21

Il dottor Terry Flannigan calcolò di avere meno di un giorno prima di essere raggiunto a Canberra da quelli che lo volevano morto. Lo avevano già seguito da Dakar al Sudafrica, e sicuramente a questo punto sapevano del volo della Qantas per Sydney. Sarebbero risaliti a Mildred e avrebbero scoperto che gli aveva procurato il pacchetto viaggio per la capitale dell’Australia, compreso l’hotel e la visita guidata di quella mattina alla Parliament House.

Doveva agire in fretta, ma non sapeva cosa fare. Una bella biondina gli lanciò una timida occhiata mentre scendevano dall’autobus. Aveva il viso acqua e sapone di una maestra di provincia. L’intuito suggeriva a Flannigan che avesse rotto da poco con un fidanzato inaffidabile e avesse deciso di fare quel viaggio per dimenticarlo. Adesso era sola e si sentiva molto audace. Ma come avrebbe potuto aiutarlo a salvarsi la vita? Anche se fosse riuscita a nasconderlo in casa sua, in qualche ranch sperduto nell’outback, quanto avrebbero impiegato a trovarlo?

Si mantenne vicino al gruppo, mentre veniva guidato nella sede del Parlamento. All’interno, sotto lo sguardo vigile dei robusti agenti del servizio di sicurezza parlamentare muniti di radio, si concesse un sospiro di sollievo. Da due settimane non si sentiva così protetto, quasi in salvo.

Certo, quegli uomini non erano il Muro e Annie Oakley, i migliori angeli custodi mai visti, ma avevano pur sempre alle spalle la polizia federale e l’esercito australiano.

Quando furono entrati nella Camera del Senato, si rilassò e cominciò a gustarsi la giornata. Poi una stupenda senatrice bruna del partito dei Verdi si accorse di essere guardata dalla galleria riservata al pubblico. Non era sposata, almeno lui non vide una fede nuziale. Inoltre, in certi ambienti le signore sposate non lanciano occhiate agli uomini davanti a tutti, e la signora senatrice stava decisamente inviando messaggi inequivocabili.

La sessione terminò con un suo discorso, vibrante di spirito e passione: «L’Australia dovrebbe essere una nazione più profonda, non soltanto una miniera di carbone per la Cina». Quindi salì nella galleria del pubblico e congedò la guida ufficiale, prendendo il suo posto nel tour. Quell’atto di democrazia egualitaria applicata sbalordì gli altri turisti e fornì a Terry Flannigan un’ottima idea per salvarsi la pelle.

I robusti agenti del servizio di sicurezza con le radio erano responsabili dell’incolumità personale della bella parlamentare. Sicuramente, avrebbero esteso la protezione anche al suo nuovo amico, se fosse stato vicino a lei.

I politici erano persone difficili, per metà esibizionisti e per l’altra metà narcisisti, ma grazie al cielo lui sapeva come trattarli, avendo avuto una lunga e movimentata relazione con una deputata del Texas. Tutto stava nel non fare mai capire a una persona del genere quanto ti piaceva. Nel momento stesso in cui dimostravi a una donna politica che avevi un debole per lei, si metteva subito alla ricerca di qualcun altro su cui fare colpo.

Guardami. Sono bella, affascinante e carismatica, vero? Okay, allora ti saluto.

Quindi, dopo un intenso e prolungato scambio di sguardi, quando l’avvenente senatrice gli sorrise lui guardò da un’altra parte. Lei sorrise di nuovo. Era come rubare le caramelle a un bambino, ma del resto qualcuno stava cercando di ucciderlo e lui non aveva altra scelta.

La senatrice invitò l’intero gruppo a seguirla in una visita privata, compreso un giro nell’ufficio del primo ministro. Poi, con molta disinvoltura, invitò Flannigan a pranzo nel ristorante interno, riservato ai politici. I suoi collaboratori lo allontanarono con discrezione dal gruppo diretto a pranzo al bar. Nel mentre, la biondina timida, la quale aveva visto esattamente cosa stava succedendo, gli infilò in tasca un foglietto piegato, con il suo numero di cellulare e l’informazione che sarebbe rimasta a Canberra per tutta la settimana. Ammirando le curve della senatrice nella gonna stretta, mentre camminava davanti a lui per avvertire il suo staff dei propri impegni per il pomeriggio, a Terry Flannigan venne in mente la famosa domanda di Sigmund Freud: «Cosa vogliono le donne?».

