Capitolo cinque
Il sergente Joseph Easter era in piedi accanto all’auto parcheggiata e guardava la stazione di polizia dall’altra parte della strada. La differenza rispetto al suo vecchio ambiente era paragonabile più o meno a quella tra una Morris Minor e una Ferrari Enzo.
Il commissariato di Fenchester era un pezzo di storia degli anni Venti, mentre quel palazzo scintillante di acciaio e vetro fumé era ultra modernista, e terribilmente brutto, per di più. Lui sogghignò tra sé. Gli andava benissimo. Aveva bisogno che fosse tutto completamente diverso. E più diverso di così era impossibile.
Era in anticipo, ma del resto lo era sempre. E forse non era una brutta cosa. Prime impressioni e tutto quanto. Ma doveva proprio avere l’ansia, all’età di trentotto anni? Rifletté sulla propria domanda, poi decise che, nelle attuali circostanze, l’avrebbe avuta chiunque. Si morse il labbro. Un mese lì. Era quello l’accordo. Sperava solo di aver preso la decisione giusta. Respirò a fondo e si raddrizzò la cravatta. Un’ultima cosa da fare prima di entrare. Tolse il cellulare dalla tasca, lo aprì e premette un numero di selezione rapida.
«Ciao, tesoro, sono papà. Non ho idea di che ore siano da te, ma volevo dirti che lavorerò fuori da Greenborough per qualche settimana. Con un nuovo capo, una donna con una bella reputazione, ma speriamo di andare d’accordo. Ehm, questo è tutto, credo. Spero che tu stia bene, e ho sempre lo stesso numero se hai bisogno di me. Ti voglio bene. Sempre te ne ho voluto e sempre te ne vorrò».
Chiuse il telefono e serrò gli occhi per un attimo. Un volto si delineò sullo sfondo delle sue palpebre. Lunghi capelli castano chiaro ed enormi occhi nocciola. Fossette irregolari e denti bianchissimi. Sì, ti voglio bene. Ma, purtroppo, temo di avere esaurito le scuse per rimandare l’ingresso in quella scatoletta di metallo artisticheggiante e presentarmi. Prima di riaprire gli occhi, borbottò tra sé qualche parola sommessa, poi attraversò a grandi passi il cortile lastricato fino a raggiungere la porta principale.
Joseph entrò, si guardò intorno e fu costretto a sorridere. Poteva essere un edificio moderno e ultra tecnologico, ma i suoi frequentatori erano esattamente gli stessi di Fenchester. Non fosse che sembravano ancora più lerci e puzzolenti, stagliati contro gli scintillanti vetri di sicurezza e le pareti pulite e dipinte in acrilico. Nel suo vecchio commissariato, si confondevano un po’ con i pavimenti consumati e sbiaditi, l’arredamento di legno scheggiato e i soffitti alti, macchiati di scuro.
A passo spedito, si avvicinò alla reception. «Il sergente Easter per il commissario Bainbridge, per favore».
Non gli sfuggì l’ombra di divertimento che attraversò il volto della donna.
«Se aspetta solo un momento, signore, la accompagno su io». Si girò e chiamò a gran voce qualcuno che venisse a sostituirla. All’istante, Joseph vide un mare di volti curiosi che guardavano nella sua direzione.
Mentre attraversavano l’atrio diretti verso gli ascensori, lei disse: «Il commissario sarà molto felice di vederla, signore».
«Perché? Sta succedendo qualcosa?».
La donna sollevò un sopracciglio. «No, no. È solo che il CID non è al massimo delle forze, al momento. L’ultima sergente dell’ispettore Galena si è trasferita nella West Country, sa».
Gli lanciò un’occhiata furtiva mentre entravano in ascensore, e Joseph trattenne un sorriso.
«Sì, ho sentito. Una zona incantevole».
«Mmm, incantevole». La donna gli rivolse uno sguardo esageratamente innocente, e disse: «Lavorerà con l’ispettore Galena, vero?».
L’ascensore gemette e si fermò quasi senza scossoni, il che rappresentava un piacevolissimo cambiamento rispetto a piani di scale di pietra con sgangherati corrimano di ottone. Lui le lanciò uno dei suoi sorrisi più luminosi e pensò: Sai perfettamente chi sono, amica mia, ma se vuoi giocare, a me sta benissimo. «Oh, sì. E non vedo davvero l’ora».
