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46a Ovest, n. 221
New York
Paul Janson scese la ripida rampa di scale che portava al Sofia’s Club Cache, nel seminterrato dell’Hotel Edison. La bruna con i capelli ricci, uno schianto di ragazza, prese i quindici dollari dell’ingresso con il sorriso radioso riservato ai nuovi clienti e vide in lui ciò che doveva vedere: un uomo solo in viaggio d’affari, che sperava di passare un piacevole lunedì sera ascoltando il jazz classico di Vince Giordano e dei Nighthawks. Il completo blu scuro, tagliato ad arte per snellire la sua corporatura robusta, aveva l’aria di un classico abito Brooks Brothers con le spalle morbide, non troppo costoso o ricercato. Il sarto aveva fatto in modo di eliminare i bottoncini sulle maniche e le asole cucite. Dalle rughe sulla fronte poteva dimostrare circa trentacinque anni. Le lievi cicatrici avrebbero potuto essere frutto di qualche incidente sportivo.
Janson prese il resto, salutò la ragazza con un sorriso neutrale e commentò, come la metà dei clienti che scendevano le scale, The joint is jumpin’, il titolo di un famoso brano degli anni Quaranta.
In fondo all’ampia sala dal soffitto ribassato, la band di undici elementi in smoking, con sassofoni, clarinetti, trombe, trombone, banjo, pianoforte, percussioni e un contrabbasso in alluminio, stava eseguendo Shake that thing. Seduti ai tavoli, un centinaio di spettatori mangiavano e bevevano. Sulla pista ballava una decina di coppie, e alcuni erano davvero bravi. I ballerini oltre i trent’anni indossavano abiti ispirati all’epoca d’oro del jazz. I più giovani preferivano T-shirt e pantaloni cargo.
Tra questi c’era una ragazza dai lineamenti decisi e regolari, zigomi alti, labbra carnose e capelli castani corti e spettinati, molto sexy. Stava ballando un velocissimo one-step anni Venti, con l’intensità e la precisione di una tagliatrice al laser. Janson nascose a stento un sorriso di apprezzamento. Il motto di Jessica Kincaid era: «Vai veloce fino a sentire male, poi aumenta il ritmo e fallo ancora meglio».
Kincaid lanciò a Janson un’occhiata mista di ammirazione e invidia. Paul Janson era un maestro del non apparire, e questa sua capacità la faceva impazzire.
Lei tentava in ogni modo di essere camaleontica. Lavorando su abbigliamento, acconciatura, gioielli e trucco poteva far credere di avere dai venticinque ai trentacinque anni, e trasformarsi in una videoartista, una barista o un’impeccabile funzionaria di banca. La sola cosa che non le riusciva era non farsi notare, e quando ci provava Janson la prendeva in giro ridendo e dicendole che «non appariscente» e «interessante» non potevano stare nella stessa frase.
Paul Janson c’era, eppure risultava invisibile: era abilissimo a nascondersi in piena vista. Volendo, poteva riempire una stanza della sua presenza, ma più probabilmente sarebbe entrato senza farsi notare, proprio come aveva fatto in quel momento, per andarsene allo stesso modo. Sapeva persino abbassare le spalle per sembrare meno imponente. Lei lo guardò di nuovo. Questa volta lui le restituì l’occhiata e si avviò verso le scale.
«Devo andare» disse al suo maestro di ballo. Il dovere la chiamava.
La berlina nera appariva identica ad altre migliaia di macchine a noleggio con conducente che giravano per Midtown. Ma chi stava al volante aveva guidato i veicoli blindati di scorta ai convogli di autocisterne in Iraq e le luci interne non si accesero quando Jessica aprì la portiera.
«Dove andiamo?» domandò alla sagoma massiccia di Janson nell’ombra.
«Prima fermata Houston, Texas. Quartier generale della American Synergy Corporation, la compagnia petrolifera più grande del Paese. Si è beccata la fetta più grossa dopo il disastro della British Petroleum nel Golfo del Messico.»
«E poi?»
«Suppongo in Africa occidentale, se otteniamo l’incarico. Altrimenti, si torna a casa. Probabilmente non partiremo.»
«E allora perché ci andiamo?»
«Il presidente della sicurezza globale della ASC è un mio vecchio amico.»
Jessica annuì nella penombra. Janson aveva un sacco di amici, e quando chiamavano lui accorreva. Le passò una salvietta di spugna.
«Tieni, asciugati.»
Grondante di sudore dopo aver ballato a velocità da cardiopalma, la ragazza tremava nell’abitacolo.