Lo scriva pure sul suo taccuino, dottor Freud. Sono sovrappeso, perdo i capelli, comincio ad avere le guance cadenti, sono un inguaribile farfallone, ho uno sguardo rapace che dovrebbe far capire a qualsiasi donna con un po’ di cervello di starmi lontano, ma per qualche insondabile ragione mi vogliono. Non dico di meritarlo, però sono loro grato.

Daniel, un ex SEAL dalla corporatura robusta, ufficiale dell’intelligence della Marina americana, dopo tre missioni in Iraq si era congedato per quadruplicare il proprio stipendio con una compagnia militare privata. I militari regolari lo disprezzavano, considerandolo uno spaccone e un mercenario strapagato. Il suo ultimo ricordo di quella vita era legato a Baghdad. Lui guidava un convoglio di mezzi del Dipartimento di Stato che procedeva a tutta velocità in un dedalo di stradine. Nella sua memoria non c’era traccia di cosa fosse accaduto poi. Si era risvegliato dopo un mese in Cornovaglia, con una placca di titanio nel cranio, nell’ala riservata alla fondazione Phoenix di una clinica metodista. In seguito si era ritirato a vita privata. La Phoenix aveva pagato le terapie e le parcelle dello psichiatra, e quando Daniel si era sentito in forze, si era trasferito in Corsica, dove aveva aperto un centro di immersioni subacquee per turisti.

Quel giorno era tornato in Cornovaglia per far visita a un amico, Rafe, il quale non era stato così fortunato. Rafe, un ex ufficiale inglese, era ancora ricoverato per la riabilitazione. Daniel aveva incontrato un ex collega della compagnia militare privata, Ian l’Inglese, un culturista pieno di tatuaggi che viveva in Inghilterra e andava regolarmente a trovare Rafe. I tre uomini erano accomunati, come diceva Ian, «da una dannata esplosione».

La struttura ospedaliera di cui la Phoenix aveva affittato un’ala serviva anche alla riabilitazione di pazienti particolari, persone malate di Alzheimer o colpite da un ictus, con problemi neurologici anche gravi, ma ancora in grado di camminare. Era un bel posto, con sede in una villa in stile pompeiano inondata di sole. Anche quando faceva troppo freddo per uscire, la luce entrava nei locali, affacciati su tre lati di un cortile esposto a sud.

Alcune anziane signore in tenuta da escursione aspettavano all’ingresso della sala da pranzo, commentando il fatto che quel giorno il ristorante era più affollato del solito e chiedendosi quando sarebbe partito l’autobus per Exeter. Che il ristorante e la gita a Exeter esistessero solo nella loro immaginazione fu evidente quando furono aperte le porte della sala da pranzo e gli ospiti sedettero ai posti assegnati per il pranzo.

Daniel e Ian erano fuori dalla porta, non lontani dalle signore, perché Rafe stava piangendo e uno psicologo tentava di calmarlo. I due uomini gettarono un’occhiata nella stanza dell’amico, dove la brezza del mare gonfiava leggermente le tende alla finestra illuminata dal sole. I loro sguardi si incrociarono per un attimo. Rafe era stravolto. Stavano ricostruendo la dinamica della sparatoria con l’aiuto di alcuni schizzi, cercando di visualizzare come il fuoco dei ribelli li avesse fatti finire su una bomba, quando improvvisamente Rafe era crollato.

Era la prima volta che Daniel andava a trovare quel poveraccio, e non vedeva l’ora di andarsene al più presto. Si sentiva distante, si ripeteva che lui ne era uscito, Cristo santo, ne era uscito. Anche Ian stava meglio, sembrava essersi lasciato alle spalle quella merda. Ora guidava un pullman di linea tra Birmingham e Londra e sperava di incontrare la ragazza giusta.

