6.

Correvano veloci sulla mesa, con la sabbia che riempiva le scarpe, i cespugli di artemisia e le erbacce che graffiavano polpacci e caviglie.

«Aspetta!» le urlò dietro Jamie.

Amina sentì la sua mano afferrarle la spalla e guizzò all’indietro. Lui non aveva detto una parola da quando era schizzata fuori da dietro gli spalti. Quand’era arrivata sulla strada principale, fuori dal campus, se l’era trovato accanto, le lunghe falcate che tenevano il passo con la sua corsa impazzita.

«Cazzo, Amina, aspetta!» Stavolta l’afferrò più saldamente e la costrinse a fermarsi. «Va tutto bene. Non ci sta seguendo nessuno, te lo giuro».

Amina si divincolò. In lontananza, erano appena comparse le punte acuminate della recinzione di ferro e lei vi si diresse zoppicando, vagamente consapevole di avere qualcosa alla caviglia. Tremava.

«Ehi» disse Jamie toccandole dolcemente la spalla. «Ehi, tutto bene?»

Non andava bene per niente, invece. Amina aveva la sensazione di avere una matita conficcata nella caviglia. Si fermò.

«Che cos’è stato? Un ninja?» domandò Jamie.

Amina scosse la testa, la faccia di suo fratello le si fece incontro come una folata di vento attraverso una porta aperta. Si prese il viso tra le mani. Dalla gola le uscì un gemito roco e Jamie l’abbracciò, chinandosi per accorciare la distanza. Le accarezzò i capelli all’indietro con piccoli gesti ripetitivi, come si fa per calmare gatti e bambini.

«Cos’è successo?»

Lei scosse la testa. Si asciugò la faccia con un braccio, imbarazzata e disperatamente bisognosa di un fazzoletto di carta. «Andiamo».

Il ritorno a casa avvenne in silenzio. Jamie aveva insistito per accompagnarla in macchina, e l’avrebbe aiutata a recuperare la sua auto il giorno seguente, ma ora, mentre il silenzio si stendeva fra di loro, Amina si pentì di averglielo permesso. A essere sinceri, lui aveva cercato parecchie volte di farla parlare, anche con qualche battuta, ma il mutismo di Amina l’aveva smontato e così ora se ne stavano seduti vicini in auto come due pietre gettate insieme sul fondo di uno stagno. L’auto piombò giù verso la vallata, edifici cittadini scomparvero in grandi distese buie e regolari di terreni coltivati. Presto imboccarono Corrales Road, e ogni tanto vedevano lampeggiare cartelli che segnalavano la presenza di cavalli e bestiame.

«Qui» disse lei, e Jamie uscì dalla strada principale per imboccarne una più corta. Lei gli chiese di superare il fosso e portarla al sentiero.

«Riesci ad arrivare fino in fondo?» gli domandò.

«Come?»

«In fondo a questa strada. Per favore, portami lì».

Passarono davanti al vialetto di casa sua, la strada illuminata era gialla e polverosa di fronte a loro. Era senza uscita e in fondo Jamie rallentò e si fermò. Spense il motore ma tenne accesi i fari e rimasero a guardare le cavallette sfrecciare dentro e fuori dal buio. Lui aveva le spalle irrigidite che gli sfioravano le orecchie, come se si stesse preparando a ricevere un colpo.

«Scusami» disse lei.

«Stai bene?»

Lei annuì, ma le bruciavano gli occhi.

«Che cos’è successo?»

«Forse ero troppo fatta».

Il muro di erbacce oscillò davanti a loro, una cortina scura di fronde e insetti che conduceva all’acqua.

«Probabile» disse lui, poco convinto. Lei allungò una mano. Lui ne fu sorpreso, e allontanò lievemente la testa mentre le dita di lei gli raggiungevano l’angolo della bocca e la soffice carne del labbro.

«Senti» fece lui, con quella voce gentile che si usa per deludere le persone; lei si protese e sentì la sua bocca calda e immobile contro la sua. Gli baciò il labbro superiore e poi, quando lui non reagì, quello inferiore, succhiandolo dolcemente. Jamie non rispose al bacio, ma non glielo impedì nemmeno, e Amina si protese ancora un poco, sentendo sapore di birra e sale mentre una stilettata di dolore le spaccava la caviglia a metà. Lui si ritrasse.

Lei gli baciò la mascella. Con le dita gli trovò la nuca e lo attirò a sé, spaventata al pensiero che potesse fermarla. Non voleva che accadesse. Poi gli passò una mano sulla coscia, sull’inguine, sul caldo braille delle cuciture, e si stupì per la rapidità della sua reazione, una mano piazzata sul collo e l’altra a cercarle il capezzolo con una sicurezza che le mozzò il fiato nei polmoni. Si mosse, si avvicinò, la sua schiena si allungò. Amina raggiunse la maniglia dello sportello, dietro di sé. Scese nell’aria paludosa, le gambe che le tremavano mentre raggiungeva il bagagliaio e lo apriva.

«Vieni».

Lui non si mosse.

«Ti prego» disse lei.

Lo sportello di lui si aprì e lei scivolò dentro, togliendosi le scarpe al buio. Lui le fu accanto e l’auto sobbalzò lievemente sotto il suo peso. Lei gli sollevò la camicia per baciargli quel tratto di pelle glabra sopra l’anca. Gli allargò l’elastico dei boxer e inspirò il suo odore terroso.

«Aspetta».

Non voleva aspettare. Il suo uccello pesava piacevolmente, era caldo e solido e rassicurante, lì al buio, come una torcia.

«Amina, aspetta».

Lei se l’infilò in bocca.