Le sopracciglia s’inarcarono di nuovo. «La seconda porta che trova, signore. E buona fortuna».
Le porte dell’ascensore si richiusero silenziose, ma a Joseph parve di sentire un risolino delicato provenire dall’interno. Si fermò e si chiese se Daniel sarebbe stato forse un nome più appropriato, per lui, perché quella sembrava proprio l’entrata della tana del leone.
Strinse i denti, fece un respiro profondo e bussò alla porta.
Mentre Joseph aspettava esitando fuori dall’ufficio del commissario, un treno di pendolari lasciava la stazione di Greenborough. Nessuno dei passeggeri si accorse dei due giovani dal volto accigliato seduti su una panchina coperta di graffiti. Intanto che il treno si allontanava lentamente, i ragazzi si scambiarono uno sguardo, poi lasciarono la panca, scesero in silenzio la ripida scarpata in fondo alla banchina e scomparvero in una zona sterposa piena di erbacce e cemento crepato.
«Lo vedi?», bisbigliò senza indugio uno dei due.
«Dammi il tempo!».
Acquattandosi a terra, anche se c’erano poche possibilità di essere notati in quel luogo desolato, frugarono tra arbusti rachitici e piegati dal vento e cumuli sparsi di rifiuti edili.
«Trovato!». Il più alto dei due imprecò e si fece strada tentoni in un groviglio di rovi e ortiche finché non riuscì a vedere il sacco. Era un sacchetto di nylon arancione, di quelli che contenevano cipolle o altri ortaggi a radice. Qualcosa che si vedeva spesso accanto alle distese di campi coltivabili, o nella spazzatura che si accumulava lungo i binari del treno.
Il ragazzo lo trascinò fuori e tirò i lacci di chiusura per aprirlo. «Grande!».
«Quante sono?». Il più piccolo si accovacciò al suo fianco e guardò dentro.
«Venti o anche di più».
«Evvai!», esultò lui. «Ehi, Marcus? E se cercassimo di ricavare qualcosa da questa partita? Anche solo cinque sterline a testa? Che ne pensi?»
«Penso che hai la merda al posto del cervello, stronzo! Sai come stanno le cose. Questa roba va e viene. Non c’è mai nessuno scambio di soldi, d’accordo? Gli unici a guadagnarci qualcosa siamo io e te, e questo perché ci assicuriamo di fare le cose per bene, vedi di non scordarlo!».
«Be’, è comunque un rischio, no?». Il più giovane sembrava seccato. «Se ci beccano…».
«Non fare lo stronzo, Mickey! Non ci beccherà nessuno, e anche in quel caso, cos’abbiamo fatto esattamente?». Scrollò le spalle. «Abbiamo trovato un sacchetto e ci abbiamo guardato dentro. L’ultima volta che ho controllato, non c’erano leggi che lo vietavano. Quindi», gli lanciò uno sguardo torvo, «adesso portiamo questa roba nel luogo prestabilito e poi ce ne dimentichiamo del tutto, finché non ci richiamano, d’accordo?». Prese dal sacchetto una semplice busta sigillata, l’aprì e porse all’amico un paio di banconote. «Non diventare avido, Mickey, ci pagano benissimo per quello che dobbiamo fare, e lo sai».
Il ragazzino prese i soldi e li contò. «Sarà. È solo che mio nonno mi diceva di non lasciarmi mai sfuggire l’occasione di fare un po’ di soldi in fretta, ecco tutto».
«Sarebbero soldi mortali, amico. Gli ultimi che faresti in vita tua. Mi hanno detto cosa succederà se facciamo cazzate, e non è bello, credimi».
Il volto già terreo di Mickey sbiancò ancora. «Quindi, cos’è questa storia? Perché tutta questa roba segretissima?».
Il maggiore gli afferrò una spalla, conficcandogli le dita a fondo nella carne. «Senti, li vuoi quei soldi? O mi trovo qualcun altro che mi aiuti? Qualcuno capace di tenere il becco chiuso per più di venti cazzo di secondi per volta, e che non va avanti a fare domande stupide!».
