente di diverso da quello che avrebbe fatto chiunque altro.»
«Mike, a me non interessa. Non intendo giudicarti. Ma io non me ne andrò da Baghdad fino a quando non mi avrai trovato un’agenzia freelance, possibilmente francese, in grado di mettere in campo un caccia Harrier a decollo verticale.»