9

Paul Janson aveva riconosciuto in lontananza lo stesso suono della notte precedente, il rombo del Reaper. Iboga si bloccò con la sciarpa in mano, gli occhi puntati al cielo. Il drone da combattimento hunter-killer era tornato.

Anche i soldati e la guardia presidenziale guardarono in alto, gridando: «Reaper! Reaper!».

Iboga si diede alla fuga, spingendo a terra gli uomini per cercare riparo all’interno di un tank. Con grande stupore di Janson, le guardie del dittatore indicarono freneticamente ai piloti dei carri di allontanarsi da Douglas Poe. Poi sollevarono in aria il prigioniero, tenendolo come uno scudo sulle loro teste. Sembrava volessero mostrare all’occhio della videocamera che se il Reaper avesse lanciato i suoi missili avrebbe ucciso anche lui.

Ma il tentativo fu inutile. La terra tremava. I blindati di Iboga cominciarono a esplodere uno dopo l’altro in palle di fuoco. I corpi dei soldati e delle guardie rimaste sul posto furono scagliati in aria.

L’attacco del mezzo aereo invisibile e privo di guida umana a bordo durò meno di trenta secondi. Quando il fumo si diradò, ogni uomo rimasto allo scoperto, compreso Douglas Poe, era morto.

Paul Janson non riusciva a spiegarsi cosa stesse accadendo. Chi poteva avere inviato i Reaper, se non il Pentagono o il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti? In teoria, l’unico motivo che giustificasse il loro coinvolgimento avrebbe dovuto essere il petrolio dell’Africa occidentale.

Ma in realtà, alla Isle de Foree, con il suo governo corrotto, pozzi, oleodotti e raffinerie erano decrepiti, e le riserve petrolifere della nazione stavano calando, così come quelle della Nigeria. Tutte le potenziali nuove riserve di petrolio erano già assegnate nei giacimenti sottomarini al largo dell’Angola, milleseicento chilometri più a sud. Per l’America, andare a immischiarsi nelle confuse guerre tribali dell’Africa occidentale sembrava un’avventura rischiosa, e il tornaconto piuttosto scarso. Tuttavia Doug Case poteva aver mentito, quando gli aveva assicurato che l’incarico di recuperare il medico non c’entrava con le riserve di petrolio.

Se i Reaper non erano americani, forse un ente privato era riuscito in qualche modo ad avere accesso alla tecnologia necessaria alla realizzazione di un drone? Sembrava molto improbabile. Il Reaper era solo l’elemento finale di un sistema militare basato sul controllo a distanza attraverso satelliti orbitanti. Tutto questo era distante anni luce dalle capacità di Paesi come la Nigeria o l’Angola. Persino la Cina difficilmente avrebbe potuto aspirare a un risultato simile.

Eppure lì stava succedendo qualcosa di grosso, su questo non c’erano dubbi. Il Reaper dava a chiunque lo possedesse un potere di controllo del territorio e distruzione quasi soprannaturale. E Janson doveva scoprire al più presto chi era la mente invisibile nascosta dietro quella macchina di morte.

Nella radura in basso, dove giacevano i resti fumanti dell’esercito di Iboga, i combattenti dell’FFM cominciarono cautamente a uscire dai loro rifugi, ammutoliti per lo stupore. Si muovevano tra i cadaveri dei soldati che solo pochi minuti prima si aggiravano minacciosi nel campo, e osservavano sconcertati le lamiere contorte dei tank distrutti. Un uomo raccolse da terra un fucile d’assalto e lo lasciò subito ricadere con un grido, scottato dal metallo incandescente. Un altro scoppiò a ridere e iniziarono tutti a festeggiare la vittoria inattesa.

Dal suo punto di osservazione nella foresta, sopra la radura, Janson sentì levarsi una nuova ondata di grida e acclamazioni, e vide i ragazzi correre verso di lui sul sentiero, trasportando la barella di Ferdinand Poe. Il leader dei ribelli era vigile e si guardava intorno con occhi ardenti, sollevato su un gomito. Terrence Flannigan, ansioso, stava a fianco della barella, cercando inutilmente di convincere il paziente a rimettersi giù. Superarono Janson e tornarono all’accampamento da cui si erano allontanati solo pochi minuti prima. L’ultima a sbucare dagli alberi fu Jessica Kincaid, con l’MP5 ad armacollo.

