Capitolo trentadue

«Ci sono più persone che conosco in questo ospedale che nel cavolo di commissariato! L’ora delle visite mi sta prendendo un secolo!». Nikki porse a Joseph un grosso sacchetto di uva senza semi. «Ho pensato che avresti iniziato a lagnarti se me ne fossi dimenticata di nuovo». Gli sorrise dall’alto. «Come va?»

«Non ci si può lamentare, come diceva mia mamma, ma inizio a insospettirmi di cosa potrebbero stare facendo con tutto il sangue che continuano a prelevarmi». Lui si tirò più su nel letto, e fece una smorfia. «E lo stomaco è ancora terribilmente indolenzito».

«Ah, allora sarà meglio che mi ridai quella frutta. Forse portartela non è stata un’ottima idea, dopotutto». Lei accostò una sedia al letto, si accomodò accanto a lui e prese un rametto dal grappolo di uva. «Ti salutano tutti e ti mandano il loro amore, o i loro auguri. Cancella la parte non opportuna». Nikki addentò un chicco. «Quindi… Hai qualche novità su quando ti dimetteranno?».

Joseph storse la bocca. «Tra cinque, forse sei giorni. Le cose non sono ancora tornate del tutto alla normalità, e anche qualche esame sulla funzionalità epatica non ha dato i risultati che si aspettavano».

«Altri esami del sangue?».

Lui annuì cupo. «So che dovrei essere felice di essere vivo, ma la mia soglia di sopportazione della noia è abbastanza bassa. Ho bisogno di fare qualcosa».

«Cosa ne dici di concentrarti sul guarire?»

«Fatto. Miglioro di ora in ora! Oh, e come sta Kerry?»

«Quella sì che è una ragazzina resiliente! Se non fosse stato per il cane di Kris Brown, non sono sicura che ce l’avrebbe fatta». Nikki fece un gran sorriso. «L’ho vista prima, e stava sproloquiando estatica sulla giustapposizione di luci e ombre nella cantina del Coggin’s Cottage! Riesci a crederci? Vuole seriamente tornare là sotto e fotografarla per il suo progetto di fine corso».

«Incredibile. Ma le auguro tutto il meglio». Joseph si mosse, scomodo. «Sei riuscita a ricostruire cosa le è effettivamente successo?»

«Più o meno», disse Nikki con la bocca piena. «Buona quest’uva. Mi spiace per il tuo stomaco. Allora, appena prima del rapimento di Kerry, Fluke III ha aggredito Kris Brown, gli ha fregato il portafoglio per farla sembrare una rapina vera, ma in realtà gli ha preso il cellulare».

«Ah, questo spiega molte cose. Le ha mandato un messaggio, l’ha attirata alla marina e ha sviato i sospetti su Kris».

«Centrato in pieno. E sono stati fortunati che Kris fosse un ragazzo un po’ strambo. Io ero molto sospettosa di lui, ma a quanto pare è sempre stato un tipo ossessivo, e poi con la morte del padre è peggiorato tantissimo. Scruta il cielo per essergli più vicino». Nikki sembrò un filo imbarazzata. «È possibile che debba porgergli qualche scusa».

Joseph sorrise. «Ci sei andata giù piuttosto pesante, con lui. Ma tornando a Kerry, perché Fluke non l’ha uccisa?»

«Fluke II e III erano le formiche operaie, l’assassinio non faceva parte delle loro competenze: dovevano solo provocare disordine».

«Allora perché uccidere Lisa Jane?»

«Temo che quello sia stato semplicemente un capriccio di Frankie Doyle. Gelosia e spregio. Lisa Jane aveva tutto quello che a lei mancava. Bellezza, e una famiglia che l’amava».

«Quindi nessuna faida? Nessun tentativo di prendere il sopravvento? Nessuna vendetta contro i Leonard per crimini passati?»

