Capitolo dieci

Nikki prese rapidamente accordi con il preside, e si affrettò a tornare alla stazione di polizia. Una volta dentro, si fermò e fissò Joseph. Gli aveva dato due occasioni di parlarle, andando e tornando dal campus, ma lui aveva scelto di non dire niente.

«Vorrei scambiare due parole in privato, sergente», lo informò, poi salì le scale fino al suo ufficio.

«Chiuda la porta». Si lasciò cadere sulla sedia e ne indicò un’altra al lato opposto della scrivania. «C’è qualcosa di cui vorrebbe parlarmi?».

Joseph prese posto con calma, ma invece di guardare lei si fissò le mani. «Non abbiamo un sospettato da interrogare?»

«Sì, e lei sta sprecando tempo evitando di parlarmi. Non appena mi avrà detto che diavolo è successo, andremo a interrogare il signor Brown, d’accordo?». Nikki socchiuse gli occhi. «E finché non accadrà, resteremo seduti qui tutto il tempo necessario».

Il silenzio che seguì fu quasi tangibile, poi lei esaurì la pazienza. «Va bene, così è stato nell’esercito?».

Joseph alzò la testa, e lei non vide rabbia sul suo volto, soltanto tristezza.

«Quella era un’altra vita. Non sono più quell’uomo».

«Da quel che ho visto poco fa, penso che forse potrebbe ancora esserlo».

«No, non lo sono!», esclamò Joseph. Un’espressione di dolore intenso soffuse il suo volto. «Davvero. Non lo sono. Solo che a volte ti trovi in una situazione particolare, e le vecchie abitudini, l’indottrinamento, il riflesso, comunque le si voglia chiamare, prendono il sopravvento».

«E per fortuna, Joseph. Non avevo idea che quello stronzetto avesse un coltello. Avrebbe potuto uccidere uno dei due, o addirittura entrambi. E per questo la ringrazio».

Joseph scosse il capo quasi con violenza. «Se ne dimentichi. Non è mai accaduto». La guardò dritto in faccia. «E se vuole ringraziarmi, non si disturbi. Non ho nessunissima voglia di parlare del passato, e apprezzerei che la squadra e gli altri agenti non venissero mai a sapere della mia formazione. Sa che gli agenti di polizia che hanno fatto un percorso normale non apprezzano i soldati che diventano sbirri. In effetti, alcuni ci odiano. Quindi… Per favore?».

Nikki inclinò la testa di lato. Forse stava diventando ancora più acida e perversa, ma negli ultimi tempi si era scoperta a trarre una particolare soddisfazione dal vedere qualcuno che si contorceva per l’imbarazzo. Quello era diverso, però. Joseph Easter era diverso. E, stranamente, lei non provava alcun piacere, soltanto una triste sensazione di disagio. Per la mente le stavano passando un mucchio di domande, ma non era il momento adatto per farle. Non con una ragazza scomparsa.

Annuì e, con sua sorpresa, si trovò a rivolgergli il primo sorriso che ricordasse di avere concesso a qualcuno da moltissimo tempo. «Direi che abbiamo un sospettato da interrogare, no?».

Il resto della giornata passò in un lampo, e all’imbrunire tutti gli uomini e le donne disponibili erano ormai in giro a cercare Kerry Anderson. I mezzi di comunicazione locali erano stati contattati e il commissario aveva fatto un appello appassionato alla televisione nazionale.

Kris Brown non aveva detto più di quanto già sapessero, e la madre stravolta aveva fornito loro il ritratto di un ragazzo casalingo, sensibile, estremamente intelligente ma leggermente introverso. Qualcuno più paragonabile a san Francesco d’Assisi che a un uomo capace di rapire belle ragazze a sangue freddo.

Poi, alle undici e mezza, Nikki ricevette una telefonata da un abitante di Barnby Eaudyke. Una telefonata che significava che avrebbe dovuto rilasciarlo.

«C’era una volpe in giro, ispettore. È per quello che continuavo a uscire in giardino. Ho delle galline, capisce».

«Quindi, signora Roper, a che ora ha effettivamente visto il signor Brown?», chiese Nikki con qualcosa di simile all’esasperazione.

«Be’, a intervalli, dalle sette e mezza più o meno fino alle due, direi. L’ho visto quando controllavo le galline. Ha un “osservatorio”, ispettore. Un grosso capanno lussuoso con una finestra apribile, secondo me, ma in paese il nostro Kris è una specie di celebrità. È un astronomo, sa. Sa tutto di stelle e roba simile. A volte se ne sta lì fuori tutta la notte».