All’improvviso Daniel commentò: «Noi proteggevamo gli ufficiali della Coalizione, mentre gli ufficiali iracheni erano il bersaglio principale nella gara di tiro a segno.»

«La Coalizione pagava meglio» replicò Ian, laconico.

«Ho letto che un’esplosione del genere modifica per sempre il cervello, se sei vicino come era Rafe.»

«Neppure noi eravamo lontani.»

«Lui era più vicino.» Rafe si sporgeva dal predellino a centoquaranta chilometri all’ora, sparando raffiche di avvertimento verso i veicoli civili, quando il mezzo capofila era esploso su una bomba IED. «Ti fotte la corteccia prefrontale. È la parte che fa di te chi sei. Prima Rafe era un ragazzo felice.»

Dall’espressione dell’amico Daniel capì che Ian non sopportava di parlare della corteccia prefrontale di Rafe. Avrebbe potuto trovarsi anche lui nella stessa condizione. Cambiò argomento, con un sorriso tirato.

«Lo sai come ci chiamava il Vecchio?»

«Come?» volle sapere Daniel, a un tratto interessato. Il «Vecchio» della Phoenix era venuto una volta alla clinica, quando Daniel stava ancora facendo la riabilitazione. Se il Vecchio gli avesse chiesto di portare un convoglio all’inferno, Daniel gli avrebbe domandato solo se aveva il tempo di vestirsi, altrimenti ci sarebbe andato anche nudo.

«L’ho sentito mentre parlava con il primario.»

«E allora, come ci chiamava?»

«I figli dimenticati di Mammona.»

«Sul serio?»

«Non ho mai capito cosa volesse dire.» Ian scosse la testa.

«Vuol dire soldati a pagamento, come te e me e quel disgraziato di Rafe, senza ospedali per veterani, senza pensione né assistenza sanitaria.»

«Questo l’avevo capito. Ma cosa cazzo è Mammona?»

«È il dio denaro. Noi l’abbiamo fatto per soldi e siamo rimasti con un pugno di mosche.»

Ian annuì pensoso. «Quindi noi abbiamo adorato il dio dei soldi e siamo finiti nei guai.»

Il volto di Daniel si aprì in un sorriso involontario. «Esatto… hai notizie del Vecchio?» domandò.

«S’è fatto vivo proprio l’altro giorno. Sta cercando Iboga.»

«E chi è?»

«Ma non li senti i notiziari?»

«No, non guardo i telegiornali. Non leggo i giornali e non navigo in Internet. Se all’aeroporto passo davanti a uno schermo tv acceso, mi volto dall’altra parte. Non me ne frega un cazzo di tutto quello che succede là fuori. Chi è questo Iboga? Perché il Vecchio gli dà la caccia?»

«È un ex dittatore africano, scappato con tutti i soldi del Paese quando i ribelli l’hanno buttato fuori. Il Vecchio dev’essere stato incaricato di ritrovarlo.»

«Africano? Che aspetto ha?»

«È un grosso bastardo, peserà almeno centocinquanta chili.»

«Ha i denti limati?»

Ian guardò l’amico. «Perché me lo chiedi?»

«Perché l’ho visto.»

«Cosa?»

«Non l’ho osservato attentamente, ma quanti neri di centocinquanta chili con i denti appuntiti conosci?»

«Dove?»

«In Corsica, dove abito.»

«Quindi se ne va in giro a piedi per la Corsica?»

«No, dev’essere rintanato da qualche parte con i suoi sul Capo Corso, a nord. L’ho visto la settimana scorsa a Bastia, dove arrivano i traghetti da Nizza e da Marsiglia.»

«Se non l’hai osservato bene, come fai a sapere dei denti limati?»

«Me l’ha detto un tizio che l’ha visto da vicino. Sono scesi da uno yacht, sono saliti su alcuni SUV e si sono diretti verso nord.»

«Perché si nascondono?»

«Secondo la gente del posto quei tipi stavano scappando o volevano organizzare qualcosa di losco. Siccome anche i corsi gestiscono numerose attività poco legali, tengono sempre d’occhio la concorrenza. La Corsica è uno strano ambiente.»

«Tu cosa ci fai laggiù?»