«Vuoi forse insinuare che ho urgente bisogno di una doccia?» Nonostante parlasse bene diverse lingue e avesse un talento straordinario nell’imitare gli accenti, Jessica Kincaid non era riuscita a cancellare del tutto l’inflessione del Kentucky dove era cresciuta, specie quando era da sola con Janson.
«Potrai fartela sull’aereo.»
La berlina nera trovò il semaforo verde sulla Madison Avenue, quindi passò sulla Major Deegan e s’immise nella Hutchinson River Parkway. Non c’era molto traffico, a quell’ora di notte. Quaranta minuti dopo essere usciti dall’Hotel Edison, entrarono all’aeroporto di Westchester, superarono il terminal passeggeri e continuarono fino a un cancello di rete metallica. Una voce al citofono chiese di identificarsi.
«Otto-due-due-R-E» scandì l’autista e, quando il cancello elettrico si aprì, entrò. Un addetto spalancò un secondo cancello che conduceva alle piste di decollo e atterraggio, una vasta distesa buia punteggiata di luci azzurre, gialle e verdi a segnalare le vie di rullaggio e i limiti delle piste. L’auto si fermò accanto a un jet Embraer Legacy 650 color argento, con due poderosi motori Rolls-Royce AE 3007 in coda. I piloti stavano ultimando i controlli prevolo.
Janson e Kincaid salirono a bordo, ritirarono la scaletta pieghevole integrata che permetteva l’uscita rapida in caso di emergenza, indipendentemente dalle infrastrutture aeroportuali, e chiusero il portellone.
Il jet privato, progettato per trasportare quattordici passeggeri, era stato trasformato in una spaziosa e confortevole cabina per due. Alla Embraer l’avevano riconfigurato in base alle richieste di Janson, modificando il velivolo in modo da poter trasportare due o tre agenti ben riposati e adeguatamente nutriti, equipaggiati e preparati a portare a termine qualsiasi tipo di incarico, ai quattro angoli del pianeta. La cucinetta di bordo, subito dietro la cabina di pilotaggio, era stata ampliata e la toilette e la zona in coda alle tre aree dei sedili erano state trasformate in un guardaroba e in un bagno dotato di ogni comfort. Al posto dei sedili nella parte anteriore erano stati ricavati uno studio e una sala da pranzo. Nella sezione centrale trovavano posto dei letti pieghevoli per i voli transoceanici.
L’aereo si era portato a dodicimila metri e il pilota stava comunicando via radio «New York center, Embraer due-due-Romeo, livello uno-due-zero», quando Jessica uscì dalla doccia avvolta in un accappatoio. Janson, seduto su una poltroncina di cuoio verde, dove era intento a esaminare un dossier contrassegnato dalla scritta ASC – AMERICAN SYNERGY CORPORATION, alzò gli occhi per guardarla. Un computer portatile era aperto sul tavolino a fianco e teneva a portata di mano un bicchiere d’acqua.
Una copia del dossier e un secondo notebook erano posati a fianco della poltroncina rossa di Jessica, insieme a un altro bicchiere d’acqua e ad alcune compresse di integratori energetici al gusto lime.
Janson guardò al di sopra della sottile montatura metallica degli occhiali da lettura che Kincaid definiva «occhialetti da bravo ragazzo» e commentò: «Se si potesse mettere in bottiglia il profumo di una donna appena uscita dalla doccia, saremmo ricchi».
«Alcune persone di mia conoscenza pensano che siamo già ricchi.» Posò un dito su un lettore di impronte digitali per consentire l’apertura di un vano portaoggetti nascosto ed estrasse il suo fucile di precisione Knight’s M110 semiautomatico. L’arma era in condizioni perfette, ma decise comunque di smontarla, disponendo i vari pezzi sul tavolo da pranzo ribaltabile, li pulì e lubrificò uno a uno, controllando eventuali segni di usura, e riassemblò il tutto. A Janson, nel vederla impegnata in quel rituale, era sempre sembrata un gatto intento a leccarsi la pelliccia.
Jessica avrebbe preferito, prima di riporre il fucile nel vano portaoggetti, aprire anche la valigetta degli accessori ed esaminare con cura anche il mirino per la visione diurna e notturna, il bipiede per la carabina e il mirino laser. Ma in quel momento doveva dedicarsi alla lettura di quel dossier, ancora in attesa accanto alla sua poltroncina.
«Ti dispiace se prendo una delle tue camicie?»
«Accomodati» rispose lui, senza alzare gli occhi.