«Sembra ancora peggio di quello che immaginavo» commentò sottovoce, guardando incredula la devastazione ai loro piedi. «Gli uomini del dittatore hanno avuto decisamente una brutta giornata.»

«Iboga però se n’è andato.»

«E il ministro ha appena detto ai suoi di prendere d’assalto Porto Clarence.»

«È una mossa giusta. Prendere la capitale, per non lasciare a Iboga il tempo di riorganizzarsi.»

«E la nostra mossa qual è?» volle sapere lei.

«Noi restiamo alle costole del nostro medico, prima che una pallottola vagante faccia risparmiare alla ASC cinque milioni di dollari.»

«Morirà prima di arrivare a Porto Clarence, ministro Poe!» insistette il dottor Flannigan. «La prego, sia ragionevole.»

«Nessuno entrerà nella capitale prima di me» replicò Ferdinand Poe.

«Lei ha emorragie da ogni orifizio del corpo. Ha delle lesioni interne. Non potrà sopravvivere, se verrà sballottato per oltre trenta chilometri su una barella. Faccia conquistare la città e gli aeroporti dai suoi uomini e poi un elicottero potrà venire a prenderla per portarla in ospedale.»

«Nessuno entrerà nella capitale prima di me!» ribadì Poe mettendosi seduto sulla barella e cercò di allontanare il medico. Aveva un coraggio da leone rinvigorito dalla speranza della vittoria imminente, ma il fisico lo stava abbandonando. Le guance apparivano cadenti, come scavate dall’interno. Sul volto emaciato le grandi orecchie e il lungo naso ossuto risaltavano sporgendo dalla testa come in una caricatura. La capigliatura irsuta, un tempo imponente, ora era soltanto un ammasso arruffato e maltinto sul cranio imperlato di sudore.

Flannigan si avvicinò per tamponare il rivolo di sangue all’angolo della bocca di Poe. «La sete di gloria la ucciderà, signore.»

«Non mi interessa la gloria, ma l’esito della rivoluzione» ribatté Ferdinand Poe.

Flannigan alzò le braccia, cercando un aiuto. «Provate voi a farlo ragionare!» esclamò rivolto ai suoi due salvatori. Aveva trovato un soprannome per entrambi. La ragazza, che aveva fatto esplodere i carri armati di Iboga, era Annie Oakley, come la formidabile tiratrice scelta dell’Ottocento. L’uomo, impenetrabile e dal volto privo di espressione, era Il Muro. Flannigan continuava a non avere idea del perché la ASC li stesse pagando per riportarlo a «casa» e a temere il peggio, però Il Muro sembrava dotato di buon senso e forse avrebbe potuto persuadere il suo paziente a ragionare.

Flannigan rimase deluso. «Dottor Flannigan, lei non considera le ragioni del ministro Poe. I vincitori di questa guerra lunga e crudele potrebbero radere al suolo la città, se lui non si presenta là per impedirglielo.»

Gli fece eco Annie Oakley: «Dottore, i ribelli vivono nella foresta da tre anni. Non può pensare che si comportino come dei boyscout in assenza del loro leader».

«Proprio così» confermò Ferdinand Poe. «Solo io posso contenere la sete di vendetta. Soltanto io, perché ho assistito a tutto questo.» Puntò una mano tremante verso lo spiazzo, dove una decina di uomini stava cercando di liberare il corpo di suo figlio dalla torretta di un tank, pesante almeno due tonnellate, staccata di netto dai missili Hellfire. «Questo mi dà il diritto morale, l’esempio, per esigere da loro il rispetto per i loro concittadini, perché non aggravino ancora la situazione del Paese. Questa guerra deve finire subito.»

Tacque e rimase immobile a guardare mentre facevano leva sotto la torretta, sollevandola dal cadavere di Douglas. Poi riprese a parlare, in tono più calmo. «Dottore, apprezzo la sua preoccupazione e la sua professionalità. Ma dei militari di professione» disse indicando con un cenno del capo Janson e Kincaid, «anche se sono arrivati sulla nostra isola per ragioni non del tutto chiare, sono più adatti a valutare una situazione militare.»

