Capitolo ventitré

Nikki prese l’informazione fornita da Joseph e andò direttamente al Dipartimento di Investigazione Criminale. Nel giro di pochi minuti gli agenti in servizio avevano identificato l’abitazione corretta.

Era ora di farci un salto.

«Questa è la descrizione del suo obiettivo, sergente. Non sappiamo come si chiama, abbiamo solo il soprannome Fluke. Sappiamo che la casa è in affitto, ma l’agenzia è chiusa e non riusciamo a localizzare nessuno che ci dia il nome del proprietario».

Il sergente in divisa annuì. «La squadra armata dovrebbe raggiungerci tra pochi minuti, poi entreremo. Ho detto di non prendere l’elicottero, penso che avremo abbastanza uomini da coprire fronte e retro, non crede, signora?»

«Sì. I pezzi grossi mi darebbero in pasto agli squali, se l’informazione fosse sbagliata e io avessi sprecato i soldi con l’elicottero, oltre che con gli uomini armati. Ci affideremo alle sue truppe di terra, sergente».

«Molto bene, signora. Lei verrà con noi?»

«Provate a fermarmi! È fin troppo tempo che aspetto di vedere questo criminale inafferrabile per potermelo perdere!».

Fu necessario un solo colpo del pesante ariete di metallo per fare a pezzi la porta d’ingresso del numero 9 di Carson Villas.

«Salotto: libero, signore!».

«Cucina: libera!».

Gli uomini fecero irruzione nella proprietà controllando una stanza dopo l’altra e, a ogni nuovo urlo di «libera!», le sue speranze di trovare Fluke si facevano sempre più esigue.

«Signore! Camera sul retro! Abbiamo un maschio bianco privo di sensi!».

Nikki fece le scale due gradini alla volta.

Nella stanzetta, raggomitolato a terra sul fianco, c’era un giovane bruno. Aveva del sangue secco incrostato tra i capelli e intorno all’orecchio che aveva inzuppato il materiale morbido della sua giacca col cappuccio.

Lei si lasciò cadere accanto a lui e gli tastò il collo con le dita. «Chiamate un’ambulanza! Svelti! C’è un battito debole, ma ha bisogno di aiuto, e in fretta!».

Da quel che aveva visto sul computer della polizia, l’adolescente che stava stillando la sua linfa vitale sulla moquette di nylon scadente era Marcus Lee.

«Resisti, Marcus. I soccorsi stanno arrivando. Riesci a sentirmi?». Non ottenne risposta e, sebbene fosse quasi sicura che non sarebbero arrivati in tempo, Nikki continuò a parlargli.

Voci e grida continuarono a risuonare per la casa ma, dopo aver controllato il solaio e la cantina, il posto fu dichiarato sicuro. Nikki rimase comunque seduta sulla moquette consumata con la mano sulla spalla del ragazzo, e maledisse il giorno in cui aveva sentito il nome di Fluke. L’incursione poteva essere stata un successo per quanto riguardava la localizzazione di Marcus Lee, ma avevano perso il loro obiettivo principale.

Si guardò intorno nella stanza sudicia. Be’, quantomeno, se Marcus era stato portato lì doveva esserci entrato anche Fluke, e la scientifica avrebbe avuto buone possibilità di trovare del DNA, una volta scartate le venti paia di stivali da poliziotto che avevano camminato dappertutto.

«I paramedici, signora». Un agente guardò la figura immobile di Marcus dietro di lei. «Arrivano troppo tardi?».

Lei scrollò le spalle. «Non sono un’esperta, ma spero che dal pronto soccorso abbiano mandato la loro squadra migliore, perché questo ragazzino ne avrà bisogno».

Mezz’ora dopo l’ambulanza ripartì. Non c’erano sirene accese né luci blu. I paramedici avevano fatto il possibile per stabilizzarlo, ma Marcus Lee aveva subìto un trauma cranico terribile da cui era impossibile riprendersi.

Nikki chiuse la casa, vide che era stata cordonata e si accordò con il sergente per organizzare un turno di sorveglianza.

«Non deve entrare o uscire nessuno. Ho già mandato a chiamare gli analisti della scena del crimine, e finché non avranno finito, questo posto è off-limits per chiunque».

Uscì di nuovo nella notte, e tornò alla sua auto. Era stanca, anzi esausta, e per un momento si chiese come facesse Joseph a reggere. Lei aveva bisogno di stendersi, anche solo qualche ora. Accese il motore e guardò l’orologio. Le cazzo di due del mattino!

