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«Restiamo in contatto.»
«Hai un numero al quale possa chiamarti?»
«Quintisha Upchurch si metterà in contatto con te.»
«Aspetta un attimo. Dobbiamo essere chiari: dovrò soltanto passarti informazioni o dovrò essere operativo? Vuoi che faccia la spia? Oppure devo fare qualcosa di particolare?»
Janson rispose: «Senza offesa, ma considerando come sei stato tenuto all’oscuro della faccenda, dovresti darti da fare come un forsennato per scoprire qualcosa di clamoroso».
«Qual è la tua idea di clamoroso?»
«Sei stato tu a inviare i Reaper per sgominare l’attacco di Iboga con i mezzi corazzati?»
«Paul, non sono così in alto nella catena di comando.»
«Chi lo è, alla ASC? Helms?»
«Non lo so.»
«Il Buddha?»
«Potrebbe essere.»
«Riusciresti a scoprirlo?»
«Ci ho già provato, a dire il vero. Ma è una questione molto complessa, e non sono riuscito a cavare un ragno dal buco.»
«Sai come trovarmi.»
«Paul, cos’hai in mente di fare?»
Paul Janson si alzò. «Ho già prenotato il pranzo. Al buffet hanno una magnifica scelta di piatti asiatici. Hai problemi a tornare all’American Club per conto tuo?»
«Sono arrivato a Singapore da Houston da solo. Penso di potermela cavare, fino all’American Club. Tu dove stai andando?»
«In Europa.»
Janson trascorse il resto della giornata al telefono, nella sua stanza al piano superiore del Tanglin.
A tarda sera andò all’aeroporto e si imbarcò sul volo notturno della Singapore Airlines per Londra, dove arrivò alle sei del mattino, ora di Greenwich. Superò i controlli dei documenti e della dogana con il suo passaporto personale e vagò per il Terminal 5 finché non fu certo di non essere stato seguito. Quindi imboccò i lunghi sotterranei che conducevano all’Heathrow Express.
Il treno navetta arrivò agevolmente alla Paddington Station, evitando il traffico dell’ora di punta che bloccava l’autostrada.
Janson verificò nuovamente di non avere nessuno alle costole e prese un taxi di fronte a Hyde Park. Scese in Exhibition Road e fece un ampio giro fino a una stradina acciottolata a Ennismore Gardens, dove bussò a una robusta porta nera con un batacchio a testa di grifone. Mentre attendeva di capire se ci fosse qualcuno in casa, lo raggiunse l’eco degli zoccoli ferrati delle guardie della Cavalleria Reale in arrivo dalle Knightsbridge Barracks.
Una donna alta e voluttuosa, avvolta in una vestaglia di seta azzurro cielo, venne ad aprirgli. Aveva la pelle scura e liscia, un portamento regale e grandi occhi luminosi. Portava i capelli raccolti sotto un turbante dello stesso colore della vestaglia. Le labbra piene si schiusero in un sorriso.
«Hai una dannata idea di che ore siano?»
«Spero di non essere troppo in anticipo per un caffè.»
«Gradiresti anche la colazione, immagino?»
«La preparerò io.»
«Qualcos’altro?»
«Informazioni.»
«Janson, un tempo saresti passato a “qualcos’altro” prima di chiedere informazioni.»
«Sei una donna troppo elegante per metterti fretta» ribatté lui, «ma ho davvero pochissimo tempo. Posso entrare?»
La «principessa» Mimi era la figlia di un impresario edile di Lagos dai modi pirateschi, divenuto miliardario costruendo grandi alberghi e condomini di lusso su terreni pubblici di pregio sui quali aveva messo le mani grazie alle sue conoscenze nel governo nigeriano. Mimi, invece, non era una truffatrice. Viveva con agio nella casa di Ennismore Gardens, destinata a diventare il rifugio dell’esilio di suo padre, il giorno inevitabile in cui avrebbe dovuto fuggire dai magistrati o, più probabilmente, dal caos della Nigeria travolta dalla corruzione e dalla guerra civile.