«Io sto a Porto Vecchio, parecchio più a sud. All’altro capo dell’isola, in pratica.»

«Okay, ma per vivere cosa fai?»

«Ho aperto un centro di immersioni subacquee per i turisti.»

«Ehi, complimenti. E costa molto aprire un centro di immersioni?»

«Non troppo, a dire la verità. Ho sempre messo da parte i soldi. Non avevo nessuna intenzione di ritrovarmi col culo per terra, se le cose andavano male. Senti, vieni a trovarmi, una volta o l’altra. Posso ospitarti in casa mia. L’acqua è stupenda, ci sono un sacco di pesci. Bellissime ragazze. Sono gente a posto, i corsi, basta non rompergli le scatole. Non provare a fregarli, e ti trattano come un fratello.»

«Mi scusi, giovanotto» disse una voce sottile.

I due uomini abbassarono lo sguardo su una vecchina esile, con la borsetta appesa al braccio.

«Sì, signora?»

«Si prende qui l’autobus per Exeter?»

«No, signora» rispose Daniel. «Passa nel ristorante, dove stanno servendo il pranzo.»

Quintisha Upchurch rispose al telefono riservato ai «diplomati», il cui numero veniva dato solo ai reduci salvati da Janson e ormai reintegrati nella vita civile. Arrivavano sia chiamate di richiesta di aiuto sia per fornire aiuto. Lei le distingueva subito dal tono della voce. Questa era una telefonata del secondo tipo, e riconobbe l’accento delle Midland inglesi di un ragazzo di nome Ian.

«Signorina Upchurch, se ha modo di comunicare con il signor Janson, dovrebbe riferirgli che un certo ex presidente a vita è stato individuato in Corsica. A nord, nella zona di Capo Corso.»

Quintisha Upchurch promise di passare quell’informazione.

Tra le qualità professionali a convincere Paul Janson che lei era la donna giusta per amministrare la CatsPaw e la Phoenix c’era l’abitudine alla discrezione, talmente radicata da sfiorare la reticenza. Non avrebbe mai rivelato a Ian che Daniel, il rude americano con il quale aveva parlato di Iboga in una clinica della Cornovaglia, aveva telefonato pochi minuti prima con lo stesso messaggio. Poiché segnalazioni analoghe stavano arrivando da più parti del mondo, prima di inoltrarle al capo le avrebbe dirottate alla persona delegata ai controlli.

Dal suo sedile di prima classe trasformato in letto per la notte, Paul Janson si accinse a fare alcune telefonate. La sua priorità era ridurre drasticamente le ore di volo necessarie per arrivare a Sydney. Chiamò quindi un generale della Royal Air Force thailandese. La conversazione prese subito una piega sgradevole.

«Lei era contro di me, lo ricordo bene» disse l’ufficiale, un pilota di caccia che aveva fatto una rapida carriera grazie a una notevole rete di contatti e a un’audacia fuori dal comune.

«All’epoca la considerai il minore tra due mali, forse ricorderà bene anche questo» ribatté Janson in tono schietto.

«Cosa vuole adesso?»

«Una ricompensa per quell’azione.»

«Perché?»

«Ne ha tratto un vantaggio. Ora lei è un generale in servizio attivo, mentre l’altra persona è morta.»

I cinesi di Thailandia, al pari di tutti i cinesi espatriati, avevano scarso interesse per concetti astratti come l’onore e il rispetto. Non erano come i pakistani o gli afghani, strenui sostenitori del «delitto d’onore», o come i mafiosi italiani, fedeli al proprio clan e alla cultura dell’omertà. Ma quei figli della diaspora cinese, i quali formavano la classe mercantile del Sudest asiatico, praticavano un loro codice d’onore ugualmente ferreo. Stranieri in terra straniera, dividevano il mondo in due categorie: gli altri stranieri erano nemici per definizione; i propri conoscenti erano amici. Da sempre Janson ammirava la disinvoltura con cui passavano da una categoria all’altra: quando ti avevano conosciuto, avevano stretto affari con te, o c’era stato uno scambio di favori, avevi fatto loro una cortesia o ti eri schierato dalla loro parte, diventavi un amico.