Con un lungo sbadiglio rumoroso, uscì da Carson Villas e si diresse verso la centrale. Avrebbe scritto un rapporto veloce per il commissario, poi gli avrebbe telefonato al mattino presto. Aveva chiesto di essere tenuto al corrente ma, dato che non c’era nulla che lui, o chiunque altro, potesse ormai fare per Marcus Lee, gli avrebbe concesso qualche altra ora di sonno prezioso.

Parcheggiò male, imprecò, poi chiuse comunque a chiave l’auto. Ancora qualche altro minuto di lavoro e poi avrebbe potuto andare a casa. Il giovane Mickey era al sicuro con la sua personale e professionalissima guardia del corpo, e i suoi livelli di energia avevano appena toccato il fondo. Non desiderava altro che dormire. Joseph Easter poteva anche essere un super poliziotto, ma lei era soltanto umana.

Nikki riaprì gli occhi alle cinque, con la sveglia che le suonava vicino all’orecchio a volume sempre più alto. Per la prima volta da anni, aveva dormito profondamente e senza sogni.

Spense la sveglia, e barcollò incerta fino in cucina. Due ore e mezza di sonno avrebbero dovuto rinvigorirla, ma si sentiva di merda. Riusciva a pensare soltanto che Kerry era scomparsa da ben tre giorni e quattro notti, e la cosa non era positiva.

Mentre preparava il caffè, ripercorse gli eventi del giorno prima, e si chiese brevemente quanto fossero vecchi i cereali. Cercò di concentrarsi, ma aveva la mente confusa e la testa le doleva come per i postumi di una terribile sbornia.

Dobbiamo essere svegli, si risentì dire, e quel mattino si sentiva tutto tranne che quello. Mangiò qualche cucchiaiata di cereali stantii, poi gettò il resto nell’immondizia. Sarebbe passata a prendere un danish mentre andava in centrale. O forse… Cosa aveva detto a Joseph durante il tragitto verso Barnby Eaudyke? Quando mi capitava un brutto turno, andavo alla marina, stavo un po’ da sola e mi schiarivo le idee. Mai come in quel momento ne aveva avuto bisogno. Fece una doccia e si vestì in fretta, poi chiuse a chiave la porta e si diresse verso la centrale, e la sua auto mal parcheggiata.

Venti minuti dopo, era sull’alta scarpata che guardava la distesa di paludi fino al Wash. Per una volta c’era poco vento, solo una lieve brezza tiepida, e a parte il richiamo di un’allodola sopra di lei, il silenzio era assoluto.

Seguendo il sentiero irregolare, scese per una stradina stretta fino a un punto in cui sapeva esserci una vecchia panca di legno. Si trattava di un posto poco conosciuto, usato di rado perfino dai birdwatcher, e trovandosi in un certo senso al di sotto della scarpata, era parzialmente nascosto da alcuni arbusti segnati dalle intemperie.

Nikki si sedette e lasciò spaziare lo sguardo sulla palude salmastra. Sembrava deserta, quasi una fotografia, finché non la studiavi con attenzione. A quel punto ti accorgevi che brulicava di vita. Un uccello acquatico immergeva il becco in una laguna di acqua stagnante e poco profonda. Una lepre si stiracchiava, annusava l’aria mattutina, poi balzava via in cerca della colazione. Un airone, grigio e preistorico, sbatteva le sue grandi ali e si alzava laboriosamente nell’aria, per ritrovarsi inseguito da un paio di corvi materializzatisi dal nulla. E tutt’intorno, il canto dell’allodola saliva e scendeva, come un inno all’alba.

Lei inspirò l’aria salina e chiuse gli occhi per un momento. Era così tranquillo, e sapeva che, quando li avrebbe riaperti, avrebbe visto solo natura intorno a sé. Nessuna divisa della polizia, nessun corpo in decomposizione, nessuna maschera e nessun adolescente morente.

Un abbaiare acuto la riscosse dalle sue fantasticherie e, quando aguzzò lo sguardo, vide la sagoma di un cagnolino, il naso a terra, che correva sicuro per i sentieri della palude. Avrà sentito l’odore di una lepre, pensò. Che è più di quanto sembriamo in grado di fare noi.

