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Jessica Kincaid girò la pagina della sua guida da bird-watcher e disegnò la sagoma della piccola penisola, protesa nel Mar Tirreno.

«La scogliera è alta una quindicina di metri, quindi non possiamo raggiungerla in barca, non ci sono approdi. Potremmo avvicinarci con un piccolo gommone, infilandoci in una caletta e facendoci guidare da un pescatore e infine arrampicarci. Ma calare dagli scogli un gigante come Iboga non sarebbe un’impresa facile. In elicottero non possiamo atterrare, hanno il radar.»

«Un radar?»

«Chiunque sta lì, ha paura di essere scambiato per uno speculatore edilizio dalla gente del posto. Se davvero si tratta della SR, è abbastanza paradossale che abbiano scelto di nascondere un soggetto tanto vistoso su un’isola dove tutti gli estranei sono sospetti per definizione. Gira voce che la SR voglia trasformare la penisola in un enorme villaggio turistico. Qui sono già tutti sul piede di guerra: i separatisti corsi, i mafiosi dell’Union Corse, i poveri pescatori sfrattati e gli ecologisti, tendenzialmente abbastanza violenti. Hanno dichiarato guerra al governo francese e ai super-ricchi, ho sentito. Da quanto ho potuto vedere, non posso biasimarli: il denaro può veramente distruggere questo tipo di paesaggio.»

«In altre parole, il governo francese sta lasciando libertà d’azione a chiunque stia sulla penisola, ho capito bene?»

«Quella gente è in grado di tenere a bada un esercito, e in caso di emergenza dispone anche di un elicottero con serbatoi supplementari per lunghe distanze. Potrebbero facilmente trasferire Iboga in Francia o in Italia, ammesso che al momento si trovi davvero lì.»

«E arrivare via terra?»

«Servirebbe un carro armato.» Tracciò una riga longitudinale al centro della penisola.

«Questa è l’unica strada. Hanno postazioni di tiro qui e qui» Kincaid indicò i punti sulla mappa, «con casematte in pietra. Ho individuato una Dushka in quella più vicina alla strada.»

«Una Dushka? Sembrano prendere i separatisti molto sul serio.»

La DShK, per gli amici «Dushka», era una mitragliatrice pesante calibro .50, in grado di spazzare via qualsiasi obiettivo militare sia in aria sia a terra, a eccezione dei mezzi corazzati.

«Probabilmente la SR giudica i separatisti una minaccia ben più pericolosa, rispetto a noi due. Comunque, per Freddy la presenza delle mitragliatrici è un segnale.»

«Mi sembra tipico del loro modo di operare» concordò Janson. «Stanno in posizione di difesa, pronti a filarsela se le cose si mettono male.»

Kincaid puntò un dito sulla costa sudorientale. «Da qui possono andare ovunque. Oltre le Bocche di Bonifacio c’è la Sardegna. Quanto tempo hai impiegato per arrivare qui con lo yacht preso a noleggio?»

«Venti minuti per attraversare lo stretto, e un paio d’ore fino a Porto Vecchio.»

«Sardegna significa territorio italiano. La SR sembra non avere la minima difficoltà nell’attraversare i confini. Ogni giorno passano lo stretto dieci o quindici navi. Potrebbero imbarcare Iboga su una di queste. Oppure arroccarsi sulla penisola, o scendere fino a Porto Vecchio. Guarda quante barche ci sono laggiù.»

Centinaia di motoscafi, piccoli e grandi, e di barche a vela d’altura affollavano l’insenatura, ormeggiate una accanto all’altra nei vari porti turistici. Ai moli esterni c’erano diverse navi. A Porto Vecchio arrivavano i traghetti da Civitavecchia e da Marsiglia.

«Potrebbero nascondere Iboga su uno di quegli yacht d’alto bordo e portarlo ovunque, nel Mediterraneo. Qual è il tuo?»

«Quel trenta metri laggiù, in fondo a tutti quelli più grandi.»

«Accidenti, questo è proprio un ritrovo per ricchi e super-ricchi.»

«Iboga è un super-ricco.»

«Forse avevano intenzione di venire qui fin dall’inizio. Sulle colline è pieno di grandi proprietà impenetrabili, guardate a vista, e gli yacht nel porto sono tra i più lussuosi al mondo. Non lontano dalle Bocche di Bonifacio ci sono alcune isole di proprietà privata, almeno una delle quali tutti dicono appartenga alla mafia. Se uno intende vivere nel lusso, questo è il posto giusto.»