Tra i suoi amanti, uomini con cui sceglieva di vivere brevi storie, c’erano figure importanti dell’esercito e del ministero del petrolio nigeriano. Aveva il dono di saper coltivare le amicizie; i suoi ex continuavano a invitarla nei migliori ristoranti di Londra, vantandosi dei propri successi, nella speranza di riconquistarla. Era diventata perciò la depositaria di quel genere di voci e pettegolezzi che in genere si rivelano veritieri. Per ironia della sorte, la futura residenza di quel furfante di suo padre era frequentata da espatriati ed esuli nigeriani di ogni sorta. Politici decaduti, giornalisti messi al bando e rivoluzionari con una taglia sulla testa discutevano di politica in casa sua, portando a conoscenza di Mimi tutti gli intrighi e le macchinazioni dell’Africa occidentale. Da Lagos a Cape Town, se in Africa si muoveva una foglia, la prima a venirlo a sapere era la principessa Mimi.
«Mi hanno detto che sei stato in Angola» osservò versando il caffè. Erano nella sua cucina tutta piastrellata di bianco, affacciata sul parco pubblico alle spalle della casa.
«Di passaggio.»
«Hai apprezzato i crostacei?»
«Oh, molto.»
«Non riveli mai un segreto?»
Janson scese dallo sgabello alto, si avvicinò a lei e la baciò sulle labbra. «Non oggi.»
«Questo è il bacio di un uomo innamorato di un’altra donna.»
«È il bacio di un uomo che non ha tempo. Mimi, ho un disperato bisogno di aiuto, e tu puoi aiutarmi. Un’altra cosa: sarebbe meglio se nessuno venisse a sapere del nostro incontro.»
La principessa sorrise. «Mi sigillerò le labbra nel momento stesso in cui te ne sarai andato. Cosa vuoi sapere?»
«Potremmo cominciare dai rapporti fra la Nigeria e la Isle de Foree.»
«Rapporti militari o relativi al petrolio?»
«Non sono la stessa cosa?»
Mimi sorrise di nuovo. «Sto verificando il tuo livello di preparazione.»
Prese un telefono, uscì in giardino e parlò velocemente con qualcuno. Quando rientrò gli disse: «Ho invitato un paio di amici a passare di qui per un brunch. Sai fare ancora le omelette?».
Janson mise una padella sulla magnifica ed enorme cucina, una Aga, e cominciò a rompere una dozzina di uova in una ciotola.
«C’è qualcos’altro?» gli domandò.
«Iboga. Potrebbe nascondersi in Nigeria?»
«No, è impossibile. Sarebbe stato denunciato. Non avrebbe la protezione di nessuno.»
«Nemmeno dell’esercito?»
«Iboga è una persona orribile. La Nigeria ha già abbastanza problemi di immagine in Africa senza offrire asilo a dittatori sanguinari. Ne abbiamo avuto uno anche noi e non ci siamo ancora ripresi. Forse non ci riprenderemo mai.»
«I tuoi conoscenti parlano mai di dove potrebbe essere al momento?»
«Solo voci. Ogni tanto viene avvistato da qualche parte. Non è esattamente un tipo anonimo.»
Janson sorrise e le raccontò un aneddoto. «Un tizio dell’MI5 una volta mi ha detto che Idi Amin, ai tempi della sua fuga dall’Uganda, fu segnalato in Arabia Saudita da un satellite.»
«Iboga è molto più grosso di Amin. E oggi i satelliti sono migliori, dal punto di vista tecnologico.»
«Di quali avvistamenti hai sentito parlare?»
«Francia, Romania, Bulgaria, Croazia, Russia.»
«Dove, in Russia?»
Mimi alzò le spalle. La vestaglia scivolò, scoprendole una spalla tornita.
«E della Corsica sai qualcosa?» domandò Janson.
La principessa annuì. «Sì, ho sentito accennare anche alla Corsica.»
«Sul serio?»
«Proprio l’altro giorno, da un amico che ci è stato in vacanza. Lui non l’ha visto di persona, ma ne ha sentito parlare.»
«Dove?»
Mimi si strinse di nuovo nelle spalle. «Lui era in barca. Quindi, suppongo, non lontano dal mare.»