«La mia non è una diagnosi della situazione, accidenti! A me interessa la sua salute.»

«Il paziente non sono io, è la Isle de Foree e le sue condizioni sono critiche. Si faccia da parte, dottore, devo parlare con i miei comandanti.» Fece cenno a Janson e Kincaid di avvicinarsi.

Janson scrutò gli uomini radunati intorno alla barella di Poe. Il leader dell’FFM disponeva di una decina di luogotenenti, alcuni giovanissimi, altri già anziani. Erano tutti soldati validi ed esperti, li lodò Poe, e avevano fatto un ottimo lavoro nel ricostituire le loro forze malridotte e nel raccogliere intorno alla causa gli uomini che arrivavano dalla foresta. Ma nessuno di loro aveva il carisma del leader.

Poe si rivolse a loro in portoghese. Parlò con voce ferma e vibrante, il pugno teso a indicare il corpo del figlio e il volto solcato da lacrime di dolore. Quando il gruppo si avviò lungo il sentiero a passo rapido, con la barella di Poe ad aprire la fila, chiamò Janson al suo fianco.

«Ho spiegato ai miei uomini che è necessario proteggere la città da una distruzione non necessaria mentre ci impadroniamo del palazzo presidenziale. Ma io non sto andando nella capitale solo per preservare l’ordine. Dobbiamo catturare Iboga. Ha saccheggiato le riserve del Paese e nascosto milioni all’estero. Senza quei fondi, la nostra nuova nazione inizierà la sua nuova vita già in bancarotta. Non possiamo permettergli di scappare. Ora, secondo il dottore voi due siete mercenari pagati per liberarlo dopo il suo rapimento, da parte di quella che definirei una fazione di rinnegati del mio movimento. È esatto?»

«Sostanzialmente sì, ministro Poe» rispose Janson. Non era il momento di discutere sulla sottile linea di demarcazione tra mercenari e consulenti per la sicurezza.

«Visto come siete riusciti a penetrare oltre le linee nemiche e le mie, presumo siate combattenti esperti.»

«Noi pianifichiamo in tutti i dettagli le nostre azioni» replicò Janson. Intuiva che Poe aveva intenzione di offrirgli l’incarico di catturare Iboga e non aveva intenzione di accettarlo. La prima regola per sopravvivere nel loro mestiere era evitare operazioni improvvisate, decisioni non ponderate, azioni raffazzonate senza adeguata preparazione. Inoltre, sia lui sia Jessica stavano esaurendo le forze. E se anche fossero stati in eccellente forma fisica, le operazioni d’assalto di quel tipo erano in genere riservate ad agenti più giovani e impulsivi. Janson aveva già dato, in questo senso, e soprattutto aveva una missione da compiere: aveva garantito di riportare a casa il medico, e abbandonarlo in una situazione come quella non corrispondeva esattamente a un salvataggio.

«Noi siamo soliti pianificare le operazioni con congruo anticipo» spiegò. «Il nostro punto di forza, in qualsiasi missione, è agire sempre di sorpresa, con una formazione piccola e mobile…»

«Una formazione piccola e mobile in grado di distruggere carri armati?» replicò Poe in tono asciutto.

«Ci prepariamo a diversi tipi di eventi» puntualizzò Janson con lo stesso tono. «Senta, signore, ho capito quello che mi sta chiedendo, ma non posso farlo. I suoi uomini conoscono la città, conoscono il palazzo e sono perfettamente in grado di catturare Iboga.»

«Non sarà così facile, temo. Iboga è infido e ha molta esperienza di battaglie. Ha combattuto in Angola, da entrambe le parti.»

«Questa è un’isola, signore. Suppongo che la priorità dell’FFM sia impadronirsi del porto e dell’aeroporto. Se dalla Foree non possono partire navi né aerei, il dittatore non potrà andare da nessuna parte.»