«Okay! Okay! Sta’ buono! Scusa, d’accordo? Lasciami andare, e iniziamo a fare le consegne».
Senza dire altro, i due presero il loro prezioso sacchetto e si diressero verso un muro cadente alla fine del cortile, lo scavalcarono e scomparvero nel boschetto che si estendeva dall’altra parte.
Nikki andò decisa verso la reception. La nuova recluta sarebbe arrivata a breve e, dato che lei non poteva fare nulla per alterare quel fatto, sarebbe entrata per prima e gli avrebbe lasciato detto di fare rapporto direttamente al suo ufficio.
«Quando arriverà il sergente Easter, per favore ditegli…».
«Oh, è già qui, signora». L’agente si finse sorpreso che lei non fosse a conoscenza di quel fatto. «È arrivato più di mezz’ora fa. È con il commissario».
Nikki trattenne una replica, si liquidò con un «grazie» borbottato e girò sui tacchi. Avrebbe dovuto aspettarselo che il signor Efficienza sarebbe arrivato in anticipo.
Per un attimo si sentì molto stanca. Molto stanca di quello che era diventata. Non era partita con l’obiettivo di trasformarsi nella megera numero uno della polizia delle Fens, ma era successo nel corso degli anni. Quando le persone con cui lavoravi non erano determinate quanto te, era inevitabile finire per disprezzarsi a vicenda. E adesso il commissario se ne stava di certo seduto nel suo ufficio, a sorseggiare tè e preparare il nuovo venuto a ciò che doveva aspettarsi lavorando con la vecchia Nick.
Aprì la porta del Dipartimento di Investigazione Criminale, poi si bloccò bruscamente nel vedere il commissario Bainbridge che parlava con un uomo alto, biondo e con i capelli che gli ricadevano sulla fronte.
«Ah, Nikki! Eccellente! Eccellente!».
La finta affabilità che l’omone trasudava era quasi nauseante, e Nikki fu costretta a ricordare che quella era la sua ultima opportunità agli occhi dei pezzi grossi.
«Vorrei presentarti il tuo nuovo collega». Il commissario si voltò verso l’uomo e disse: «Sergente Joseph Easter, lei è l’ispettore Nikki Galena».
La mano era già tesa verso la collega. Quando gliela strinse, lei si sforzò di nascondere la sorpresa. La sua prima impressione di Joseph Easter era lontanissima da qualunque cosa si fosse aspettata. Aveva un volto quasi familiare, non perché l’avesse mai incontrato in precedenza, ma per via di una granulosa foto in bianco e nero che sua figlia aveva appeso in camera durante la sua fase “profondamente fraintesa e ingiustamente appesantita dai fardelli del mondo”. L’uomo somigliava in modo perturbante a Rupert Brooke. Più vecchio, certo, ma il fantasma del poeta morto gridava a gran voce dal fondo dei suoi occhi. Più sbalorditivo ancora della sua inaspettata bellezza era il fatto che, invece di essere devoto e panciuto, l’uomo era decisamente sexy.
«È un onore lavorare con lei, signora». Joseph la guardò dritto negli occhi e Nikki fece fatica a sostenere il suo sguardo. «Anche se è solo per un mese».
Per uno strano momento, lei gli credette sul serio. Perché non aveva l’impressione che la stesse sfottendo? Era così? Cristo, odiava quando le persone la confondevano. Doveva riprendere il controllo; in quel modo si sarebbe sentita più a suo agio. «Quattro settimane, in realtà, sergente. E, anche se odio rovinare la festa, penso che i convenevoli possano attendere. Dobbiamo indagare su una giovane donna scomparsa».
«E io ritengo che una veloce visita guidata della centrale dovrebbe avere la precedenza, Nikki. Dopotutto, Joseph è nuovo, qui». Il commissario le lanciò un’occhiata di avvertimento.
«No, no. Va bene così, signore». Joseph scosse la testa. «L’ispettore Galena ha ragione. Imparerò a orientarmi via via. Non è affatto un problema».
Il commissario fece un passo indietro e alzò le mani in segno di resa. «Allora lascio fare a voi. E tenetemi informato su tutto. Buona fortuna».