Nikki rimase lì per un altro quarto d’ora, poi, mentre tornava verso l’auto, si rese conto che la marina aveva compiuto il suo miracolo. Si sentiva più calma e molto più in controllo dei suoi pensieri. Prima di mettere in moto, tirò fuori il telefono e chiamò il commissario. Gli disse che sulla sua scrivania c’era un rapporto che doveva leggere prima di qualunque altra cosa. Non sarebbe scesa nei dettagli, per quello ci sarebbe stato tempo dopo la lettura.

Con un ultimo sguardo alla palude che si stendeva verso l’orizzonte grigio-argenteo, Nikki avviò l’auto e tornò ad affrontare la musica di un’altra giornata al commissariato di Greenborough.

 

Joseph la chiamò alle sette e mezza. Doveva passare in ospedale il più in fretta possibile. La scelta di parole – «Ci sono cose di cui preferirei non parlare al telefono» – la spinse a mandare giù il caffè e dirigersi verso la porta con un danish mezzo mangiato ancora stretto tra i denti.

Lui l’aspettava nel corridoio fuori dal reparto di Chirurgia. Aveva i capelli arruffati e scompigliati, ma gli occhi erano luminosi, e lei si chiese per l’ennesima volta come facesse a reggere quel ritmo.

«Ci sono due agenti in camera con lui, e non si muoveranno di lì fino al mio ritorno, signora. Le spiacerebbe se parlassimo nella mia auto?»

«Nessun problema». Nikki si voltò in direzione degli ascensori. «Come sta il ragazzo, questa mattina?»

«Penso che abbia afferrato la gravità di quanto è quasi successo, signora, e sta soffrendo molto, poverino». Le porte dell’ascensore si chiusero, e Joseph disse: «Tra brevi intervalli di sonno, ha parlato più o meno tutta la notte. Non direbbe mai quante cose sa su questa Guerra delle Maschere!».

L’ascensore si fermò con un lamento e le porte si aprirono. Loro uscirono in fretta dall’ospedale e raggiunsero il punto in cui era parcheggiata l’auto di Joseph.

Quando le portiere furono chiuse, Joseph si accasciò sul sedile ed espirò rumorosamente.

«Deve riposarsi un po’, sergente». Lei lo guardò con severità. «Ma ho la sensazione che, se anche piazzassi una squadra di Forze Aeree Speciali in camera con Mickey, lei non sarebbe comunque soddisfatto».

«Sono felice di essere rimasto». Lui le sorrise. «E lo sarà anche lei, signora. Ma prima, lasci che le dica cosa ha detto il dottore. Il dottor Langley è un tipo sveglio, non metterà a repentaglio la salute del suo paziente, ma capisce bene il pericolo in cui si trova, perciò…». Si stiracchiò, poi proseguì: «Langley fa parte del consiglio di un piccolo ospedale privato qui a Greenborough. È a meno di un chilometro dal commissariato, quindi non potrebbe essere più comodo. È pronto a “lasciar trapelare” la notizia che la giovane vittima sconosciuta sarà trasferita in un ospedale cittadino, dove hanno strutture migliori. In giornata porteranno davvero alcuni pazienti sia a Nottingham sia a Leicester, quindi le ambulanze partiranno sul serio per dei giri di trasferimento».

«Mentre il nostro ragazzo verrà spostato di nascosto nella sua struttura privata?»

«Esatto. Verrà ricoverato sotto pseudonimo, in una stanza privata progettata con cura». Joseph sorrise. «Langley è abituato ai ricchi che devono mantenere la privacy, sa, celebrità, politici eccetera».

«È perfetto!». La sua esultanza si raffreddò di colpo. «Ma c’è una cosa che devo dirle prima di proseguire. L’amico di Mickey, Marcus? È morto. E non penso che lui dovrebbe saperlo, non crede?»

«Dannazione! No, decisamente». Il volto di Joseph si
riempì di rughe di preoccupazione. «C’è un limite a quel che un ragazzino può sopportare senza riportare danni permanenti».

Nikki spiegò in fretta cosa era accaduto la notte precedente a Carson Villas.

Quando gli disse della morte di Marcus, l’espressione di Joseph si addolcì. «Dev’essere stata dura per lei, signora. Tutto considerato».