«Sì, e quindi…?». Nikki cercò di mantenere la calma.

«Be’, l’ho visto entrare e uscire, no? Spostare il telescopio. Oh, sì, e una volta, verso mezzanotte, il suo cane ha iniziato ad abbaiare. Avrà sentito l’odore della volpe, penso. Quindi deve essere stato lì tutta la sera, ispettore».

«E, per quanto ne sa lei, era solo, signora Roper?»

«Non posso giurarlo, ma non ho visto nessun altro».

Nikki ringraziò la donna per il suo aiuto, poi sbatté giù la cornetta e imprecò ad alta voce. «Cazzo! Dovremo rilasciarlo». Gonfiò le guance per l’esasperazione.

Joseph scrollò le spalle. «Per quel che vale, e so che è diverso da qualunque altro ventenne abbia mai incontrato, ma non credo davvero che sappia dov’è Kerry».

«Da quando è diventato il profiler della contea?», s’informò Nikki.

«So di non essere uno psicologo, ma il suo linguaggio corporeo non sembra dire esattamente: “Sono un bugiardo”, no?», ribatté Joseph.

Nikki si appoggiò allo schienale della sedia e si massaggiò le tempie. «Oh, Dio! Ho bisogno di dormire. Ma come faccio a lasciare la centrale con una ragazza scomparsa?»

«Dobbiamo farlo. Kerry, dovunque sia, ha bisogno che restiamo vigili al cento percento. E dato che la maggior parte della polizia delle Fens è lì fuori a cercarla, per noi al momento è rimasto poco da fare». Joseph sbadigliò e studiò un livido che gli si stava scurendo sul polso. «In più, dato che abbiamo appena passato una bella oretta a fare a botte con i delinquenti del Carborough, penso che potremo prenderci qualche ora di sonno senza troppe recriminazioni».

«Oh, merda! Il ragazzo accoltellato! Meglio che vada all’ospedale a vedere come sta». Nikki sentiva l’ombra di un’emicrania formarsi in fondo agli occhi.

«Ho chiamato mentre lei era al telefono, signora. È cosciente e stabile. Due agenti resteranno con lui finché non starà abbastanza bene da essere interrogato, perciò può rilassarsi».

«In ogni caso, quel ragazzino è stato accoltellato a causa di una di quelle dannate maschere. Devo togliere dalla strada quelle cose malefiche prima che accada qualcosa di ancora peggiore». Gli rivolse uno sguardo pieno di frustrazione. «La giornata non ha abbastanza ore, cazzo!».

«Io alloggio vicino all’ospedale, posso fare un salto, se serve. Un paio d’ore di riposo mi ricaricheranno». Si alzò in piedi. «Se a lei sta bene, signora».

Nikki annuì. «Le andrebbe? Quel ragazzino ferito potrebbe essere abbastanza spaventato da dirle qualcosa sulle maschere. Vale la pena di provare, e non ho dubbi che lei sarà decisamente più compassionevole di me nei suoi confronti».

«Nessun problema. A più tardi, capo». Joseph raggiunse la porta.

«Sergente?», lo richiamò lei. «Riguardo a poco fa. Non ne parlerò più, ma grazie. Continuo a pensare che le sue azioni potrebbero averci salvato la vita».

Joseph Easter non rispose subito, ma si fermò sulla soglia, poi le lanciò un piccolo sorriso. «Non c’è di che, signora».

Nikki rimase seduta per un po’. Il primo giorno con il suo nuovo sergente era stato abbastanza movimentato. E lui era di certo diverso da quello che le avevano fatto credere. Corrugò la fronte. Forse, per la propria incolumità, avrebbe dovuto preoccuparsi di scoprire qualche informazione in più sul suo conto. Una cosa era certa: era un uomo che aveva segreti profondi e oscuri.

Fece una breve risata che echeggiò nell’ufficio deserto. Se c’era una persona che ne sapeva qualcosa di segreti, era proprio lei.

Già, quando si trattava di parlare del passato, un applauso per Nikki Galena, la Regina delle Labbra Sigillate!

Sbadigliò. Ancora un’ultima cosa da fare, poi una doccia calda e qualche ora di sonno. Aprì il telefono. Forse era l’orrore di avere una giovane donna scomparsa sul suo territorio, forse la stanchezza, o forse il flashback continuo del suo nuovo sergente che immobilizzava un delinquente nel tempo in cui lei aveva sbattuto le palpebre, ma doveva vedere Hannah. Scorse la rubrica fino alla H e premette CHIAMA.