«Cosa sai della Sécurité Referral?»
«Mai sentita nominare. Cos’è?»
«Una sorta di gruppo di freelance. Agenti clandestini pronti a tutto.»
«Cosa fanno, spacciano droga?»
«Purché renda denaro qualsiasi cosa, suppongo.»
Mimi scaldò un velo d’olio in una padella e cominciò a saltarvi dei pomodorini interi. Janson grattugiò il formaggio e affettò il pane da tostare. Arrivarono gli ospiti: Everest Orhii, un nigeriano esile, con un vecchio completo blu e camicia senza cravatta, e Pedro Menezes, ex ministro del petrolio della Isle de Foree, vestito in modo elegante e dall’aria molto benestante.
Janson fece un cenno con la testa a Mimi per ringraziarla e le bisbigliò: «Sono davvero colpito, dato lo scarso preavviso».
«Sapevi benissimo che ti avrei stupito» fece Mimi compiaciuta. «Altrimenti non saresti venuto da me!»
L’ex ministro Pedro Menezes lanciò un’avida occhiata all’omelette che Janson stava dividendo in porzioni. Everest Orhii, il nigeriano, si avventò sulla propria porzione, dopo aver ricevuto il suo piatto da Mimi, seduta a capotavola.
I due uomini, come scoprì presto Janson, erano in esilio. Il nigeriano tirava avanti come poteva, spendendo tutto per gli avvocati, con la speranza di poter tornare a Lagos, prima o poi. L’altro sperava invece di pagarsi il rientro a Porto Clarence con qualche mazzetta. Anche Orhii aveva lavorato al ministero del petrolio nigeriano, anche se non allo stesso livello di Menezes alla Isle de Foree.
I loro cellulari squillavano di continuo. A turno si alzavano da tavola per rispondere, con dei sonori «Olá!» o «Orhii!», per uscire subito dopo in giardino e parlare in privato.
«Prima della guerra civile» disse Menezes a Janson, «la Isle de Foree si oppose all’esplorazione congiunta con la Nigeria dei giacimenti di idrocarburi in acque profonde.»
«Nonostante la Nigeria sostenesse Iboga?» domandò Janson.
«È una politica che risale a ben prima di Iboga. I nigeriani avevano approfittato della situazione in un periodo in cui eravamo disperati. Gli accordi per lo sfruttamento in acque basse non erano equi.»
«Non è questo» intervenne Orhii, rientrando dal giardino. «Non è che gli accordi non fossero equi.»
«Allora qual è il punto?» gli chiese Menezes.
Orhii trangugiò in due bocconi una fetta di pane tostato. «Quelli della Foree disprezzano i nigeriani. Ci accusano di essere arroganti e prepotenti. Del resto, è tipico delle nazioni piccole disprezzare quelle grandi. Come tante nazioni detestano l’America, altrettante odiano la Nigeria.»
«Confinare con la Nigeria è come condividere il letto con un ippopotamo.»
«Tra la mia nazione e la tua isola ci sono trecentoventi chilometri di mare aperto.»
«Gli ippopotami sanno nuotare.»
«Dicono tutti che siamo prepotenti!» esclamò Everest Orhii. «Secondo loro, andiamo avanti senza guardare in faccia nessuno e ci prendiamo tutto quello che ci interessa.»
Pedro Menezes si allontanò per rispondere a un’altra chiamata.
Orhii fece segno a Janson di avvicinarsi. «Se vuole sapere di più sulle esplorazioni petrolifere in acque profonde, provi a chiedere a Menezes delle bustarelle che ha preso dal GRA.»
«Cos’è il GRA?»
Orhii alzò le spalle. «Io non lo so. Purtroppo non sono mai venuti a trovarmi in ufficio. Probabilmente trattavano direttamente con i miei superiori, comunque.»
«Mimi?»
Mimi scosse la testa. «Non ne so niente. Dovresti domandare a Pedro. Sarà felice di parlare, si annoia qui a Londra. Vuole tornare a casa ed essere di nuovo ministro del petrolio, ma è impossibile. Ferdinand Poe ammetterà nel suo governo solo i veterani di guerra.»