«Molto più dura per Marcus e la sua famiglia, sergente». Lei gli lanciò un debole sorriso. «E me la sono cavata, grazie. Era diversa la situazione, diverso tutto. È stato solo l’ennesimo aspetto raccapricciante del lavoro di polizia, e uno che so gestire». Si voltò verso di lui. «Ora, cosa sa questo ragazzo che noi non sappiamo?»

«Caspita, da dove inizio?». Lui si scostò dagli occhi la frangia di capelli biondo scuro. «La cosa più importante è che sa tutto delle maschere, be’, ne sa molto. Erano Marcus e Mickey a distribuire quella roba maledetta! E Mickey, che è leggermente iperattivo, non si è limitato a seguire gli ordini e sbrigare il lavoro, ha ficcanasato in giro, nel tentativo di scoprire cosa stava succedendo».

Nikki si sfregò gli occhi e si massaggiò il setto nasale. «Ora capisco perché è così paranoico, sergente. Tenerlo al sicuro è fondamentale». Sollevò lo sguardo. «Ma registrare tutto ciò che le ha detto è quasi altrettanto essenziale».

Joseph affondò una mano nella tasca interna della giacca e le porse un fascio di fogli piegati. «Mentre dormiva ho appuntato tutto, signora. È una lettura interessante. E ho anche scritto l’indirizzo e il numero di telefono della clinica del dottor Langley».

«Eccellente. Ora, devo solo decidere cosa fare con i suoi amorevoli genitori».

Joseph storse la bocca. «L’amorevole madre se n’è andata di casa due notti fa, per sempre. Nessun nuovo recapito. Il devoto padre ha dato di matto, sfasciato la casa, poi si è sbronzato per l’ennesima volta. Mickey non ha idea, né gli importa, di dove sia».

Nikki scosse la testa. «Archie l’aveva detto, che non è il ragazzino più fortunato del quartiere. Ma questo ci facilita le cose, almeno temporaneamente. Bisognerà rintracciarli, sebbene al momento siano l’ultimo dei miei problemi».

«E io farò meglio a rientrare».

«Lei ha bisogno di una pausa, sergente».

«Una volta che l’avremo messo al sicuro, signora. Può permettermi di restare fino ad allora?». La guardò con quegli occhi scuri insopportabilmente sinceri, poi aggiunse: «Tanto non riuscirei comunque a riposare, no?»

«D’accordo, faccia come vuole, ma nell’istante in cui Mickey si è sistemato, vada a casa, capito?»

«Perfettamente, signora». Joseph aprì la portiera e uscì. «E grazie. Lo apprezzo».

Nikki fu raggiunta al Dipartimento di Investigazione Criminale da Cat, che era in anticipo di un’ora, avvenimento degno di nota.

«C’è una cosa che mi disturba, capo». La ragazza si passò una mano tra i capelli a spazzola e la fissò seria. «Voglio il permesso di tornare a casa di Terry James, il web designer, con un mandato di perquisizione».

«Cosa hai trovato sul suo computer, Cat?»

«È quello che non ho trovato, capo. C’è qualcosa che non quadra e ho la sensazione che non tutto sia come sembra, a Rydell Street».

Nikki la guardò con attenzione. Non era da Cat esporsi tanto per una semplice sensazione, quindi il suo istinto doveva essere molto forte. «Hai prove sufficienti per convincere un giudice a firmare un mandato?»

«Credo che in quell’appartamento ci sia un terzo computer, signora. Sappiamo che uno di quelli che abbiamo visto è stato hackerato, e abbiamo dato per scontato che fosse opera di un esterno. Ora, penso che sia un doppio bluff. Ritengo che abbiano fatto tutto da soli». Si strinse nelle spalle. «Non so come metterla per il magistrato, ma la sezione informatica è d’accordo con me. La parte di web designer è ben recitata, ma sospettiamo sia una copertura per qualcosa di più oscuro di qualche bel mazzo di fiori e tortiere».

«Allora farò tutto quello che posso per organizzare la cosa. E quando andrai, porta con te Dave e un paio di agenti, sempre che non pensi che sia ancora più serio».

«No, dovrebbe andar bene, signora». Cat si voltò di nuovo verso il computer, poi si fermò e sollevò lo sguardo. «Oh, Dave mi ha chiesto di dirle che è giù nella sala di controllo, signora, a cercare di ricostruire gli ultimi movimenti di Lisa Jane Leonard con l’aiuto del filmato delle telecamere a circuito chiuso».