Nikki si chiese chi dei due ne avrebbe avuto bisogno.
«Prenda quella scrivania vuota vicino alla finestra, sergente. Il mio ufficio è da quella parte». Indicò il corridoio. «La macchinetta del caffè è sul pianerottolo vicino agli ascensori. Il bagno è in fondo al corridoio e la mensa nel seminterrato. Visita guidata conclusa. Ora, il caffè mi piace nero, forte e senza zucchero, si occupi di questo e poi mi raggiunga in ufficio tra due minuti».
Dopo essersi chiusa la porta alle spalle, vi si appoggiò contro un attimo ed espirò emettendo un lungo fischio. Joseph Easter non era assolutamente come aveva immaginato!
Due minuti dopo lui stava già bussando alla porta, poi posò un bicchiere di caffè sul sottobicchiere sopra la sua scrivania.
«Si sieda. Ci sono un paio di cose che dobbiamo mettere ben in chiaro prima di iniziare». Lei lo fissò senza battere ciglio con uno dei suoi sguardi migliori. «Non sono stata io a chiedere questa situazione. Mi piace lavorare da sola. Lavorare con me non è facile, in effetti, secondo quasi tutta questa cazzo di centrale è praticamente impossibile, e sono molto sospettosa delle ragioni che l’hanno portata qui».
Joseph ricambiò lo sguardo. «Mi sembra giusto. Ma sa che l’ispettore sotto cui lavoravo, Val Hughes, è stata costretta ad andare in pensione?»
«Sì. È rimasta ferita mentre lavorava agli omicidi di Castor Fen». Nikki si domandò dove stesse andando a parare.
«Avevamo un’ottima relazione professionale, signora. Ma temo di non essere entrato molto in sintonia con il suo sostituto». Scrollò le spalle. «Volevo un cambiamento, signora. Un taglio netto. Qualcosa di completamente diverso».
Nikki lo fissò. «Mi vede come una sfida, sergente?».
Lui non sembrò scomporsi affatto di fronte a quella domanda. «No, signora. Non è così. Ma so qualcosa del suo curriculum, come la sua medaglia al valore? Lei è determinata e appassionata, e i suoi metodi potranno non essere identici ai miei, ma vogliamo raggiungere lo stesso risultato. Vogliamo ripulire le strade dai cattivi, e sbatterli dentro per quanto più tempo possibile». Fece una pausa. «So che riceve molte critiche per come lavora. Be’, io le ricevo per come sono».
Nikki si sporse in avanti, i gomiti sulla scrivania e il mento appoggiato sulle mani. Non vide alcun raggiro in quegli occhi curiosamente scuri.
«Quindi, è pronto a lavorare per qualcuno che, allo scopo di prendere un criminale, rischia il proprio posto quasi ogni volta che esce dalla centrale?»
«In questo lavoro, tutti quanti dobbiamo correre dei rischi».
«E sarebbe pronto a spalleggiarla? Anche se mentisse, imbrogliasse e minacciasse allo scopo di ottenere un arresto?»
«Anche se non comprometterei mai le mie convinzioni etiche, sono certo che tutto dipenda dall’interpretazione che uno dà a ciascuna situazione specifica, non è vero, signora?». C’era un accenno di malizia nella sua voce. «Finché vedrò nelle sue azioni qualche tipo di giustizia, sosterrò fino in fondo la mia superiore».
«Ma la rispetterebbe?».
Joseph abbassò per un attimo lo sguardo. «Il rispetto può essere solo guadagnato».
«Mmm».
«Posso chiedere un favore?».
Se Nikki fosse stata qualunque altra donna della centrale, o forse perfino un paio degli uomini, si sarebbe sentita sciogliere. «Chieda pure».
«Se io mi impegno a non moraleggiare sulle sue azioni, o a non richiamare troppo spesso la sua attenzione sul regolamento, mi farebbe la cortesia di non tirare mai in ballo l’argomento religione?».
Nikki non lasciò trasparire nella voce il suo enorme sollievo e rispose: «Le conversazioni che faremo, sergente, saranno solo professionali. Non sono qui per fare amicizia o perdermi in chiacchiere, quindi stia tranquillo, per me sarà un piacere. Ora, possiamo iniziare a lavorare?».