Mimi uscì a sua volta in giardino a telefonare, incrociando Pedro mentre rientrava.
«Cos’è il GRA?» chiese Janson quando l’ex ministro del petrolio della Isle de Foree ebbe ripreso posto a tavola, davanti ai resti della sua omelette.
«Ah, quelli.» Menezes sorrise. «Non li sento da anni. Del resto perché avrei dovuto, bloccato qui a Londra?»
«Che tipi sono?»
«Molto generosi.»
«Cosa intende dire?»
«Intende dire» interloquì Everest Orhii «che il GRA l’ha pagato bene per consentire loro di esplorare in segreto acque profonde, a sud dei giacimenti che la Isle de Foree avrebbe dovuto condividere con la Nigeria.»
«Niente affatto» ribatté Menezes seccamente. «La Nigeria non ha alcun diritto su quel petrolio.»
«I dati geologici sono incontrovertibili. Si tratta dello stesso giacimento.»
«La geologia è chiara quanto la storia e la nostra sovranità. Sono le nostre acque e i nostri fondali, non quelli della Nigeria!»
«Nessun tribunale vi darebbe ragione.»
«Non è più necessario, adesso.»
«Voi avete truffato il mio Paese.»
Janson appoggiò una mano sul braccio di ognuno dei due e interruppe la discussione. «Signori, cosa significa la sigla “GRA”?»
«Ground Resource Access, accesso alle risorse del sottosuolo» sospirò Menezes. «Almeno credo.»
«Credi?» sbottò Everest Orhii. «Dovrai pur sapere chi ti ha dato tutti quei soldi.»
«Sul biglietto da visita c’era scritto “Ground Resource Access”. In realtà non ho mai visto il loro nome tra le aziende quotate in Borsa, e nemmeno negli albi delle associazioni professionali.»
Ground Resource Access… Solo il giorno prima, Janson aveva sentito Kingsman Helms dire: «Il problema principale, per una compagnia petrolifera, consiste nell’accesso alle riserve del sottosuolo». Una semplice coincidenza?
Ma, come Janson aveva replicato a Helms, l’aveva sentito dire da altri petrolieri. Era un argomento piuttosto comune.
«Si tratta di una società americana?» chiese.
«Non lo so.»
«Erano americani, quelli con cui ha parlato?» continuò, in tono paziente.
«L’uomo venuto a farmi visita sembrava americano.»
«Potrebbe descriverlo?»
«Un tipo un po’ come lei. In forma, robusto. Aveva l’aria di un ex militare.»
«Avrebbe potuto essere un militare in servizio attivo?» domandò Janson, chiedendosi se GRA potesse essere un nome di copertura per un servizio clandestino americano. Menezes si strinse nelle spalle.
«Ricorda se sul biglietto da visita ci fosse scritto “Limited” o “Incorporated”?»
«“Inc.” Su questo non ho dubbi.»
«A quando risale il vostro incontro?»
«Quattro anni fa.»
Janson ripensò alle parole pronunciate da Kingsman Helms: «Una questione essenzialmente logistica diventa politica, quando i governi rivendicano l’accesso alle risorse del sottosuolo».
Mimi tornò in cucina. Janson le rivolse un lieve cenno con il capo. Aveva terminato e non poteva trattenersi oltre. I collaboratori della CatsPaw si sarebbero occupati delle ricerche sul GRA.
«Finite la colazione, amici miei» disse Mimi. «Vi ringrazio molto per essere venuti.»
Nel giro di pochi minuti congedò entrambi gli africani. «Non sono stati di grande aiuto, vero?»
«Anche la minima informazione è preziosa. Grazie.» Diede un’occhiata all’orologio.
«Non avere tanta fretta» disse Mimi.
«Ho davvero molte cose da fare.»
«Sta per arrivare un altro ospite.»
«Chi è?»
«Un poliziotto, molto arrabbiato.»
Janson dovette trattenere l’impulso di andarsene subito. Mimi si stava divertendo con lui, ma dal suo sorriso Paul capì che aveva in serbo per lui qualcosa di interessante.
«Spiegati meglio.»