«Giusto. Qualche novità sui fabbricatori di maschere?»

«Ho mandato una squadra a controllare un posto in una piccola zona industriale alla periferia della città, signora. Ho trovato un fornitore che ha consegnato lì da poco della merce, ma dice che hanno fatto fagotto e gli devono una piccola fortuna». Cat fece una smorfia. «Il che coincide con la mia pista scomparsa».

«Bene, continua così. Io vado a occuparmi di questo mandato».

Nikki scese alla reception, si fece dare un modulo, lo compilò e firmò, poi autorizzò un’agente ad andare a disturbare la colazione di uno dei magistrati locali.

Il cellulare le squillò proprio mentre l’agente stava uscendo dalla centrale.

«Sono Archie. Possiamo vederci, Nikki?»

«Cavolo, sono indaffarata! Dove sei?»

«Arrivo in auto al parcheggio vicino al fiume, mi servono solo cinque minuti».

«Dammene dieci e sarò lì». Nikki chiuse la chiamata e, lasciando un messaggio sulla scrivania per informare che sarebbe stata fuori per una mezz’ora, uscì in fretta dall’edificio.

«I miei ragazzi, insieme ad alcune delle sue amiche, hanno ricostruito i primi quindici minuti dei movimenti di Lisa Jane da quando è uscita di casa la sera in cui è morta. Poi l’abbiamo persa. Se ti do le ore e i luoghi specifici, le tue telecamere a circuito chiuso sarebbero in grado di proseguire da lì?»

«Possiamo sicuramente provare, Archie, anche se l’apparecchiatura di Greenborough non è di certo all’ultimo grido. In realtà Dave ci sta lavorando proprio adesso, sono certa che sarà felice di avere dei punti di riferimento su cui basarsi».

Si segnò tutto quello che le diceva, poi chiuse il blocco degli appunti. «Marcus Lee è morto, Archie. Questo Fluke è il primo sospettato per il suo omicidio, anche se non abbiamo prove». Fece una pausa, poi aggiunse: «Per ora».

«Ah, di nuovo il misterioso Fluke. Volevo parlarti di lui, Nikki». Archie si appoggiò al cofano della sua vecchia Mercedes e guardò il fiume. «Potrei sbagliarmi, ma da quando la mia famiglia ha iniziato a prestare particolare attenzione a questo delinquente, ci siamo imbattuti in descrizioni molto contrastanti e, dato che i miei ragazzi hanno usato dei metodi abbastanza, eh, come dire, be’, incisivi, non credo che nessuno dei nostri informatori stia mentendo».

«Noi abbiamo ottenuto esattamente lo stesso risultato». Nikki socchiuse gli occhi. «Quindi questo cosa ti dice?»

«Che c’è più di un solo Fluke». Lui alzò le mani, i palmi rivolti verso l’alto. «Cos’altro può significare?»

«A meno che sia un mago dei travestimenti, sono assolutamente d’accordo. Anche se», fu il suo turno di fissare pensierosa il fiume, «non ho la minima idea di quale gioco stiano facendo quei bastardi».

Per un po’ nessuno dei due aggiunse altro, poi Nikki disse: «Uno dei miei agenti ha detto che ieri notte nel quartiere tirava una brutta aria».

«Mmm, e immagino che noi non siamo stati di grande aiuto». Archie le rivolse uno sguardo leggermente mortificato. «Ci siamo offerti di darvi una mano, e apprezziamo che facciate lo stesso, ma ciò non significa che la famiglia non sia in subbuglio. Alcuni dei più giovani, i coetanei di Lisa Jane, vogliono sangue».

«Non mi sorprende, Archie, ma per l’amor del cielo, tienili a bada! Non devo dirti a cosa porterebbero altri scoppi di violenza nel Carborough». Nikki camminò avanti e indietro con rabbia. «Tra questo maledetto Fluke, la gang mascherata, l’accoltellamento, le aggressioni e la morte di Marcus Lee, a cui bisogna aggiungere la vostra tragedia e la studentessa scomparsa! Cazzo, non sappiamo più dove sbattere la testa!».

«Mi spiace, Nikki, e farò il possibile con le nuove leve, lo prometto. Continueremo a cercare Fluke, se ci aiuterete con il filmato delle telecamere a circuito chiuso».

«Sì, lo farò, non temere». Lei fece per allontanarsi, poi disse: «E Frankie Doyle? Qualche novità su di lei?».