Da una cassettiera estrasse una camicia Burberry azzurra fresca di bucato e rimosse delicatamente il cartoncino sistemato all’interno dell’indumento per tenerlo in forma. Rimise a posto la Burberry, si sedette sulla poltroncina, indossò un paio di auricolari antirumore per concentrarsi meglio e aprì il dossier sulla American Synergy Corporation. Il cartoncino della camicia le serviva per farlo scorrere sulla pagina, coprendo così ogni riga già letta. Lo faceva per evitare di tornare a leggere ossessivamente le stesse parole, nel timore di essersi lasciata sfuggire qualcosa.
«Non è una dislessia grave» aveva spiegato a Janson la prima volta. «Solo dislessia. Non lo sapevo, quando abitavo a Red Creek. Pensavano tutti che fossi un po’ lenta, ma non m’importava poi tanto» aveva aggiunto rapidamente. «Ero più brava dei ragazzi a sparare e sapevo aggiustare qualsiasi macchina nell’officina della stazione di servizio di papà.»
Aveva escogitato il trucco del cartoncino quando frequentava i corsi di livello universitario per entrare nell’FBI, il primo gradino per accedere alle Operazioni Consolari.
Lesse il rapporto sulla ASC da cima a fondo. Quando aveva bisogno di verificare un dettaglio con una ricerca in Internet posizionava il cursore e faceva lo scrolling verso il basso, in modo da nascondere quanto aveva già letto. Capì di essere troppo stanca per continuare quando cominciò a leggere delle p al posto delle b.
A quel punto inserì un dvd Blu-Ray promozionale dal titolo American Synergy Corporation: nuova energia per un nuovo domani.
Paul aveva reclinato lo schienale e si era addormentato. Jessica premette un pulsante per abbassare anche la propria poltroncina e ascoltò il discorso agli azionisti di Kingsman Helms, presidente della Divisione Idrocarburi della ASC. Era un bell’uomo e sapeva parlare; le ricordava i predicatori evangelici di casa sua.
«Non si tratta di raccontare la nostra storia con belle parole. Noi dobbiamo creare una storia ancora migliore. Crescita a lungo termine significa sopravvivenza a lungo termine. Il petrolio è solo una delle fonti energetiche delle quali ci occupiamo, insieme all’eolico, al solare, alle biomasse, al nucleare e al carbone. La nostra missione è quella di fornire energia sicura, non pericolosa, compatibile con l’ambiente ed economica. E non soltanto oggi, ma anche tra vent’anni.
«Molte cose sono andate male, ultimamente.» Helms qui fece una pausa per guardare direttamente in camera, con un’espressione che faceva capire a tutti cosa pensasse delle speculazioni di Wall Street, delle ingerenze governative, degli sprechi e dei disastri a causa di concorrenti male amministrati. «Gli americani contano su di noi oggi più che mai. La ASC non li deluderà, perché noi della ASC non dimentichiamo mai che essere leader in un settore non significa esserlo oggi, qui e ora. Significa continuare a esserlo domani e domani ancora. Fra un anno. Nel futuro.»
I ricercatori avevano aggiunto al dvd un commento vocale: «Da notare che la compagnia non fa affatto uso di biomasse, definite in una nota segreta per la sola circolazione interna “uno scherzo colossale perpetrato dagli Stati agricoli ai danni del Congresso”. La ASC ha investito in impianti a tecnologia solare e in aziende produttrici di turbine eoliche il minimo indispensabile a darsi una pennellata di verde, e recentemente ha accumulato un elevato numero di partecipazioni in compagnie carbonifere degli Appalachi». Jessica cominciò a innervosirsi: il carbone significava miniere a cielo aperto e intere cime di montagne fatte saltare con l’esplosivo.
I ricercatori avevano messo in risalto l’ambizione principale della ASC: porsi in concorrenza diretta per le nuove «risorse del sottosuolo» con la China National Offshore Oil Corporation. «Per dirlo con parole semplici, per quanto la ASC sia potente, grande e globalizzata, si trova schiacciata dalla Cina. Per restare al comando del settore “ancora tra vent’anni”, la ASC dovrà condurre i suoi affari senza alcuno scrupolo.»
L’Embraer atterrò all’Hobby Airport di Houston alle tre del mattino. L’aereo avanzò lento sulla pista fino al terminal privato Million Air e qui uno dei due piloti svegliò i passeggeri alle sei, per la colazione preparata da lui personalmente.
«Sai cosa temo di più, Mike?» disse Janson, annodandosi una cravatta a piccoli disegni. «Che uno di questi giorni ti licenzi per aprire un ristorante.»
«Alla macchina tra due minuti» annunciò Jessica, uscendo dallo spogliatoio con un tailleur estivo a righe sottili. I capelli, di solito scompigliati, erano acconciati in un caschetto liscio da giovane manager, che le lasciava scoperte le orecchie e la bella fronte. Aveva un modo di fare rapido ed efficiente.