«Cazzo». Le ficcò le mani tra i capelli, le cullò la testa e la spinse più giù mentre protendeva i fianchi. Sapeva di spiaggia, di sollievo.

Lei si scostò di lato per togliersi la camicetta, si divincolò per sfilarsi i pantaloncini e le mutande. Avvertì il suo sguardo mentre gli saliva sopra a cavalcioni e ignorava l’esplosione di dolore alle ginocchia. Gli occhi di lui erano fessure di vetro mentre lei si sollevava nel buio e affondava nuovamente. Con una mano lui le afferrò la clavicola e le infilò l’altra tra le gambe. Lei si chinò su di lui fino a quando non riuscì più a respirare.

«Vieni» disse Jamie e lei obbedì, facilmente, come una bomba in attesa di esplodere.

Dopo posò il capo sul cuscino teso del suo bicipite, ancora scossa da piccoli fremiti.

«Mi hai spaventato» disse alla fine Jamie con una risata morbida. Lei gli teneva la fronte premuta sulla gola e le parole di lui le ronzavano nel cervello. «Ti sei messa a correre così in fretta che ho pensato: Qualcuno sta cercando di ucciderla, cazzo. Ho pensato che avrei dovuto combattere».

Si girò un poco e l’orecchio di Amina gli si appiattì contro la spalla. Per un istante immaginò di raccontargli di avere visto Akhil dietro gli spalti, che era identico a subito dopo il Grande Sonno, ma la mano di Jamie trovò la sua guancia e gliel’accarezzò lievemente, in un gesto che era di possesso e assenza insieme, e lei si rese conto che ciò che era iniziato come un tentativo di reclamarlo, di raccogliere intorno a loro la notte e di raggomitolarsi là sotto come se fosse una coperta, non aveva funzionato.

Ora non si sentiva più vicina a Jamie. Non avvertiva il rilassamento che aveva cominciato ad associare al sesso con lui, quella completa liberazione del corpo. Invece si sentì una traditrice. I finestrini dell’auto li circondavano come occhi e Amina ebbe la precisa sensazione di essere guardata mentre se ne stava là distesa, di essere giudicata. Avere visto Akhil (che, mentre le passava lo sballo, iniziava a sembrare sempre meno un incontro soprannaturale e sempre più una rivincita del suo subconscio) aveva spalancato la porta su un mondo in cui avrebbe potuto essere giudicata sleale da quella versione di suo fratello rimasta legata per l’eternità alla Mesa Preparatory, mentre tutti gli altri – Paige, Jamie e lei stessa – erano passati a un futuro luminoso e mortale.

«Non so se riuscirò a rivedere Paige» disse Amina.

Jamie restò in silenzio così a lungo che lei avrebbe creduto che non l’avesse sentita se a un tratto il suo respiro non si fosse fatto più affannoso.

«Allora non farlo» disse lui alla fine.

«Insomma, cosa potrei dirle?»

«Cristo, Amina». Lui si mise a sedere e la testa di lei scivolò sulla moquette ruvida. «Possiamo evitare di parlare di mia sorella in questo momento?»

«Credevo che volessi parlare» disse lei imbarazzata dall’acutezza femminile della propria voce. Poi fissò il soffitto imbottito mentre lui infilava nuovamente le gambe nei boxer.

«Scusami» disse. «Ho pensato che forse era importante dirtelo».

«Hai visto i miei bermuda?»

«Sì». Sollevò la gamba e li tirò fuori da sotto di sé. «Eccoli».

«Grazie». Si rivestì con una certa goffaggine, facendo perno su una natica più che sull’altra. Amina si mise a sedere. «Posso tornare a casa a piedi, se vuoi».

«No che non voglio». Lui si guardò intorno, trovò una scarpa da ginnastica e poi l’altra e se le mise. «Tu lo fai sempre. Ammutolisci, poi ti metti a litigare e cerchi di svignartela».

«Sempre?» Il viso le pizzicò, in fiamme. «Dipende da cosa intendi con “sempre”».

«Non so che cosa ti aspetti da me. Insomma, è così difficile dirmi che cosa sta succedendo? “Jamie, sono triste”. “Jamie, andare alla Mesa è stata la peggiore idea di sempre”. “Jamie, quella storia di Paige e Akhil mi fa ancora uno strano effetto”. È così difficile?»

«Jamie, non fare lo stronzo».

Lui mise il broncio.

Amina lo guardò attentamente, mentre il cuore le batteva forte. «Ma a te non fa uno strano effetto?»

«Onestamente, non è che ci pensi molto. È successo tanto tempo fa. Erano solo dei ragazzi».

Amina annuì, le sue parole le rigirarono nella testa come valuta straniera, preziosa soltanto altrove. Solo dei ragazzi. Akhil sarebbe stato sempre soltanto un ragazzo, avrebbe voluto dire, non sarebbe mai stato altro, ma le parve che il dolore dietro quelle parole fosse troppo ovvio per pronunciarle, troppo umorale e troppo pieno di autocommiserazione.

«Cos’è successo, allora?» domandò Jamie, con una certa dolcezza.

Il viso di Amina iniziò a bruciare. «Non lo so».

Lui le prese la mano e se la posò sui peli umidi del petto, la mano che la faceva pensare a cani, lealtà e protezione, e a un tratto capì che si stava innamorando di lui. Era buono, questo era abbastanza ovvio, ma c’era di più, c’era il modo in cui Jamie si sentiva unicamente suo, arrivato grezzo da un luogo molto lontano soltanto per lei, una cosa di cui non si era concessa di sentire la mancanza fino a quando non era tornata. E ora? Ora che cosa poteva farne? Sentì il cuore di lui batterle lievemente contro il dorso della mano e chiuse gli occhi finché quel minuscolo impulso non riempì lo spazio che li separava.