Dopo una lunga pausa, il generale chiese: «Di cosa ha bisogno?».

«Dell’aereo più veloce di Bangkok, capace di coprire i settemilacinquecento chilometri fino a Sydney prima del mio volo commerciale.»

«Tutto qui?»

Janson non era in grado di dire se ci fosse del sarcasmo nella domanda del generale. Entrambi però sapevano che avrebbe potuto chiedere molto di più. Janson lo ringraziò: per lui il debito era saldato.

Ma gli serviva qualcosa di ancora più prezioso.

Janson lasciò alcuni messaggi urgenti a un suo contatto a Sydney, il quale lavorava sotto copertura per la Commissione anticrimine australiana: voleva chiedergli di vigilare su Jessica all’aeroporto. In attesa della risposta, tornò a concentrarsi sui nomi della lista della Sécurité Referral. Bloch, il mercenario francese, era probabilmente in un carcere congolese. Dimon, il mago dei computer serbo, aveva spostato la sua attività in Ucraina. Viorets, il russo, era attualmente in congedo dall’SVR e il corso, Andria Giudicelli, era stato avvistato qualche giorno prima a Roma. Van Pelt, come Janson già sapeva, era in viaggio per Sydney. Iboga, o un suo alter ego, dopo aver lasciato le proprie tracce in Russia, Ucraina, Romania e Croazia, era stato avvistato allo stesso tempo in Corsica e a Harare, la capitale dello Zimbabwe, lontane tra loro almeno novemilacinquecento chilometri.

Janson chiuse gli occhi e provò a dormire. Si chiedeva se Flannigan avrebbe potuto chiarire i piani della ASC e di Kingsman Helms alla Isle de Foree. Janson fu costretto a constatare che non si era avvicinato per nulla a Iboga, da quando aveva accettato l’incarico di Poe. Aveva però appurato l’esistenza della Sécurité Referral e probabilmente individuato la provenienza dell’Harrier, informazioni preziose ma non ancora sufficienti. Ancora non sapeva nulla su chi avesse lanciato l’attacco con i Reaper. E, fino a quel momento, non aveva fatto entrare un solo dollaro nelle casse della fondazione Phoenix. Il cinque per cento di un bottino non recuperato era pari a zero.

Rinunciò all’idea di dormire e chiamò la consulente contabile che si occupava di rintracciare il tesoro di Iboga. Qualcosa aveva trovato: alcuni conti bancari sospetti in Svizzera e in Croazia. «Di questi tempi, Zagabria è un osso più duro rispetto a Zurigo» commentò la consulente.

«Siamo in grado di recuperare i liquidi?»

«In questo momento siamo ancora nella fase di localizzazione.»

Mentre l’aereo cominciava la sua discesa su Bangkok, Janson chiamò Quintisha Upchurch. «Ha notizie della signorina Kincaid?»

«No, signor Janson. Le ho lasciato dei messaggi.»

Janson sentì in sottofondo un forte rumore familiare e sorrise, nonostante la tensione. Il ruggito di un freno motore a decompressione «Jake» in azione su un autotreno Peterbilt 379EXHD da quaranta tonnellate e diciotto ruote gli fece capire che Quintisha si trovava nell’«ufficio mobile» della CatsPaw, un rimorchio blindato della Brink’s guidato da suo marito.

Jessica aveva definito il marito di Quintisha come «l’uomo più terrificante sul quale abbia mai posato gli occhi». Rick Rice, ex ufficiale di ricognizione della Marina, era stato un reduce con grossi problemi fino al matrimonio con Quintisha, e ora faceva il trasportatore tra i vari Stati per la Brink’s, guidando gli enormi autotreni carichi di carte di credito, metalli preziosi e gettoni per i casinò. La cabina di guida era antiproiettile e dotata di feritoie per armi da fuoco, ma, come non aveva mancato di notare Jessica: «Quando l’autista ha l’aria di uno che spera di essere rapinato, la gente tende ad andare a rapinare qualcun altro».