L’auto della Million Air li condusse fino all’Hilton Americas-Houston. Attraversarono l’ingresso circolare pavimentato in marmo, entrarono nell’atrio e si mescolarono ai tanti uomini d’affari che avevano appena fatto colazione al vicino Brown Convention Center. Ma, uscendo dal corridoio che metteva in comunicazione i due edifici, Janson e Kincaid passarono oltre i banchi per la registrazione e uscirono per salire su un taxi.
Il quartier generale della American Synergy Corporation aveva sede in un grattacielo a base circolare di trenta piani, che sorgeva a lato della Sam Houston Tollway come un gigantesco silo di bronzo. Il viale di accesso, l’ingresso principale e l’atrio erano costellati di telecamere di sorveglianza. Nell’atrio, i visitatori venivano ispezionati con il metal detector da guardie armate. Gli impiegati alla reception erano anch’essi armati, ma in modo più discreto.
«Paul Janson e Jessica Kincaid. Abbiamo un appuntamento con Douglas Case.»
I loro badge dei visitatori erano già pronti al banco.
Salirono in un ascensore riservato fino al ventinovesimo piano, dove si trovavano gli uffici dei dirigenti. Dalle finestre si vedeva una nuvola di smog, tinta di arancione dal sole del mattino. Udirono il lieve ronzio di una carrozzella elettrica, poi una voce gioviale. «Paul!»
Janson si trovò di fronte il veicolo a sei ruote costruito su misura e tese la mano per salutare. «Salve, Doug. Come va?»
«Bene, benissimo. Fantastico.»
Si strinsero la mano e si scrutarono per un lungo momento. Due uomini maturi e ben vestiti, pensò Jessica Kincaid. Doug Case aveva la stessa aria vissuta di Paul: ben sbarbato, i capelli corti tagliati con cura, un completo da quattromila dollari, camicia immacolata e una squillante cravatta gialla.
«Grazie per essere venuto qui subito.»
«È un piacere. Lei è la mia socia: Jessica Kincaid.»
La stretta di mano di Doug Case aveva la forza flessibile del Kevlar.
La studiò con occhi penetranti, poi disse piano girandosi verso Janson: «Cosa sa?».
«Su di noi?» domandò Janson. «Forze Speciali. A te hanno sparato, a me no.»
«Cosa mi dici di te, Jessica? Da dove vieni?»
«Da dove viene lei non ti riguarda» rispose Janson al suo posto, in un tono che suonò allo stesso tempo cordiale e deciso.
Case continuò dicendo: «Jessica, sapevi che il mio ex collega, attualmente il tuo, nell’ambiente degli agenti segreti era soprannominato “la Macchina”?».
«Sì. La leggenda è nota» replicò Kincaid con un sorriso, dopo aver guardato Janson.
«“La Macchina” era il migliore di tutti e…»
«Lascia perdere, Doug. Argomento vietato» lo interruppe Janson.
«Comunque, abbiamo tutti voltato pagina, giusto?» proseguì Doug. «Ora dedico tutte le mie energie ai sistemi SCADA compromessi.»
Guardò con aria provocatoria Jessica, la quale continuava a sorridere. «I sistemi SCADA, Supervisory Control And Data Acquisition o Controllo di supervisione e acquisizione dati, sono sempre più soggetti a incidenti di cibersicurezza, dato che le aziende passano dalle reti di sicurezza private alle reti basate su Internet per risparmiare sui costi.»
«Ma tu non ci hai fatto venire qui per parlarci dei sistemi SCADA, Doug» osservò Janson.
«Hai ragione. Andiamo nel mio ufficio.»
Seguirono la sedia a rotelle di Doug Case lungo un ampio corridoio con diverse porte chiuse.
«Com’è andato il vostro volo?» chiese Doug.
«In perfetto orario.»
Nell’ufficio degli assistenti di Doug Case c’erano una donna di mezza età, che venne loro presentata come Kate, e due giovanissimi assistenti dall’aria seria. Il suo ufficio privato era rivolto a sud.
«Nelle giornate serene si riesce a vedere fino al Golfo del Messico.»
«In questo momento preferiresti vedere il Golfo di Guinea» commentò Janson.
«Come ti viene questa idea?»
«Come sta andando la ASC?»