«È vero. Ho già dato ordini precisi in questo senso, e proprio ora uomini scelti sono in marcia verso gli obiettivi, mentre le mie spie in città sorvegliano ogni via d’uscita. Ma conosco Iboga. Anche lui avrà un piano e, se si renderà conto che stiamo vincendo, tenterà di fuggire. Mi serve il vostro aiuto. Le sto proponendo un ingaggio. Vi pagherò adeguatamente.»

Janson scosse la testa. «Lei è un uomo coraggioso, ministro Poe, e per questo la rispetto. Suggerisco di procedere così: mandiamo avanti una decina di uomini della sua guardia personale. Immagino siano i suoi elementi migliori, giusto?»

«Sì.»

«Si occuperanno loro di Iboga. Noi la scorteremo e la proteggeremo. Garantito.» Lanciò un’occhiata a Jessica e lei confermò: «Garantito!».

«Io non sono così importante» protestò Poe.

«Una guerra come questa è una partita a scacchi. Quando il re è perso, la guerra è persa» fu la risposta di Janson.

«Non ho alcun interesse a essere re. Io sono per la democrazia.»

«In una guerra come questa» replicò Janson con pazienza «non fa differenza. Non è il momento di fare il modesto, ministro Poe. Nessun altro può salvare la Isle de Foree se non lei, signore. Noi possiamo contribuire proteggendola fino a quando i suoi uomini non avranno preso la città e catturato Iboga senza chiedere alcun compenso.»

«Perché dovreste farlo?»

«Perché credo che lei sia dalla parte degli angeli» rispose Paul Janson con sincerità.

«E in questo modo proteggerete anche il medico» osservò Poe.

«Be’, gliel’ho già spiegato con molta chiarezza. Il medico è la nostra missione e responsabilità principale. Ci siamo impegnati a riportarlo a casa sano e salvo.»

Nell’inseguimento di Iboga da parte degli uomini dell’FFM, in un primo momento sembrò che la fortuna continuasse a sorridere a Ferdinand Poe. I soldati del movimento inviati all’aeroporto, a dodici chilometri da Porto Clarence, lo trovarono difeso da una piccola unità ormai rassegnata, la quale si arrese dopo una breve schermaglia. La torre di controllo e gli hangar non riportarono danni, al terminal passeggeri qualche vetrata fu mandata in frantumi dai proiettili, ma nulla più.

Uno degli ultimi elicotteri statali rimasti, ai comandi di Patrice da Costa, il più prezioso informatore di Poe all’interno del regime di Iboga, si alzò in volo per evacuare il leader ferito dalle pendici del Pico Clarence. Janson, Kincaid e Flannigan accompagnarono Poe sul volo fino alla nuovissima ala militare dell’Iboga Hospital di Porto Clarence.

Le strutture dell’ospedale civile erano fatiscenti, in contrasto con il magnifico nuovo padiglione, predisposto per curare il dittatore e il suo entourage. Affacciato sul porto attiguo al palazzo presidenziale, in quel momento velato dalla foschia, era un edificio a due piani con il tetto rosso e decorazioni in stucco bianco, punteggiato di balconate sulle quali spiccavano i condizionatori appena installati e sormontato da un’alta torre campanaria. Il giardino era ombreggiato da palmizi e un lungo molo si protendeva nell’acqua.

Poe avvertì subito i medici che non si sarebbe sottoposto a interventi o trattamenti per cui fossero necessari anestesia o sedativi: intendeva restare vigile fino a quando la battaglia non fosse stata vinta. L’unica sua debolezza fu quella di pregare Terrence Flannigan di restare al suo fianco.

«Non sono specialista in medicina interna, signore.»

«Certo. Però non è stato assunto da Iboga.»

«Giusta osservazione» intervenne Jessica Kincaid. «Ha ragione, dottore: lei è l’unica persona di cui possiamo fidarci.»

Terry Flannigan capì che per il momento non sarebbe andato da nessuna parte, anche se non lo attirava molto neppure l’idea di seguire i due agenti ingaggiati dalla ASC. Annie Oakley e Il Muro però non lo perdevano di vista un istante. In attesa del momento opportuno per far perdere le proprie tracce sarebbe rimasto al fianco del leone dell’FFM, che insisteva per farsi sollevare il letto in modo da poter guardare dalla finestra lo svolgersi degli eventi.