«È un francese. Era un alto funzionario della sicurezza, fino al giorno in cui si è messo in contrasto con il presidente della Repubblica, un uomo molto duro con i suoi collaboratori. Ed è stato retrocesso, ingiustamente.»
«Secondo te può sapere qualcosa della Sécurité Referral?»
«Non credo. Ma non gli ho chiesto di venire qui per quello.»
«Allora per cosa?»
«Indovina dove svolgeva il suo incarico di funzionario della sicurezza?»
«Principessa, non ho tempo per gli indovinelli!»
«In Corsica.» Mimi era raggiante.
Janson le sorrise a sua volta. «Dio ti benedica, principessa.»
«Sarà qui tra un’ora. Intanto vuoi fare una doccia, o magari riposarti un po’? Sei stato su un aereo tutta la notte.»
«Una doccia sarebbe magnifica.»
Dominique Ondine aveva prestato servizio per la maggior parte della sua vita lavorativa in Corsica, provincia francese, dove aveva contrastato i separatisti locali, la mafia dell’Union Corse e le lotte tra clan litigiosi, che si facevano la guerra su presunti sgarri, insulti e faide covate per generazioni. Era un uomo molto pallido, guardandolo si sarebbe detto che svolgesse il suo lavoro per lo più al chiuso o di notte.
«Ho dato la vita per il mio Paese. Poi è arrivato un politico a portarmela via.»
Non era ancora mezzogiorno e, a giudicare dal suo odore, Dominique Ondine aveva già bevuto diversi cognac. Mimi gliene versò un altro bicchierino, che subito sparì nella presa energica della sua mano con le nocche piene di cicatrici. Janson centellinava il suo mentre parlavano, seduti al tavolo della cucina di Mimi, ora imbandito con un trionfo di formaggi, pane e salumi appena recapitati a casa da Harrods Food Hall.
«Dunque lei sta per andare in Corsica, mi dice la nostra amica principessa» disse Ondine.
«Sì, devo incontrarmi là con una mia collaboratrice.»
«Spero per il suo bene che non sia nel ramo dello sviluppo immobiliare.»
«Perché dice così?»
«La Corsica è sull’orlo dell’anarchia. Il movimento nazionalista protesta sempre più energicamente contro la “colonizzazione” dei turisti ricchi. Le imprese che s’impossessano di terreni sul mare per costruire hotel e villaggi non sono viste di buon occhio.»
«Allora non dovrei avere problemi. Mi occupo di consulenza per la sicurezza aziendale.»
Ondine inarcò un folto sopracciglio, socchiuse gli occhi annebbiati dal cognac e scrutò Paul Janson con attenzione. Appena sbarbato, fresco di doccia e con un’impeccabile camicia azzurra presa a prestito dalla collezione di Mimi, l’americano cordiale e prestante gli era sembrato un dirigente di banca, un medico o un avvocato in vacanza a Londra. Ma adesso Ondine non ne era più così sicuro.
«L’incendio doloso e la dinamite» spiegò a Janson «sono le armi preferite dai corsi. La vendetta è il loro tribunale. Sono introversi, poco aperti all’esterno. Questo atteggiamento complica il compito di chi deve garantire la sicurezza degli estranei che danno loro fastidio. È davvero impegnativo.»
Janson replicò in modo vago, anche se in seguito agli avvistamenti di Iboga, come quello segnalato dall’ex SEAL Daniel, stava già elaborando una storia per coprire un’operazione sull’isola.
Jessica Kincaid era già sul posto, dove faceva ricognizioni e raccoglieva informazioni da inviare alla CatsPaw. Il Protocolo de Seguridad di Freddy Ramirez stava reclutando un gruppo di esfiltrazione. Quintisha Upchurch coordinava i vari intermediari in grado di fornire elicotteri, barche e una nave da carico.
«Per nostra fortuna» disse Janson a Dominique Ondine, «noi abbiamo l’incarico solo di verificare le credenziali degli investitori stranieri. La loro incolumità fisica compete ad altri.»
«Non mi è chiaro.»