«A gonfie vele. Abbiamo standard di sicurezza elevatissimi. Seguiamo tutte le procedure senza combinare casini e siamo imbattibili nel contenere i costi. In questo modo riusciamo a guadagnare più di chiunque altro per un barile di petrolio. Inoltre, la American Synergy ha mantenuto i nervi saldi quando tutti gli altri diventavano pazzi a cercare fonti di energia alternative e a tentare di estrarre petrolio da pozzi ormai esauriti.»
«Ma neppure voi avete molti pazzi in attività, e se oggi c’è un luogo al mondo dove la ASC potrebbe rimpinguare le proprie scarse riserve di petrolio, quello è l’Africa occidentale. La Cullen ha trovato un bel giacimento al largo della Costa d’Avorio e probabilmente anche voi sperate di fare lo stesso, prima che ve lo soffino i cinesi. Quindi il vostro problema è nel Golfo di Guinea.»
«Ti sei preparato bene, Paul. Come al solito. Ma non ti ho fatto venire qui per questo. Le riserve di petrolio non c’entrano nulla.»
«Allora di cosa si tratta?»
«Forse avrai sentito che la settimana scorsa abbiamo perso una nave di servizio offshore.»
«Ho letto che nel Golfo di Guinea è affondata una nave di quel tipo con tutto l’equipaggio. Non sapevo appartenesse alla American Synergy. Era registrata a nome di un armatore olandese.»
«La nave è stata attaccata da un gruppo di ribelli del movimento Free Foree, così siamo venuti a sapere.»
«Perché?»
«Hanno ucciso tutti i membri dell’equipaggio.»
«Per quale motivo?»
«E chi lo sa, accidenti! Il problema è che quei pazzi assassini hanno rapito uno dei nostri uomini. Dobbiamo andare a prenderlo. E qui entri in gioco tu.»
«Non sarà facile, se quelli del Free Foree hanno portato il tuo uomo nella loro base in montagna, sul Pico Clarence» osservò Janson.
«L’hanno portato proprio sul Pico Clarence, molto in alto e parecchio lontano dalla costa.»
«Torno di nuovo alla mia domanda: cosa c’è sotto? Un’unità di ribelli dell’FFM che massacra l’intero equipaggio di una nave… non ha alcun senso. I ribelli stanno già vincendo la loro guerra. Il “presidente a vita” Iboga è detestato da tutti.»
«In effetti, mangiare i testicoli e il cervello dei propri rivali politici è una cosa che può urtare l’opinione pubblica, persino in Africa» concesse Case.
«Iboga sta rapidamente perdendo consensi» continuò Janson. «Sta per essere rovesciato.»
Il presidente a vita Iboga, in passato leader dell’opposizione alla Isle de Foree ed ex combattente nelle guerre in Angola, era salito al potere con un colpo di Stato e, appoggiato dall’esercito nigeriano, aveva ottenuto l’indipendenza dalla Guinea Equatoriale. Dopodiché il dittatore aveva distrutto l’economia dell’isola cedendo le piantagioni di caffè e cacao ai suoi amici corrotti e mandando in malora la piccola e antiquata infrastruttura di estrazione petrolifera dell’isola. Iboga aveva preso il suo nome dall’omonima pianta allucinogena della foresta pluviale.
«Da quanto ho capito, i ribelli stanno acquistando munizioni dai trafficanti angolani e sudafricani. Hanno già impedito agli elicotteri di Iboga di sorvolare il Pico Clarence. E hanno appena fatto evadere il loro leader dalla prigione di Black Sand, un’altra ragione per cui non ha senso che abbiano ucciso dei vostri dipendenti. Ferdinand Poe è un faro della speranza democratica. Perché dunque i miliziani di Ferdinand Poe dovrebbero mettere in pericolo la sua giusta ribellione uccidendo degli innocenti? Lui ha bisogno che le nazioni del mondo riconoscano il suo nuovo governo come legittimo, non può permettersi di attirarsi pesanti critiche.»
«Ottima osservazione» ammise Case. «Ma ti ripeto, non abbiamo idea di cosa ci sia dietro. Qualche frangia di militanti violenti potrebbe essere sfuggita al controllo di Poe. Quella della Foree finora è stata una battaglia lunga e dolorosa, con parecchia violenza da entrambe le parti.»
«Hanno chiesto un riscatto?» chiese Jessica Kincaid.
«No. Si tratta di un medico. Forse gli serviva un dottore per Ferdinand Poe. È facile immaginare in quali condizioni sarà uscito dal carcere di Black Sand.»
«Ma se la nave è affondata, l’equipaggio è stato assassinato e i ribelli non si sono fatti vivi per chiedere un riscatto, come fate a sapere che i ribelli dell’FFM hanno catturato uno dei vostri uomini?» continuò Jessica.