Dalla distesa azzurro intenso del Tirreno arrivò il rombo di potenti motori. Janson riconobbe la sagoma ad ala alta di una flottiglia di C-160 Transall a turboelica in colorazione mimetica, in avvicinamento alla costa a circa seicento metri di quota.

«Sono quelli della Legione Straniera» spiegò Jessica. «Il Deuxième Régiment Étranger de Parachutistes ha una base con unità di intervento rapido a Calvi, nel nord dell’isola.»

Sulla spiaggia iniziò a bruciare un fumogeno arancione. Kincaid scrutò la scena con il binocolo.

«È un’esercitazione. Gli ufficiali sono appostati a osservare il tutto.»

Nel frattempo i legionari si lanciarono dagli aerei. Precipitarono in caduta libera fin quasi al suolo. Toccarono la sabbia solo pochi secondi dopo l’apertura del paracadute.

«Notevole» commentò Janson ammirato.

Kincaid gli passò il binocolo. «Si sono già radunati sulla spiaggia.»

I soldati si erano liberati dei paracadute e correvano con i fucili spianati verso il loro obiettivo, un camion sul quale stava un sergente con lo sguardo fisso su un piccolo oggetto nella propria mano. Janson non riusciva a vederlo, ma sapeva che doveva essere un cronometro.

«“Se l’addestramento è duro, la guerra è facile”» sentenziò Kincaid. «Uno dei motti della Legione.»

«E tu dove l’hai sentito?»

«Ho bevuto un bicchiere di vino insieme a un colonnello.»

«Davvero?» Si girò a guardarla. «Cosa ne pensava il colonnello della penisola di Vallicone?»

«Non ho ritenuto opportuno sollevare l’argomento Iboga con un ufficiale francese.»

«Sono d’accordo, hai fatto bene» commentò Janson. Controllò l’ora e studiò gli schizzi di Jessica.

Lei disse: «Freddy e i suoi stanno tenendo d’occhio la situazione a Vallicone. Aspettano solo una tua parola».

«Io ho degli elicotteri pronti a intervenire e dei motoscafi su una nave da carico, ancorata nelle Bocche di Bonifacio. Però mi manca la prova che Iboga sia su quella penisola.»

Kincaid batté un dito sulla sua cartina. «Secondo me, queste mitragliatrici indicano la presenza di Iboga. Così pure il radar e gli elicotteri. Dobbiamo agire in fretta, prima che lo spostino.»

«Se facciamo un’incursione e il nostro uomo non è là, ci troveremo coinvolti in un conflitto a fuoco con avversari tanto preoccupati della sicurezza da munirsi di mitragliatrici, radar ed elicotteri» obiettò Janson.

«Non possiamo starcene qui seduti mentre loro trasferiscono Iboga chissà dove.»

«Voglio saperne di più, prima di lanciarmi in un’operazione che potrebbe rivelarsi un catastrofico errore.»

«Dobbiamo fare qualcosa.»

«Iniziamo col toglierci tutto quel cuoio nero. Scendi a Porto Vecchio e comprati dei vestiti.»

«È un posto da turisti arricchiti. I negozi vendono solo roba da escort di lusso.»

«Ottimo. È il tipo di abbigliamento adatto all’occasione.»

«Quale occasione?» sibilò Jessica, con un lampo minaccioso nello sguardo.

Janson aprì il portafoglio e le mostrò un invito stampato su cartoncino intestato.

«Il Ministero dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego, e l’Agence de Développement Economique de la Corse hanno il piacere di invitare la Janson Associates a un ricevimento con champagne in un resort turistico residenziale e alberghiero.»

«Chi te l’ha dato?»

«Un amico di Parigi. Ci saranno grandi investitori immobiliari e parecchi rappresentanti dell’élite finanziaria francese. Qualcuno dovrà pur avere informazioni confidenziali su una località appetibile come la penisola di Vallicone. Reciteremo la nostra parte e cercheremo di scoprire qualcosa.»

«Quale parte?»