Archie Leonard scosse la testa. «Per il momento non l’abbiamo localizzata, ma è stata vista negli ultimi giorni, e ho sentito che il suo nome è stato collegato vagamente a quello di Fluke».

«Che aspetto ha adesso, Archie?», chiese Nikki, pensando alla vecchia foto sulla lavagna del Dipartimento.

«Impertinente come sempre. Capelli corti, chiari e con un taglio da ragazzino, e magra come un chiodo, non saprei dire altro». La guardò con un’espressione raggelante. «Ma, credimi, Nikki, nell’istante in cui tirerà testa fuori dal guscio, sarai la prima a saperlo».

Le confessioni notturne di Mickey costituivano di certo una lettura interessante, ma a quanto Nikki poteva vedere, il ragazzino non aveva fatto nulla di così grave da meritarsi un tentato omicidio. Le rilesse ancora una volta. Mickey aveva rubato una maschera da una partita, l’aveva indossata per fare colpo sul cugino, Liam, poi ne aveva sottratte altre sei dalla consegna successiva e gliele aveva vendute. Il tanto che bastava per farsi rimuovere dalla squadra, forse anche per meritarsi una bella legnata, ma spogliarlo e massacrarlo quasi di botte? Non aveva senso.

Nikki posò i fogli scritti a mano sulla scrivania e rimase a fissarli. Il ragazzino aveva fornito loro i punti esatti in cui avevano preso le maschere e un elenco stringato dei luoghi in cui avevano dovuto distribuirle. In più, aveva seguito Marcus di nascosto, ascoltato conversazioni private ed era anche riuscito a pedinare Fluke fino alla sua casa in affitto, il che era più di quanto fossero riuscite a fare la polizia e la famiglia Leonard messe insieme. Quindi, che altro sapeva? Un ragazzino sveglio come lui poteva benissimo aver sentito parlare di Frankie Doyle, e se era in grado di procurarsi l’indirizzo di una canaglia, forse poteva ottenere anche quello di un’altra?

«Signora?». L’agente che aveva spedito a ottenere il mandato fece capolino dalla porta. «Ecco qui. Il magistrato voleva sapere i particolari di ogni singolo pelo nell’uovo, ma l’ha firmato».

«Bene, lascialo sulla scrivania». Nikki riprese gli appunti di Joseph, poi sollevò lo sguardo mentre la donna tornava verso la porta. «Oh, mentre esci potresti chiedere all’agente Cullen di venire nel mio ufficio?». Fece una pausa, poi aggiunse: «E grazie, buon lavoro».

L’agente le lanciò un’occhiata, con le sopracciglia leggermente inarcate, poi sorrise. «Nessun problema, signora».

Cat arrivò quasi di corsa. «Ce l’ha, signora?»

«Tutto tuo». Nikki le porse il documento. «E anche se mi piacerebbe molto accompagnarti, questa mattina ho già fin troppe cose da fare».

«Non si preoccupi, capo, farò rapporto appena avremo finito».

«Sei parecchio sicura che troverete qualcosa, vero?».

Cat annuì. «Oh, sì, più penso a quell’atteggiamento schifosamente irreprensibile, della serie “non abbiamo segreti”, e a quella casa scrupolosamente pulita e ordinata, più mi convinco che ci stiano nascondendo qualcosa».

«La gente ha il diritto di essere schizzinosa, Cat. E lo sai che non possiamo arrestarli solo perché hanno esagerato con la vernice color magnolia, vero?»

«Mmm, peccato. Ma sono strasicura che a Rydell Street ci sia un altro tipo di sporcizia». Sogghignò maliziosa. «E non vedo l’ora di tirarla fuori».

«Vedi solo di fare attenzione», le disse Nikki mentre stava uscendo. «A quanto pare, sappiamo pochissimo su tutto».

«Certo, signora». Il sorriso di Cat si trasformò in un’espressione più seria. «Queste maschere iniziano a mandare in paranoia anche me. Ieri sera, quando stavo tornando a casa, un gruppo di delinquentelli vestiti con quelle cose maledette mi è balzato davanti all’auto. Mi sono quasi schiantata, dannazione!».

«Il giorno in cui riusciremo a togliere quella roba dalle strade, offrirò da bere all’intera stazione di polizia».

«Possiamo averlo per iscritto, capo?»

«Levati dai piedi, e stai attenta».