«Indovina un po’» rispose Douglas Case.
«Indovinare?» ribatté lei, lanciando a Janson un’occhiata equivalente a un «chi è questo idiota?».
Janson, avendo già intuito l’istintiva antipatia tra Jessica e Doug, rispose al suo posto per appianare la tensione: «Poiché la ASC è impegnata in diverse zone del Golfo di Guinea, presumo che Doug nel tempo libero dalla sua attività con i sistemi SCADA mantenga contatti con i trafficanti d’armi africani per tenersi al corrente di quello che succede nel campo dei ribelli. È corretto, Doug?».
Douglas Case gli strizzò l’occhio. «Un altro punto per “la Macchina”.» Si rivolse a Jessica e disse: «I fornitori dell’artiglieria all’FFM hanno pensato di tenermi informato su quanto accade sul Pico Clarence».
«Perché non incarichi questa gente di andare a recuperare il medico?»
Case rise e fece di nuovo l’occhiolino a Janson. «I bambini sono la bocca della verità.»
«Cosa?» scattò Jessica, piccata.
«Sono trafficanti di armi. Fanno entrare della roba, non la fanno uscire. Inoltre, non hanno intenzione di mettere a rischio la prossima vendita. Se davvero l’FFM sta ottenendo dei buoni risultati, come pensa Paul, questi uomini agiranno con la massima cautela, perché sperano di vendere armi più costose ai loro amici, quando quest’ultimi saranno al governo.»
Si udì il ronzio di un cellulare silenziato. Case lo prese da un piccolo vano ricavato tra i pulsanti e i comandi sul bracciolo della sedia a rotelle.
«Ho detto di non passarmi nessuna chiamata… bene, grazie.» Chiuse la telefonata e annunciò: «State per incontrare Kingsman Helms, presidente della Divisione Idrocarburi della ASC».
«Lo abbiamo visto in video» disse Kincaid.
Case fece una smorfia. «È l’arroganza aziendale fatta persona» sentenziò, e ripeté la frase a effetto di Helms: «“Non si tratta di raccontare la nostra storia con belle parole. Noi dobbiamo creare una storia ancora migliore.” Cosa ne dici di questa storia: da vent’anni la produzione di gas naturale in America è schiacciata dalle grandi compagnie petrolifere e del carbone. Chissà perché, per gli azionisti il sole sorge e tramonta sulla testa di questo figlio di puttana».
«Mi sembri in lieve disaccordo con il tuo datore di lavoro» sogghignò Janson.
«Helms è la più grande serpe nel nido di serpi del Buddha.»
«Chi sarebbe il Buddha?» intervenne Jessica Kincaid.
«È il direttore generale della American Synergy, Bruce Danforth. E Kingsman Helms è uno dei quattro uomini e delle due donne che non esiterebbero a sgozzare la propria madre, se in questo modo potessero prendere il posto del Buddha alla guida della ASC.»
«Fai parte anche tu del gruppo?» domandò ancora Kincaid.
Case replicò con un sorriso di ghiaccio. «Chi si occupa di sicurezza non può ambire a un posto simile.»
«La sicurezza ti ha appena avvisato dell’arrivo di Helms» ribatté Jessica. «Tu stai sorvegliando la concorrenza.»
«I capi della sicurezza, e anche i consulenti, sono solo funzionari, Jessica. Lo si capisce abbastanza presto, nel nostro settore. Noi proteggiamo, non comandiamo.»
La porta si spalancò all’improvviso. Kingsman, trentotto anni, alto e biondo, entrò a grandi passi senza bussare. «A quanto pare hai chiamato i marines, Doug.»
Lo sguardo azzurro e penetrante di Helms indugiò su Jessica. «Salve, marine.»
Quindi si rivolse a Paul Janson. «Kingsman Helms» si presentò, tendendogli la mano. «Lei è…?»
Kincaid celò un sorrisetto nel vedere Janson farsi avanti, costringendo Helms a fermarsi.
«Paul Janson, della CatsPaw Associates.»
«Di quale zampa di gatto si tratta? Forse delle “zampe veloci del gatto” nei versi di Keats? O forse della zampa di gatto che la scimmia di papa Giulio III usava per cavargli le castagne dal fuoco?»
«Siamo un’azienda che fornisce servizi completi.»
Helms fece un sorriso di apprezzamento. «Interessante.»
«Questa è la mia socia, Jessica Kincaid.»
«Piacere di conoscerla, Jessica» disse Helms sorridendo, poi si rivolse a Janson in tono sbrigativo. «Allora, con chi state voi due?»
«La CatsPaw Associates è indipendente.»