Joseph annuì. «Sono qui per questo, signora».
Quindici minuti dopo, Joseph e il suo nuovo capo entrarono nel Dipartimento di Investigazione Criminale.
«Okay, ecco la squadra. Per così dire». L’ispettore Galena indicò gli altri due occupanti della stanza. «Purtroppo, scoprirà che le tocca lavorare con il gruppo più disfunzionale dell’intera polizia delle Fens. Lui è l’agente Dave Harris». Indicò un grosso uomo di mezza età, con i capelli radi e una camicia che sembrava non avere mai visto un ferro da stiro. Dave alzò una mano verso Joseph e annuì con vigore, come se fosse perfettamente d’accordo con la scelta dell’aggettivo “disfunzionale”.
«Ce l’hanno prestato gli agenti in divisa», proseguì l’ispettore. «Il commissario pensa che voglia lavorare con me perché è un fannullone e sa che può non fare un cazzo per la maggior parte del tempo, lasciando a me tutto il duro lavoro». Guardò Dave, che stava ancora annuendo, anche se con meno convinzione. «Forse è così, o forse io so la verità». Si voltò verso l’altra poliziotta. «E lei è l’agente Cat Cullen. Onestamente, anche lei è una specie di emarginata sociale. È qui solo perché non la voleva nessun altro. La sua totale mancanza di puntualità non è molto apprezzata dagli altri capisquadra».
La donna non disse nulla, ma lanciò a Joseph uno sguardo che pareva voler dire: “Povero scemo, in cosa ti sei cacciato?”.
«Ma», ammise l’ispettore, «se vuoi un genio per le operazioni sotto copertura è la donna che fa per te. Mandala in ricognizione e non la riconosceranno neanche i nostri ragazzi della sorveglianza. A essere sincera, credo che non ci riuscirebbe neanche sua madre».
«Ho talento, vero?», disse Cat con un sogghigno.
«Comunque, e odio doverlo dire, ottimo lavoro, mi hai proprio aiutato a inchiodare Darren Barton».
«Quello schifoso! Mi creda, capo, è stata una vera gioia».
Galena si girò di colpo e guardò Joseph. «E lui è il sergente Joseph Easter, qui per un mese, forse, in prestito da Fenchester. E con la sua reputazione, Joseph, dovrebbe trovarsi benissimo».
Lui sorrise. Dopotutto, l’avevano avvertito. E, per il momento, l’ispettore Nikki Galena stava confermando tutto ciò che si aspettava.
«D’accordo. Sedetevi e ascoltate. Due cose. Uno, stiamo ancora cercando di scoprire le origini di quelle maledette maschere. Dave, più tardi informerai il sergente al riguardo. E due, il commissario ci ha assegnato un’indagine da svolgere con discrezione». Si appollaiò sul bordo della scrivania e prese un sottile fascicolo. «Niente di ufficiale, si tratta più che altro di un favore tra vecchi amici, a meno che non scopriamo qualcosa di diverso». Mentre l’ispettore guardava la sua piccola squadra, Joseph notò un’espressione strana nei suoi occhi. Non era sicuro di cosa fosse, ma somigliava molto al dolore.
«Abbiamo una studentessa scomparsa. Ora, conosco tutte le ragioni per cui una ventunenne potrebbe saltare qualche lezione, ma il preside dell’università ritiene che, in questo caso, sia troppo atipico per essere ignorato. Non c’è dubbio che abbia avuto un incidente, o sia stata rapita da qualcuno». L’ispettore scorse il breve rapporto tenendo il segno con l’indice. «Dato che il preside sborsa regolarmente dei soldi per le nostre raccolte fondi, il commissario pensa che dovremmo dare un’occhiata. Quindi, suggerisco di procedere in questo modo. Prima di tutto, andrò a parlare con il preside. Sergente, lei verrà con me. Controlleremo l’alloggio della ragazza. A quanto ho capito vive nel campus. Se lo riterremo necessario, parleremo con i suoi amici, e a quel punto decideremo come muoverci. Nel frattempo», fulminò con lo sguardo Cat e Dave, «se riuscite a restare svegli abbastanza a lungo, continuate a darvi da fare con quelle dannate maschere!».