«No, soltanto una donna perversa e amareggiata senza un briciolo di umanità nel cuore, ammesso che ne abbia uno». Nikki pensò a quanto aveva avuto ragione Rory Wilkinson, il medico legale, nel dire che doveva avere “un cuore freddo come la pala di un becchino”.

«E Stephen Cox? Il Fluke originario?».

Il volto di Nikki si scurì. «Scomparso».

«Con una faccia come quella? Come diavolo ha fatto?»

«Non lo capisco. Ma proprio non vorrei essere nei suoi panni, al momento».

«Intendi con tutte le forze di polizia britanniche che gli danno la caccia?»

«No, perché Archie Leonard ha offerto una ricompensa. Un’offerta immorale e del tutto clandestina, capisci? Ora come ora, il Carborough sembra Dodge City, pieno di manifesti che dicono RICERCATO! VIVO O MORTO dappertutto! Più ci sbrighiamo a toglierli, più in fretta rispuntano!».

«Sembra confortante, in realtà», disse Joseph.

«Non dovrebbe, ma è così. Oh, e abbiamo indetto un’amnistia per le maschere. Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto interi scatoloni di quelle cose orribili! Consegnati più che altro da genitori furiosi, va detto. Prima o poi faremo un falò rituale». Nikki lanciò un’occhiata all’orologio.

«Fantastico! Ti sei mangiata la mia uva, e adesso te ne vuoi andare». Joseph si sforzò di sembrare seccato.

«Non prima di averti dato queste». Infilò una mano nella borsa, estrasse tre copie di The Beano e gliele lanciò sul letto. «Indovina chi te le manda?».

Il volto di Joseph si rischiarò immediatamente. «Come se la sta passando?»

«Alla grande. Potrebbe andare a casa presto, ma…». Nikki scrollò le spalle.

«I servizi sociali?»

«Non sono ancora sicura, sto lavorando a qualche idea».

Joseph inclinò la testa di lato. «Tipo?»

«Sarai il primo a saperlo, se mi viene in mente qualcosa di più adatto a lui». Gli sorrise. «E adesso, devo proprio andare».

«A trovare Hannah? Come sta?».

Nikki lo fissò, ma non rispose subito. Poi sorrise di nuovo e chiese: «Ti va un viaggetto in sedia a rotelle?».

«Non ho mai portato nessuno qui», disse piano Nikki, mentre accarezzava con dolcezza i capelli della figlia.

Joseph guardò la ragazza, e Nikki notò una lacrima brillargli nell’angolo dell’occhio.

«All’inizio è sconcertante, ma poi ti ci abitui», disse. «Non è vero, Hannah?».

Non ci fu nessuna reazione.

«Sembra sveglia, ma non dà segno di essere cosciente, vero? Può sentirci?», chiese Joseph.

«Dicono di no. Dicono che sia del tutto inconsapevole di ciò che la circonda, ma io non ne sono convinta». Nikki prese la mano di Hannah e le massaggiò delicatamente le dita. «Respira da sola, ha un ciclo del sonno, e si sveglia, ma è ampiamente riconosciuto che qualunque altro movimento o rumore che fa è solo involontario».

«Dev’essere dura per te». La voce di Joseph s’incrinò per l’emozione.

«Era peggio quando era in coma. Almeno questa è una situazione neurologica un pelo migliore».

«Nikki! Ciao. Scusa, non ti avevo vista entrare».

«Ciao, Bob». Si voltò e indicò Joseph con un gesto. «Lui è un mio collega, che al momento sta facendo un po’ lo scansafatiche. Joseph, Bob Trainer, uno degli angeli custodi di Hannah. O uno dei suoi infermieri specializzati, come preferiscono essere chiamati. Allora, come sta oggi la mia bambina?»

«Stavo proprio per farle il bagno. Poco fa ha fatto una fantastica sessione di allenamento con il fisiatra, non è vero, Han?»

