Capitolo ventotto
Nikki sedeva fuori dalla rianimazione stringendo in mano un bicchierino di cioccolata calda. La sorprese vedere che le sue mani stavano ancora tremando. Erano passate due ore da quando avevano stabilizzato Joseph, ma non erano ancora abbastanza sicuri delle sue condizioni da portarlo in sala operatoria.
«Ci ho messo dentro un bel po’ di zucchero, capo. Aiuterà con lo shock». Dave si sedette di fronte a lei, mescolò la sua bevanda e parve confuso. «Mi dica, come mai ci sono così tante persone qui che sembrano conoscerla?».
Era vero. C’erano più persone che la conoscevano per nome lì che nel suo commissariato. E a quel punto aveva poco senso nasconderlo. Era stanca, nauseata a morte da tutti i sotterfugi. «Mia figlia è qui, Dave. È nell’Unità Stati Vegetativi. È qui da molto tempo, ormai».
«Figlia? Ma io non…».
«Non lo sapeva nessuno. A parte il commissario, e di recente Joseph; e lui l’ha scoperto per caso».
«Ma, signora! È terribile! Avrei potuto aiutarla, ne sono certo!».
Nikki fece un lungo sospiro tremante. «Sai, sei proprio un brav’uomo, Dave, ma hai già abbastanza problemi di tuo».
«Tutti quanti abbiamo qualche croce da portare, signora, ma questo non ci impedisce di dare una mano a un amico, no?».
Lei lo guardò: l’idea di essere amica di qualcuno le piaceva molto. «Inizi a parlare come Joseph».
«Non è poi una brutta cosa, no?», chiese Dave con un sorriso fiacco.
«No, non lo è». Lei fissò la stanza in cui alcune persone coi camici si stavano ancora muovendo intorno al suo sergente ferito.
Si lasciò sprofondare nella sedia. Era così stufa di sedere in sale d’attesa ospedaliere, mentre le persone che amava e a cui teneva stavano sdraiate su barelle, o letti o tavoli, sospesi tra la vita e la morte.
«Ce la farà, sa», disse Dave in tono sicuro.
«In quel caso, sarà merito tuo. Non mi sarei mai sognata che ci seguissi, pensavo fossi andato al porto».
«Non mi piacciono le folle, capo. E avevo una bruttissima sensazione riguardo a lei e al sergente».
«Grazie al cielo».
«Quando sono arrivato, Joseph era già a terra e lei stava urlando come una pazza». Dave scosse la testa. «Ho chiamato l’ambulanza e ho detto che doveva avvicinarsi con discrezione all’entrata più lontana dal fiume. Sono tornato indietro di corsa quando li ho visti arrivare, poi ho dovuto ricalcolare i rischi. Non potevo lasciare che quei dottori si addentrassero in una situazione potenzialmente pericolosa, ma non appena quel tizio le è venuto incontro con il coltello, li ho avvisati di accendere le luci e le sirene e ho deciso di correre ad aiutarla. Come sono felice che quei criminali abbiano deciso di darsela a gambe!».
«Hai attraversato quel parcheggio quasi avessi avuto tutti i demoni dell’inferno alle calcagna». Nikki gli rivolse un sorriso stanco. «Non avevo idea che fossi così veloce».
«Mi sono sorpreso da solo, signora. Strano quello che può fare la cara vecchia adrenalina».
«Centrale ad agente Harris: confermi la sua posizione. Passo». La radio di Dave si accese con un crepitio.
«Qui l’agente Harris, sempre al Greenborough Hospital. Passo».
«Qualche novità sul sergente Easter?»
«Non ancora. Vi contatterò appena sapremo qualcosa».
«Grazie. Il commissario vuole che chiami la centrale da una linea fissa».
«Ricevuto». Dave spense la radio e si voltò verso Nikki. «Vogliono che li chiami». Abbassò la voce a un sussurro. «Dev’essere per un aggiornamento sugli eventi».
Nikki si raddrizzò. «Allora vai. E chiedi quando daranno il via e se hanno localizzato i sospettati».
Dave tornò dopo un attimo. «È tutto pronto. Calcolano entro un’ora, e hanno quattro sospettati sotto tiro: tre maschi e una femmina».
Nikki ringraziò tra sé il cielo.