«Se è indipendente, sarà molto piccola.»
«I clienti per cui accettiamo di lavorare apprezzano la nostra agilità.»
«Dubito che una piccola società sia in grado di mettere in campo le risorse necessarie a portare a termine il lavoro» replicò Helms freddamente.
Janson fu sorpreso quando Douglas Case intervenne tagliando corto: «Basta così, Kingsman. Sono stato io a contattarli».
Helms lo ignorò. «Non riesco a capire quale logica ci sia nel pagare due soggetti, uno di mezza età, l’altro una donna, senza offesa per nessuno, sia chiaro, per eseguire il tipo di operazione militare necessaria a recuperare il nostro dipendente.»
Case fece ruotare la carrozzella in modo da trovarsi di fronte a Kingsman Helms. Poi premette un pulsante sul bracciolo per azionare i pistoni idraulici che sollevavano il sedile, mentre la base si allargava grazie ad alcuni bilancieri per contrastare il centro di gravità più alto. Faccia a faccia con il dirigente, Case gli si rivolse in tono pericolosamente sarcastico: «Il nostro medico è tenuto prigioniero in una zona di guerra, nel bel mezzo di un’isola sperduta, da un esercito di ribelli pronti a tutto circondato a sua volta dall’esercito di uno spietato dittatore. Il genere di “risorse” del quale lei sta vaneggiando, con la tipica leggerezza del civile, scatenerebbe un bagno di sangue, con il risultato che il medico rimarrebbe ucciso».
«Sto soltanto…»
Case lo interruppe di nuovo. «La Foree è una cazzo di isola a duecentocinquanta miglia dalla costa, e nessun porto sulla costa africana sarebbe disposto a fornire una base operativa a un’unità speciale di grandi dimensioni. Una missione troppo aggressiva non riuscirebbe a salvare il nostro uomo. Si trova in un dannato casino, e non conosco nessuno più qualificato di Paul Janson per tirarlo fuori di lì. Ci scommetto il posto.»
«Lei ha uno sponsor deciso, Paul» commentò Helms. «Dal momento che a quanto pare l’incarico è suo, può dirmi quanto ci costerà?»
«Niente, fino a quando non le riconsegniamo il suo uomo. Provvediamo noi alle spese. Per Doug facciamo un prezzo da amico: cinque milioni di dollari.»
«Sono un bel po’ di soldi.»
«È vero» annuì Janson.
«Affare fatto. Le consegne sono queste: salvare il medico a ogni costo; non lasciare nulla di intentato. La ASC non abbandona i suoi dipendenti. Siamo una famiglia.»
«Non abbiamo ancora accettato l’incarico» fece notare Janson.
«Perché? Qual è il problema?»
«Ci servono maggiori informazioni sulle circostanze. Cosa ci faceva il medico su quella nave?»
«Come, cosa ci faceva? Faceva il suo lavoro.»
«Come si chiama?» intervenne Kincaid.
Helms lanciò un’occhiata a Doug Case, il quale rispose: «Flannigan. Dottor Terrence Flannigan».
Janson chiese: «Ecco, cosa ci faceva il dottor Flannigan su una nave di servizio offshore? Su quel tipo di navi non ci sono medici aziendali. O forse aveva trovato un passaggio sulla nave per andare da qualche parte?».
Helms guardò di nuovo Doug Case, come se la descrizione delle mansioni di un medico aziendale non lo riguardasse. Case spiegò: «Probabilmente lo stavano accompagnando su una piattaforma petrolifera, per curare qualcuno che ne aveva bisogno».
«Perché la vittima non è stata trasportata a terra in elicottero? In genere è questa la prassi.»
«Scoprilo, Doug» disse Helms a Case. «Cerca di sapere dove era diretto il dottor Flannigan.» Sorrise a denti stretti. «Anzi: Paul, se lei riesce a recuperarlo rapidamente potrebbe chiederglielo di persona. È stato un piacere conoscerla. Anche lei, Jessica. Ora devo andare. Spero davvero che accetterete l’incarico» disse, e si congedò.
«Cosa ne pensi, Paul?» chiese Doug Case. Tutto a un tratto si era fatto deferente, quasi supplichevole. Lui senza dubbio voleva che fosse Janson a occuparsi della faccenda. Paul non vi attribuì molta importanza: tutti preferiscono lavorare con chi conoscono.
«Studieremo la fattibilità dell’operazione» assicurò. «Avrai la risposta entro dodici ore.»
Jessica si diresse alla porta. Doug Case richiamò l’ex collega: «Paul, potresti aspettare un momento? Vorrei parlare con te da solo».