La presenza di Poe per ora sembrava sortire l’effetto sperato. Dalla città si levava qualche isolata colonna di fumo, e di tanto in tanto echeggiava un colpo di pistola, ma la situazione pareva sotto controllo.

Mancava un’ora al tramonto e c’era ancora molta luce. In quel momento, la bandiera personale di Iboga, un serpente rosso in campo giallo, fu ammainata dal pennone sulla torre del palazzo. Poe rispose a una chiamata al cellulare. Il volto gli s’illuminò di un’espressione soddisfatta. «Iboga è in trappola. È solo» annunciò ai presenti nella stanza. «Non uccidetelo» ordinò al telefono. «Dobbiamo scoprire dove ha nascosto il denaro. Prendetelo vivo.» Poi si girò verso la finestra a guardare il molo e disse ai due americani: «Non volevate catturare Iboga, eppure ora siete qui. Avete i posti in tribuna per il gran finale. Guardate sul molo, da un momento all’altro lo vedrete».

Janson sussurrò a Jessica: «La guerra come la descriveva Shakespeare. Tutti i protagonisti principali nella stessa stanza».

Come preannunciato, Iboga apparve sul molo, inconfondibile per la mole. Correva, con velocità sorprendente in rapporto alla sua stazza, e non era solo. Lo affiancavano due guardie del corpo, le quali esplodevano brevi raffiche di mitra all’indirizzo dei loro inseguitori e ricaricavano le armi, attingendo a una riserva in apparenza inesauribile contenuta nei loro zaini.

«Molto efficienti» commentò Jessica.

All’improvviso uno dei due cadde a terra, colpito. Iboga e la guardia rimasta continuarono a correre e a sparare per proteggersi la fuga. Janson scrutò lo specchio d’acqua del porto con il binocolo, alla ricerca di un motoscafo in arrivo, ma non ne trovò. Non c’era nessuno in acqua. La rada di Porto Clarence era deserta, dai grandi serbatoi petroliferi arrugginiti ai moli da pesca e da carico. L’unica rimasta nella baia era una nave passeggeri bulgara forse abbandonata al terminal d’imbarco delle navi da crociera, immaginò Janson, data la mancanza di rimorchiatori per portarla al largo.

«Mi presta il suo binocolo?» chiese Flannigan.

Janson glielo passò e il medico lo puntò sui due uomini in fuga.

«Conosce la guardia del corpo?»

«No» rispose precipitosamente Flannigan, e restituì il binocolo.

Con un cenno Kincaid attirò l’attenzione di Janson. «Velivolo in arrivo.»

Era solo un puntino all’orizzonte.

«Se è un elicottero lo abbatteranno all’istante.»

Ma il puntino si avvicinava troppo in fretta per essere un elicottero. Dopo pochi secondi videro un jet da combattimento che sfrecciava a velocità paurosa. «La Africa Partnership Station ha a disposizione anche una portaerei?»

«Non che io sappia. Forse è partito dalla Nigeria.»

«Troveranno una bella accoglienza all’aeroporto.»

Viaggiando a quasi mille chilometri orari, il caccia era sempre più vicino e Janson riconobbe le tipiche ali corte e inclinate di un Harrier a decollo verticale. Janson e Kincaid si scambiarono un’occhiata eloquente quando l’aereo rallentò all’improvviso e calò verso il molo con una traiettoria che divenne rapidamente verticale.

«A quanto pare Iboga ha prenotato il servizio taxi.»

La manovra compiuta dall’Harrier a decollo verticale sfidava tutte le leggi della fisica. A un tratto, il caccia che fino a un istante prima attraversava il cielo a velocità vertiginosa, rimase sospeso nell’aria, come un rumoroso addobbo natalizio in equilibrio su una nube di gas di scarico scura.

«Ma è un caccia monoposto solo per il pilota.»

«Gli aerei da addestramento hanno due posti» corresse Janson. «Guarda la lunghezza del tettuccio.»

Alle due estremità della fusoliera apparve un robusto carrello di atterraggio, mentre dalle ali comparivano dei sottili montanti, simili a bastoni da passeggio. Il frastuono del motore sotto sforzo rimbombava nella struttura di cemento dell’ospedale, facendo tremare le finestre.