«Scusi se la interrompo, signora Galena, ma siamo pronti a portare il suo agente in sala operatoria». Il dottore, uno dei tanti che si era occupato di Hannah, le rivolse un sorriso esausto. «È una situazione delicata, ma lui è molto più stabile adesso, e preferiremmo non aspettare troppo. Non possiamo rischiare un’emorragia interna ma ha ottime possibilità di farcela, se i parametri vitali restano stabili. Può fargli compagnia finché non lo portano via, se vuole».
«Provi a fermarmi». Nikki sorrise a Dave, che riferì subito le buone notizie ai loro colleghi.
Sulla soglia della stanza l’ispettore vacillò, le gambe improvvisamente incapaci di farla entrare. E se non ce l’avesse fatta? E se ci fosse stata un’altra emorragia? E se fosse finito come…
«Quindi l’uva dov’è?». La voce di Joseph poteva essere debole e roca, ma infranse l’incantesimo.
«Ancora sullo scaffale della Tesco, sergente. Mi spiace, sono stata impegnata a inseguire criminali».
«Me lo sono sognato, o ha davvero chiamato quel delinquente mascherato “piccolo pezzo di merda”?»
«Piccolo pezzo di merda del cazzo, in realtà».
«Oh, bene».
Nikki fu all’improvviso sopraffatta dal sollievo, e corse quasi al suo fianco. «Come si sente, gran…».
«Mi sento come se fossi stato accoltellato, e il termine giusto è idiota, vero?».
Joseph allungò un braccio per prenderle la mano, e lei gliela strinse con gioia. «Idiota andrà bene, finché non l’avrò di nuovo al CID. A quel punto, avrò avuto tempo d’inventarmi qualcosa di più appropriato».
Lui cambiò espressione. «Mi dispiace tantissimo, signora. Ho messo entrambi in pericolo». Parve terribilmente abbattuto. «Non riesco a capire come ho fatto a crederle! Il mio istinto non mi aveva mai tradito, finora. In tutti i miei anni da soldato…». Le parole sembrarono prosciugarsi.
«Forse, alla fine, ha smesso di essere quel soldato. Il soldato che voleva lasciarsi disperatamente alle spalle. Forse ora è un poliziotto al cento percento, e quello è un lavoro molto diverso. Combattiamo un altro genere di nemico, Joseph, e non è semplice. Tutti quanti commettiamo degli errori, mi creda!».
«Forse». Lui chiuse gli occhi, poi sembrò tornargli in mente tutto il resto. «Signora! La nave era giusta? Hanno preso la droga? Hanno catturato la gang?»
«Ehi! Si rilassi! Deve stare calmo, Joseph! Sì, la nave è quella giusta. Ma non si può dare inizio all’operazione finché la merce non viene scaricata. Devono beccarli mentre se ne impossessano. Il commissario dice che è tutto pronto, e i nostri amici con la faccia da topo stanno aspettando nell’ufficio spedizioni, con i documenti in mano».
«Compresa Frankie Doyle? Era lei la donna che mi ha accoltellato, ho ragione?»
«Sì, Joseph, è lì, e la prenderanno. Pagherà per quello che ha fatto, glielo prometto».
Joseph chiuse di nuovo gli occhi. «Mi promette un’altra cosa?».
Nikki si fece più vicina. «Non è niente di sdolcinato, tipo “dica a Laura che la amo”, vero?»
«Certo che no». Lui le strinse forte la mano. «Senta, mi hanno detto che la mia operazione non è priva di rischi, e anche se tutto andasse bene, potrei restare qui per qualche tempo».
«Lo so, ma starà bene, l’ho saputo da una fonte autorevolissima: il suo fan numero uno, Dave Harris».
Lei si guardò intorno e, quasi a farlo apposta, Dave alzò la mano e fece un cenno di saluto attraverso il vetro di osservazione.
Joseph gli sorrise, poi tornò a voltarsi verso di lei, il viso mortalmente serio. «Frankie Doyle. Quando l’avrete in custodia, e non ho dubbi che la prenderete, segua le regole! Me lo promette, signora?».
Nikki corrugò la fronte. «A cosa si riferisce?»