Janson rientrò nell’ufficio di Case e chiuse la porta.
«Cosa succede?»
«Apprezzo davvero quello che stai facendo.»
«Lo farò, se è fattibile.»
«Ancora una volta, sono in debito con te.»
«Te l’ho già detto tempo fa: se hai un debito, pagalo al tuo prossimo.»
«Grazie, me ne ricorderò. Ora stammi a sentire. Se Helms diventerà o meno il prossimo direttore generale non ha alcun peso nella faccenda del rapimento. Il Buddha non andrà in pensione domani. Quindi, non preoccuparti di Kingsman Helms.»
«Non me ne preoccupo.»
«Quello che gli ho appena detto è vero. Non riesco a pensare a nessun altro in grado di riuscire nell’impresa senza coinvolgere involontariamente la compagnia in una fottutissima guerra civile. Noi vogliamo soltanto riportare a casa il nostro uomo. E non c’è bisogno che ti faccia presente quanto questo rafforzerebbe la mia posizione qui dentro.»
«Se riterrò di potercela fare, accetterò l’incarico.»
«Jessica Kincaid è il tiratore scelto di cui mi avevi parlato? Il migliore sulla piazza?»
«Questo non è affar tuo.»
«Te lo chiedo solo perché mi auguro, per il bene di entrambi, che se lavori con una donna si tratti di qualcuno con cui hai lavorato abbastanza a lungo da poterti fidare davvero di lei.»
«Posso contare su di lei» confermò Janson in tono paziente. «È bravissima in tutto ciò che fa.»
«Anche lei è una “macchina”?» Case sorrise.
Janson rifletté brevemente. Come aveva già spiegato a Case, l’addestramento di Jessica, la sua padronanza delle arti marziali e i rapporti di servizio sulle sue attività non dovevano riguardare nessuno. Non vedeva alcuna ragione, tuttavia, per nascondere la propria ammirazione. «È una perfezionista e ha sete di imparare: a ballare, tirare di sciabola, sciare a telemark, nuotare, tirare di boxe. Prende lezioni da un maestro di recitazione per padroneggiare il linguaggio del corpo, si lancia nello studio di lingue straniere di cui la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare, e sta per prendere il brevetto di pilota di jet.»
«Sbaglio o ti stai invaghendo della tua allieva?»
«La ammiro» replicò Janson asciutto. «C’è altro? Ora devo andare.»
Si avviò verso la porta. Aveva la mano posata sulla maniglia quando Case, alle sue spalle, aggiunse: «Ho lavorato con alcune donne. Sono in gamba. Spesso molto più di noi».
«Sulla base di numerose prove, sono d’accordo.»
«Ma non ho mai lavorato con una donna sul campo. Per lo meno, non sotto il fuoco, e non in combattimento. Che sensazione si prova?»
Janson rimase spiazzato dalla domanda. Aveva l’abitudine di analizzare la propria vita. Ma per istinto di sopravvivenza separava in maniera netta pensieri, emozioni e desideri. Era possibile che fino a quel momento non avesse mai considerato seriamente, o non si fosse mai concesso di considerare, quanto fosse diventata importante Jessica Kincaid nella sua vita, come sua allieva, socia in affari e amica?
«Hai un dizionario in quel computer?»
Case attraversò l’ufficio, abbassò la sedia all’altezza della scrivania, aprì un file sullo schermo e posò le mani sulla tastiera.
Janson sorrise, all’improvviso tutto gli era chiaro. «Vuoi sapere com’è? Cerca “compagno d’armi”.»
Doug Case digitò quella formula obsoleta, avviò la ricerca, poi lesse a voce alta, in tono scettico: «Chi partecipa con altri a una medesima condizione materiale o spirituale, compagno di amicizia, occupazione, fortuna».
«Esatto.»
«Ma l’aspetto negativo del lavorare con una donna» obiettò Case «è che in una situazione critica, quando volano i proiettili, è naturale farsi distrarre, preoccuparsi della sua incolumità. Soprattutto se sei legato a lei. Gli allievi prediletti hanno la brutta abitudine di farsi ammazzare, nel nostro tipo di lavoro. Io ne ho persi alcuni e anche a te è successo.»
«Jessica è una predatrice, non una preda.»
Doug Case sollevò il ricevitore del telefono nell’istante stesso in cui la porta si chiuse alle spalle di Paul Janson. Bill Pounds, uno dei suoi ex Ranger e agente sul campo della ASC, stava sorvegliando l’atrio.
«Dica, signore.»
«Stanno uscendo. Riferiscimi dove vanno. Non farti fregare.»
«Impossibile fregare l’uomo invisibile.»