Certo, era tardi, ma aveva bisogno di parlare alla sua adorata figlia, e una visita rapida avrebbe fatto bene a entrambe.

Dopo aver scambiato qualche parola, Nikki prese il cappotto e uscì nella notte.

I corridoi erano quasi vuoti e fiocamente illuminati. Risparmio di energia, ipotizzò Joseph. In ogni caso, dava al vecchio ospedale labirintico un’atmosfera spettrale. I suoi passi risuonavano stranamente rumorosi mentre cercava di localizzare gli ascensori, e diverse volte si trovò a guardarsi alle spalle.

Il ragazzo ferito, Callum Lodge, aveva rischiato grosso ma era fuori pericolo. Purtroppo non era molto incline a parlare con la polizia, anche se gli avevano salvato la vita. Era spaventato e al tempo stesso aggressivo, ma Joseph era riuscito a strappargli qualche altra informazione sulle maschere. E poi Callum aveva fatto un nome. Be’, un soprannome da strada. Non era granché, ma poteva sempre servire. Sarebbe stata la prima cosa che avrebbe controllato la mattina seguente.

Joseph imprecò a bassa voce e decise che doveva aver preso la curva sbagliata. Se fosse stato all’ospedale di Fenchester, avrebbe trovato l’uscita a occhi bendati, ma quel posto era un dedalo di ambulatori e corridoi sconosciuti. Dopo un po’, fu costretto ad ammettere che la sua solitamente affidabile “bussola interna” l’aveva tradito. Si trovava in un lungo passaggio dritto che non ricordava affatto di aver percorso all’andata.

Lo seguì per qualche tempo, sperando di trovare un’indicazione per l’uscita, poi con sollievo notò due infermiere che si allontanavano in fretta da una stanza in fondo al corridoio di fronte a lui. Accelerò nella loro direzione ma, quando arrivò, erano scomparse.

Esaminò le pareti in cerca di una cartina dell’ospedale, una mappa per le prove anti-incendio, qualunque cosa avrebbe potuto riportarlo nell’atrio e nel parcheggio, però non trovò nulla. A quanto pareva, era finito in un’ala completamente diversa, e adesso si sentiva sia stanco sia incazzato.

«Serve aiuto?».

La voce fu come la risposta a una preghiera.

«Voglio solo uscire».

«Come tutti, amico!», rise l’infermiere. Fece lampeggiare una dentatura bianchissima, poi indicò un paio di porte doppie. «Passa di lì, supera l’Unità Stati Vegetativi e vedrai gli ascensori. Scendi di un piano, gira a destra, prosegui un centinaio di metri e sarai libero!».

Grato, lui varcò le porte, poi si bloccò di scatto.

Diretta verso una delle stanze poco più avanti, c’era il suo nuovo ispettore.

Per un attimo, Joseph dubitò delle sue capacità di osservazione, ma guardando la schiena della donna capì che non si era sbagliato. Era proprio l’ispettore Galena.

Per qualche ragione, si tirò indietro e aspettò che entrasse.

Rifletté in fretta. Cosa ci faceva lì? Aveva deciso di parlare comunque con Callum, e si era persa come lui? Ne dubitava fortemente. Quella era la sua zona. Non si sarebbe persa nel suo territorio. E il suo passo era determinato. Sapeva benissimo dove stava andando. Lui avanzò piano. Si chiese dove fosse diretta di preciso, dunque.

Percorrendo quasi in punta di piedi il corridoio deserto, Joseph si avvicinò alla stanza in cui l’aveva vista entrare.

La porta era chiusa, ma aveva una piccola finestrella di vetro.

Affacciandosi senza farsi notare, Joseph guardò dentro.

Nikki Galena era seduta e stringeva la mano di una giovane donna. La ragazza, un’adolescente, giaceva immobile sul letto. Vide Nikki muovere la bocca parlando in tono animato, ma non c’era una simile risposta da parte della ragazza. In effetti, per quanto Joseph poteva vedere, non c’era risposta di alcun tipo.

Deglutì a fatica, e si tirò indietro. Aveva appena assistito a qualcosa di molto privato, e avrebbe preferito non averlo fatto.

Inspirando, abbassò la testa, superò di corsa la porta e si diresse verso gli ascensori, ma non prima di notare la piccola targhetta scritta a mano a un lato della porta chiusa.

Diceva semplicemente: HANNAH GALENA.