Scortata dal marito e sempre in movimento, attraversando gli Stati Uniti in lungo e in largo, Quintisha gestiva la CatsPaw Associates e la Phoenix tramite i cellulari e i computer installati nella zona notte del Peterbilt. La domenica si fermavano nei parcheggi del VFW, l’associazione dei veterani delle guerre all’estero. Rick si faceva qualche birra con i veterani mentre Quintisha, che era una diaconessa, raggiungeva la chiesa metodista episcopale africana più vicina e qui cantava nel coro, insegnava esegesi biblica o teneva un sermone. La domenica cenavano a casa di un capo della polizia locale o di un poliziotto della stradale, tutti ex sottoposti di Rick nella guerra del Golfo, in Iraq o in Afghanistan.

«Stavo per chiamarla, signor Janson. Abbiamo due segnalazioni di Iboga in Corsica, ci hanno telefonato due dei suoi ragazzi.»

«Chi, Daniel?»

«Sì. E anche Ian, dall’Inghilterra.»

Janson chiamò il quartier generale del Protocolo de Seguridad a Madrid. «Freddy, hai a disposizione qualcuno in Corsica?»

«Ha importanza se sono in fuga?»

«Devono essere in grado di tornare in Corsica.»

«Allora ne restano ben pochi.» Freddy rifletté brevemente. «Ne troverò un paio.»

«Forse Iboga si nasconde sul Capo Corso. Vedi se riesci a scoprire qualcosa.»

«Signore, lei è ferito!» aveva esclamato il vicino di posto di Hadrian Van Pelt sul volo della South African Airways.

I punti sul suo avambraccio avevano iniziato a sanguinare. Novanta pallini rossi, uno per ciascun punto, si erano allargati fino a unirsi in un’unica chiazza, intridendo la fasciatura e trasudando fino alla manica della camicia. Avrebbe dovuto indossare qualcosa di rosso. O forse avrebbe dovuto smettere di stringere ritmicamente la pallina di gomma, con un gesto regolare come il battito del cuore. Ma aveva il terrore che i muscoli del braccio destro potessero atrofizzarsi come biltong di manzo, la tipica carne secca sudafricana, se non li avesse tenuti in continuo esercizio. Era tutta colpa di quella puttana. Gli dava un fastidio tremendo. Era stato ferito in altre occasioni, ma senza troppi danni. Era un rischio del mestiere. Questa volta però era diverso. La sensazione di avere il braccio tagliato in due, come una striscia di carne che presto si sarebbe raggrinzita, lo faceva quasi impazzire.

«Signore, si è accorto che sta perdendo sangue?»

«Sì, me ne sono accorto» rispose con voce controllata, affinché l’idiota non chiamasse gli assistenti di volo, i quali a loro volta avrebbero potuto segnalare la situazione all’agente per la sicurezza aerea seduto nell’ultima fila della cabina della classe business con l’aria fintamente assorta dell’uomo d’affari in viaggio. «Ho avuto un incidente d’auto.»

L’idiota allungò una mano verso il pulsante di emergenza. «Devo chiamare qualcuno?»

«No, grazie» rispose Van Pelt con un sorriso glaciale. «Non è grave come può sembrare. Mi sono fatto cambiare la fasciatura prima di imbarcarmi.»

Sollevò il microtelefono dal bracciolo e controllò ancora se fossero arrivati degli sms. Finalmente.

Tutto sistemato. Ti aspetterà a Sydney.

Fantastico. Le labbra sottili di Van Pelt si schiusero in un sorriso di soddisfazione. Il secondo sms era invece una bella seccatura. L’americano ingaggiato da Ferdinand Poe per catturare Iboga stava per cambiare aereo a Bangkok, passando da un volo commerciale a un velivolo militare molto più veloce, fornito dalla Royal Air Force thailandese.

Van Pelt chiamò l’intermediario della Sécurité Referral per l’incarico della Foree. L’animateur de groupe, come il francese si definiva, si faceva passare per l’amministratore di una ONG responsabile dell’invio di riso ai pakistani affamati, con il telefono criptato per evitare intercettazioni. Quando il sudafricano tacque, disse: «Tutto chiaro».

Van Pelt continuò: «Trovami il jet più veloce possibile a Perth… perché? Perché quel bastardo non deve arrivare a Sydney prima di me».

L'occhio della fenice
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