«Sa esattamente a cosa mi riferisco. Le ha provocato un danno incommensurabile». Continuò a stringerle la mano. «Ma non le conceda neanche un centimetro, neanche la minima discrepanza di cui potrebbe approfittarsi per passarla liscia». Le rivolse un lieve sorriso. «So che vorrebbe smembrarla un pezzo alla volta, lentamente e senza anestesia, ma, per l’amor del cielo, la tratti con i guanti di velluto! Deve essere sconfitta! Deve finire dentro, e deve restarci, signora». Il suo respiro divenne affannoso, ma non aveva concluso. «E non dimentichi che è forse l’unica persona a sapere dove si trova Kerry Anderson. Se dovesse inimicarsela ancora di più, non ci dirà mai nulla».
Prima che Nikki potesse rispondere, qualcuno urlò: «È ora di andare, Joseph».
Due inservienti si fermarono sulla soglia, e il dottore e un piccolo esercito d’infermiere iniziarono a sistemare flebo e monitor per lo spostamento in sala operatoria.
«Non aspetti qui, signora. Vada al porto a godersi un po’ di azione».
«Grazie, sergente, ma per oggi penso di averne avuta più che abbastanza. Forse seguirò il consiglio, e lascerò la cosa ai professionisti».
Mentre la barella veniva spinta verso la porta, lui disse: «Qualunque cosa faccia, non la lasci vincere».
Lei lo seguì nel corridoio verso gli ascensori. «Buona fortuna, Joseph», sussurrò. «Vorrei pregare per lei, ma non sembra che abbia funzionato poi così bene, di recente».
Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, lui sorrise esangue e disse: «Oh, io non direi, sono ancora qui, no?».
Dave la raggiunse all’accettazione. «In questo momento al porto ci sarà un bel po’ di gente che si sta mangiando le unghie».
Nikki annuì. Di solito avrebbe dato un occhio della testa per prendere parte al blitz, ma non quella volta. Quella volta preferiva restare vicina alla sala operatoria. E, in ogni caso, un’orribile stanchezza apatica si stava insinuando nelle ossa. Quel giorno lei e Joseph erano stati a un soffio dalla morte, e ne avvertiva i postumi.
«Penso che andrò a passare un po’ di tempo con mia figlia. Potresti restare da queste parti, in caso ci fossero novità sul sergente?»
«Certo. E verrò a cercarla se dovessi sentire qualcosa, sia sul conto di Joseph sia dalla centrale».
Mentre Nikki percorreva i lunghi corridoi che portavano all’Unità Stati Vegetativi, vide gli occhi crudeli di Frankie Doyle in ciascuna persona che incrociava. Non c’era dubbio, ormai, che avesse avuto tutta l’intenzione di uccidere Hannah. Considerando come erano andate le cose, averla condannata a un’eterna morte in vita doveva essere stato ancora più deliziosamente soddisfacente per il suo ego perverso. Nikki trattenne le lacrime. Purtroppo, la stronza aveva avuto ragione. Forse sarebbe stato più semplice morire al mercato del bestiame che continuare a vivere il genere di vita che stava facendo. Se Hannah fosse morta, l’avrebbe sepolta, poi pianta, e infine, come dovevano fare tutti, sarebbe andata avanti con la sua vita. Ma la notte in cui aveva drogato il drink di Hannah, Frankie Doyle aveva condannato entrambe al limbo.
Davanti alla porta della stanza di Hannah, si fermò. Dalla finestra poteva vedere che un’infermiera stava lavando con accuratezza il volto di sua figlia. Hannah sembrava sveglia, aveva gli occhi aperti, ma non interagiva minimamente con la donna che si prendeva cura di lei. Non lo faceva mai.
Nikki soffocò il singhiozzo che le stava crescendo nella gola. Come poteva entrare in quella stanza e sedersi accanto a sua figlia? Come poteva parlarle di frivolezze, sapendo che la donna che l’aveva costretta in quel letto era ancora viva e vegeta, e che aveva appena accoltellato a sangue freddo il suo collega?
Rimase sulla porta, a guardare dentro per un momento, poi si voltò e ripercorse lentamente il corridoio a ritroso. Non poteva affrontarla. Non quel giorno.
Mentre camminava, decise che Joseph aveva ragione. Tutto ciò che riguardava l’arresto di Frankie Doyle avrebbe dovuto svolgersi secondo le regole. Non avrebbe dovuto trovare nessuna scappatoia legale attraverso cui insinuarsi. Ma ce l’avrebbe fatta? Il castigo assegnato dai giudici non sempre rifletteva la gravità del crimine, e Nikki non era sicura di voler lasciare quel giudizio al caso.
Frankie Doyle avrebbe pagato, in un modo o nell’altro.