«Il governo francese, il suo governo, vuole evitare di entrare in conflitto con le leggi europee contro il riciclaggio di denaro. Il mio lavoro consiste nel controllo dei potenziali investitori in progetti di sviluppo che hanno il sostegno del governo francese. In altre parole, un trafficante di droga intenzionato a investire i suoi profitti illegali in un hotel sul mare, non passerebbe l’esame e non potrebbe mettere i suoi soldi nel progetto.»
«Ah. Quindi lei è un po’ più di un contabile.»
«Esatto» confermò Janson, inforcando gli occhiali con la montatura metallica.
«Le ripeto: la Corsica è una regione a rischio. Se ci fosse un attacco dei separatisti e per puro caso lei dovesse trovarsi tra coloro che sorseggiano champagne in un elegante resort a Punta d’Oro, gli isolani arrabbiati potrebbero non andare troppo per il sottile.»
«Grazie per l’avvertimento.» Janson alzò il bicchiere e lo inclinò verso Ondine. «Eviterò le bollicine e rimarrò fedele all’onesto cognac.»
Finalmente Ondine sorrise.
«Mi dica, nella sua esperienza, che a quanto mi assicura Mimi è ampia e di lunga data, si è mai imbattuto in un’organizzazione detta Sécurité Referral?»
«Non.» Ondine tagliò un pezzo di salsiccia, lo mise su una fetta di pane e masticò di gusto. Janson notò lo sguardo intenso di Mimi soffermarsi sul francese. Sta mentendo, pensò.
«Le dice qualcosa il nome Emil Bloch? Forse è uno dei loro.»
«C’era un mercenario di nome Bloch» confermò Ondine. «Prima stava nella Legione Straniera.»
«Ma non ha mai sentito il suo nome associato a questa Sécurité Referral?»
«Non!»
«Pare ci sia anche un corso legato alla Sécurité Referral. Un certo Andria Giudicelli.»
«Merde.» Ondine aveva l’aria di essere sul punto di sputare il boccone sul pavimento, se non si fosse trovato nella cucina di Mimi.
«Lo conosce?»
«Se lo conosco? L’ho arrestato io, vent’anni fa.»
«Con quale accusa?»
«Riciclaggio corso.»
«Mi scusi, come ha detto?»
Ondine fece un sorrisetto. «Nel gergo dell’isola con “riciclaggio corso” si indica un incendio doloso. Lui aveva appiccato il fuoco allo stabilimento di un rivale. I suoi compari l’hanno fatto uscire di prigione e da allora si è dato alla macchia. Non è mai più tornato in Corsica.»
«Avrebbe potuto entrare a far parte della Sécurité Referral?»
«Non so cosa sia la Sécurité Referral, dunque non sono in grado di rispondere.»
«Ho capito bene o lei è in pensione?» chiese Janson.
Ondine deglutì rumorosamente e si pulì le mani con un tovagliolo.
«Di tanto in tanto faccio consulenze. Sempre meglio che passare tutta la giornata al bar.»
Janson gli diede un biglietto da visita della Janson Associates. «Mi chiedo se posso avere il suo numero, in modo da poterla chiamare in caso di bisogno.»
«Ma certo.» Ondine tirò fuori un cartoncino e si alzò da tavola. «Merci, principessa. Lieto di aver fatto la sua conoscenza, signor Janson.»
«Spero di risentirla presto» rispose Janson, e i due si strinsero la mano.
Mimi accompagnò il francese alla porta. Quando tornò in cucina, Janson si stava infilando la giacca.
«Dove stai andando?»
«Come ho detto anche a lui, in Corsica.»
«Ha mentito sulla Sécurité Referral.»
«Lo credo anch’io.»
«Perché, secondo te?»
«Potrebbe averne sentito parlare e aver paura, oppure lavora per loro. Da quanto ho potuto vedere, è proprio il loro tipo: sveglio, professionale; un cane sciolto con le conoscenze giuste. D’altra parte, è un po’ troppo in là con gli anni.»
«Perché non hai insistito di più?»
«Perché non sarebbe stato giustificabile, per uno che si occupa di investimenti.»
«Ma andrai avanti?»
Janson le diede un bacio su una guancia. «Sei stata magnifica. Come sempre.»