«Faremo meglio a togliere il disturbo, allora», disse Nikki.

«Non c’è fretta. Hai un momento prima di andar via, Nikki? Il primario di Hannah mi ha chiesto di darti una lettera, se ti avessi vista. È nell’ufficio».

Nikki sentì il cuore vacillare. Ti prego, non così, non dopo tutto questo tempo. E sicuramente non in una lettera! In qualche modo riuscì a mantenere il controllo, e disse: «Resteresti con lei, Joseph, solo un paio di minuti?»

«Con piacere. Era ora che facessimo conoscenza. Ho così tante cose da dire a questa ragazza sul conto di sua madre».

Nikki seguì l’infermiere nell’ufficio. «Sai di cosa parla la lettera, Bob?».

Cercò di dissimulare il tremore della voce.

«In effetti sì. E so che vuole anche parlartene di persona».

Un brivido le increspò la pelle da una scapola all’altra. Non era pronta. Non dopo tutto quello che era successo negli ultimi tempi. «E quindi?».

Bob Trainer le sorrise. «Ieri abbiamo fatto una risonanza magnetica funzionale».

«Lo so, ho dato il mio consenso, ma non sapevo che l’aveste già fatta».

«Sono emerse alcune lievi differenze rispetto all’ultima che le avevamo fatto».

Nikki lo fissò. «In meglio, o…».

Bob si sfregò le mani. «Diciamo solo che il suo primario, il dottor Leyton, ha preso contatto con il Dipartimento di Scienze Cognitive di Cambridge. Vuole fare ulteriori esami e avere il loro parere esperto. La lettera parla di questo: contiene una spiegazione e un modulo di consenso che devi firmare. Ti avrebbe parlato di persona, ma è a Liegi, in Belgio, all’università. Ha portato il caso di Hannah per farlo esaminare».

Per un momento, Nikki si sentì sul punto di svenire.

«Sai che non è una cura, Nikki, vero?». Lui la guardò con serietà, porgendole la busta. «Ma crediamo che abbia nuove attività celebrali che potremmo essere in grado di stimolare». Espirò, poi aggiunse: «Solo non aspettarti troppo, potrebbe restare in questo stato per moltissimo tempo, il che non è positivo, ma…».

Nikki cercò di trattenersi dall’abbracciarlo. «Ma potrebbe essere forse un primo segno di ripresa?»

«Non azzarderei tanto, ma nella scienza medica sono accadute cose più strane».

«Se non altro, è una tregua, no?»

«Oh, sì! Quello sicuro».

Mentre Nikki tornava nella stanza di Hannah, ebbe la sensazione che un peso enorme le fosse stato sollevato di dosso. Era un miglioramento infinitesimale, una minuscola gocciolina nell’oceano, ma era un passo in avanti, non un altro scivolone all’indietro. Aveva l’impressione che qualcuno le avesse restituito un pezzetto di sua figlia.

Sulla soglia, si fermò e guardò nella stanza.

Joseph era seduto con la mano di Hannah tra le sue, e chiacchierava tranquillamente con lei. Lo vide parlare, poi sorridere, poi ridere, come se stessero condividendo qualche battuta segreta. E chi poteva dire che non fosse così?

Nikki indietreggiò di un passo e li guardò senza farsi notare.

Joseph aveva un talento naturale con Hannah. Ripensò a Mickey Smith, e a come l’uomo aveva saputo gestirlo. Iperattivo o no, aveva trovato il modo di entrare in contatto con lui, e molto in fretta.

Poi lo vide prendere un fazzoletto dalla scatola accanto al letto, e asciugare con cura l’angolo della bocca di Hannah. Era un brav’uomo, e chi gli stava intorno avrebbe dovuto guardare oltre le voci e i pettegolezzi per vedere il vero Joseph Easter.

Nikki fece un respiro profondo. Meritava di meglio. Soprattutto dalla sua stessa famiglia.