«Io sarò un ricco consulente per la sicurezza, assunto per garantire all’Agence de Développement Economique de la Corse di non essere coinvolta nel riciclaggio di denaro sporco. Tu invece ti sei aggiudicata la parte della mia accompagnatrice mozzafiato, che naturalmente finge di essere un’assistente personale.»

«E poi cosa succede?»

«Ne parliamo allo yacht. Si chiama Tax Free

Kincaid annuì, già adrenalinica per la nuova sfida.

«Dov’è l’aereo?»

Janson controllò di nuovo l’ora. «Ed e Mike dovrebbero decollare da Zurigo proprio in questo momento. Atterreranno all’aeroporto di Figari tra due ore.» Lei però non stava chiedendo notizie dell’Embraer. Voleva sapere dove fosse il suo fucile preferito.

Janson si sistemò sul ponte superiore del Tax Free per fare alcune telefonate. Alta sull’acqua, la postazione offriva un’ottima panoramica sull’affollata marina, sul porto e sulle case in pieno sole del centro storico, nonché un certo isolamento rispetto all’equipaggio, impegnato a sfregare ponti, lucidare cromature, verniciare parti metalliche e passare l’aspirapolvere sulla moquette.

Quintisha Upchurch gli confermò che tutto quanto aveva richiesto era sul posto. «Compreso il falso bersaglio gonfiabile, anche se devo dire che i russi sono stati davvero fastidiosi. Sarebbe stato più semplice convincere uno dei suoi trafficanti di armi a vendercene uno vero.»

Janson verificò nomi, cifre e particolari, e lei terminò comunicandogli: «Ho parlato con il signor Case. Ha detto di riferirle che è “andato sottoterra”. Mi ha assicurato che lei avrebbe capito».

«Grazie, Quintisha, la richiamerò presto.»

«Andare sottoterra» era un’espressione in codice e significava: «ho fatto la talpa». Janson telefonò immediatamente a Case.

«Cosa succede?» gli chiese a bruciapelo non appena udì la sua voce.

«Non sono sicuro di cosa significhi» rispose l’amico, «ma Kingsman Helms sta parlando malissimo con tutti del presidente provvisorio Poe. Secondo me sta cercando di fargli intorno terra bruciata, alla ASC.»

«A quale scopo?» chiese Janson.

«Mi stai chiedendo di indovinare?»

«Sei tu nel quartier generale della ASC, a Houston» replicò Janson. «Non io.»

«Se vuoi la mia ipotesi, Helms sta gettando le basi perché la ASC rompa i rapporti con Poe.»

«Ma per quale motivo?»

«Appoggiare un sostituto.»

«Interessante. Ci rifletterò. Come vanno le cose, per il resto?»

«Personalmente, non vedo l’ora di andarmene da qui.»

«Resisti ancora un po’» disse Janson. «Prima dobbiamo chiudere questa storia. Hai scoperto qualcosa sui Reaper?»

«No. E non mi aspetto di scoprire molto. Per me si tratta di un accordo tra privati, tra due persone singole: un ufficiale in congedo, ora in attività privata, che ha pagato un mucchio di soldi o ha promesso un brillante futuro a un ufficiale in servizio.»

«Be’, questo è evidente» commentò Janson. «Continua a indagare. Cosa sai del GRA?»

«Questo mi dice qualcosa, forse. Ma non riesco a collocarlo da nessuna parte. Cosa vuol dire la sigla?»

«Ground Resource Access.»

«Gergo petrolifero.»

«Sì, ma potrebbe essere il nome di una società?»

«E chi lo sa?»

«Te lo sto chiedendo.»

«Cerco di scoprirlo e ti richiamo. Tu dove sei?»

«A Londra. Però chiama Quintisha, probabilmente partirò presto.»

«Ci sentiamo.»

Doug Case salutò Paul Janson e chiuse la telefonata piuttosto soddisfatto. Alle Operazioni Consolari avevano insegnato loro a mentire. Con disinvoltura, senza sforzo apparente. Non esisteva al mondo macchina della verità o analizzatore del timbro vocale che non fossero in grado di imbrogliare. Lui, in particolare, era stato tra i migliori. Il migliore in assoluto, come sempre, era Janson.

Anche in quest’occasione era stato talmente bravo da riuscire quasi a convincere Doug Case di trovarsi davvero a Londra, nonostante quest’ultimo sapesse per certo che Paul Janson era a Porto Vecchio, in Corsica.

L'occhio della fenice
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