Ferdinand Poe afferrò il cellulare. «Fermatelo! Sparate! Non fatelo atterrare.»

Una squadra di soldati eruppe dal palazzo, imbracciando fucili mitragliatori.

«Per fortuna gli aerei da addestramento non hanno la piena dotazione da combattimento» commentò Kincaid.

«Questo ce l’ha» ribatté Janson cupo, passandole il binocolo. «Cannone Gatling a sinistra.»

Il cannone cominciò a sparare, il motore ululava in un crescendo assordante. Proiettili da 25 millimetri di diametro spazzarono via dal molo gli uomini con le mitragliette. L’aereo atterrò pesantemente, con un sussulto. La coda si abbassò, per risalire subito dopo. La metà anteriore del tettuccio si aprì e fu calata una scaletta di corda.

«Dilemma interessante: un solo posto libero e due passeggeri da caricare.»

Iboga salì agilmente i sei pioli della scaletta e si incastrò nel minuscolo abitacolo. Il tettuccio si richiuse. I motori accelerarono e il jet si alzò in verticale su una colonna di gas di scarico, ruotando su se stesso fino a puntare verso il mare.

Con il muso rivolto verso l’alto, il caccia con a bordo il dittatore deposto della Isle de Foree acquistò velocità. Dopo quindici secondi era sparito.

Jessica abbassò il binocolo. «Dov’è finita la guardia del corpo?»

«Si è tuffata dal molo.»

«Hai visto delle insegne sull’Harrier? Io no.»

«Solo pittura mimetica.»

«Dunque chi ha fornito a Iboga il servizio taxi?» chiese Kincaid.

«Gli stessi che hanno mandato il Reaper, suppongo.»

«Ma il Reaper l’ha quasi ucciso.»

«No, non è andata così» la corresse Janson. «Iboga correva a parecchia distanza dai tank, ma sarebbe stato un obiettivo facile, con il suo turbante giallo. L’operatore dei sensori del Reaper avrebbe potuto localizzarlo facilmente sui suoi monitor. Se fosse stata quella la missione il pilota l’avrebbe eliminato: Douglas Poe non ha avuto scampo.»

Ferdinand Poe fissava a bocca aperta il cielo vuoto, nel punto in cui il jet era scomparso, e Janson vide chiaramente tutta la speranza e l’adrenalina della vittoria militare abbandonare il corpo martoriato del vecchio leader.

Terry Flannigan gli posò una mano sulla spalla. «È ora di riposare, ministro Poe. Lei ha fatto tutto il possibile. I suoi uomini hanno preso il comando e la città è salva.»

Era difficile capire se Poe l’avesse sentito, ma allungò un braccio e strinse forte la mano di Flannigan. I suoi occhi erano già chiusi.

La testa gli ricadde sul petto. Flannigan chiamò con un cenno le infermiere in attesa sulla porta, tutte in impeccabile uniforme bianca. Entrarono leggere e subito si affaccendarono intorno al paziente, facendolo stendere sulla schiena e rimboccandogli il lenzuolo fino al mento.

Flannigan si rivolse a Janson. «Resterò con il mio paziente fino all’arrivo dei chirurghi specializzati.»

«Da dove?»

«Da Lisbona. Nonostante i brutti ricordi lasciati dal colonialismo, per gli abitanti dell’isola la capitale portoghese resta il punto di riferimento per la medicina e non solo. Senta, voi dovreste riconsegnarmi alla ASC, lo so, ma per il momento non posso muovermi. Glielo dica da parte mia, grazie per essere venuti a cercarmi. E ovviamente grazie a voi due.»

Terry Flannigan tese la mano, cercando disperatamente di nascondere le sue vere intenzioni: non sapendo di chi poteva fidarsi, la sua unica opzione era fuggire il più lontano e il più in fretta possibile.

E funzionò, notò Flannigan. I due americani si scambiarono un’occhiata. Poi gli strinsero la mano e si allontanarono, mentre Janson digitava alcuni numeri su un minuscolo telefono satellitare.

L'occhio della fenice
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