Capitolo quattro

All’avvicinarsi delle cinque del mattino, la stazione di polizia di Greenborough era ancora un fermento di attività. L’agente Yvonne Collins si lasciò cadere riconoscente su una sedia della sala comune e guardò il suo collega, l’agente Niall Farrow, sganciarsi la pesante cintura e posarla delicatamente a terra.

«Forse se mettessi qualche chilo in più sullo stomaco, riu-
sciresti ad appendere un sacco di altri aggeggi a quella roba». Lo fissò con esasperazione. «Qualcosa di utile come un AK47, o il lavandino della cucina, magari?»

«Mi piace essere preparato», rispose Niall in tono compiaciuto.

«Sei un poliziotto, non un boy-scout! E se ti appendi qualcos’altro intorno alla vita, nell’auto di pattuglia non ci sarà più spazio per entrambi».

«Rilassati, Vonnie. Sono certo che un giorno sarai grata di quanto sono ben fornito». Lui le lanciò un sogghigno.

«Nei tuoi sogni, Raggio di Sole». Yvonne sorrise mentre si toglieva il cappello e lo posava sulla sedia accanto a sé. La costante esuberanza del collega la divertiva. Niall faceva quel lavoro da soli due anni, e considerava ancora ogni momento una grande avventura.

Yvonne si avvicinava ai quindici anni di servizio e verso il lavoro aveva un approccio più pragmatico, di solito pregava per la pace e la benevolenza di tutti, cosa che le capitava raramente di vedere.

«Quindi, quanti incidenti legati alle maschere credi ci sia-
no stati, questa notte?», chiese Niall, appoggiandosi allo schienale e stiracchiandosi.

«Be’, a noi ne sono capitati tre, no? Un’aggressione con rapina, l’auto rubata da quei due che volevano farsi una corsetta notturna e il gruppo di ragazzini mascherati che ha cercato di scassinare il negozio di fish and chips. Non sono sicura di cosa sia toccato alle altre squadre». Yvonne pensò alla raffica di reati minori commessi da giovani vestiti con quelle orribili maschere di gomma e sentì un leggero brivido. «Quelle cose sono oscene. Vorrei solo che sapessimo da dove arrivano».

«Sì, è strano, vero?». Niall andò alla macchinetta del caffè e si frugò nelle tasche in cerca di qualche spicciolo. «È iniziata con qualche ragazzino delle scuole che le indossava per spaventare a morte i compagni, e adesso sono dappertutto in città. Qualcuno deve sapere che diavolo sta succedendo».

Yvonne accettò il caffè che Niall le porse. «Grazie. Ci voleva. Speriamo di non doverne vedere altre per questo turno. Quelle maschere mi danno i brividi».

«Collins! Farrow! C’è una chiamata per voi! Subito!». La voce del sergente echeggiò lungo il corridoio fino a raggiungere la sala comune.

Yvonne afferrò il cappello e saltò in piedi. «Merda! Raccogli da terra quel quintale di ferraglia, Niall. Ci risiamo!».

Mentre Yvonne e Niall inseguivano altri teppisti mascherati in giro per le strade, Nikki percorreva lentamente il corridoio che portava al CID, il Dipartimento di Investigazione Criminale. Era molto in anticipo, ma non riusciva a dormire e vedere l’alba dal commissariato era di gran lunga preferibile al trascorrere un altro momento di veglia nel suo misero appartamento.

Sentì i commenti borbottati degli agenti in servizio, ma fece quello che faceva di solito e li ignorò. Non le serviva una sfera di cristallo per sapere cosa stavano dicendo. Alla stazione di polizia le novità viaggiavano in fretta e sospettava che avessero già aperto le scommesse su quanto sarebbero durati come squadra la vecchia Nick e il santo Joe.

Aprì la porta del suo ufficio e decise che lei non avrebbe fatto nessuna puntata. Si tolse la giacca, la gettò sullo schienale della sedia e subito tornò indietro per prendere un caffè. Gradiva un po’ di tempo per sé, prima dell’arrivo del suo nuovo sergente. Avrebbe soltanto voluto che la lasciassero agire da sola. Quando lavorava per conto proprio, dava il meglio. Ora la stavano accoppiando con…? Nikki fissò il fumante liquido marrone che gocciolava nel bicchiere e rifletté sulla domanda. Con chi, per l’appunto? Sapeva pochissimo sul conto di Joseph Easter. Come aveva detto il commissario, tutte le sue informazioni venivano direttamente dalla sala comune, e quella non era la più affidabile delle fonti. Mentre prendeva il bicchiere e lo inseriva in un sostegno, sul suo volto apparve un sorriso sardonico. E se il sergente Easter credeva a tutto ciò che aveva sentito su di lei tramite il passaparola, si stava forse aspettando di incontrare la Medusa in persona.

Magari avrebbe dovuto usare l’ora successiva per fare qualche indagine su di lui. Ma del resto, si sarebbe trattato di un esercizio un po’ inutile. Il commissario aveva espresso con molta chiarezza la sua posizione: lei avrebbe dovuto tentare di lavorare con lui, perciò tanto valeva trarre le sue conclusioni strada facendo. Sperava solo che il tema della religione non si sarebbe insinuato spesso nei loro discorsi. Non sapeva bene come avrebbe reagito a sentirsi dire quanto era fantastico Dio, mentre, fin da quando poteva ricordare, l’Onnipotente si era defilato ogni volta che si era trattato di aiutarla. Forse la prima questione all’ordine del giorno sarebbe dovuta essere qualche bella e chiara regola di base.

Spinse la porta dell’ufficio, cercando di non rovesciare il caffè, e vide un mucchio di maschere di gomma appoggiate alla rinfusa sulla sua scrivania.

«Oh, merda!», borbottò, raccogliendo un promemoria delle pattuglie notturne. Quindici di quelle cose orripilanti confiscate in una sola notte!

Lanciò un’occhiata all’orologio e si chiese se il commissario fosse già arrivato. Aveva chiesto di essere tenuto informato sulla questione, ed era evidente che stava diventando qualcosa di più di una semplice seccatura.

Crollò alla scrivania. Ci sarebbe voluto un po’ perché arrivasse, di certo il tanto che bastava per fare una ricerca. Non su Joseph Easter, ma su qualcuno coinvolto in un’altra indagine abbastanza privata che stava portando avanti con discrezione da moltissimo tempo. Accese il computer, tamburellò con impazienza le dita sulla scrivania mentre aspettava che si avviasse, poi inserì la password. Dopo qualche schermata arrivò proprio dove voleva. Digitò attentamente la parola FLUKE, e attese.

Accidenti! Nessuna delle loro conoscenze usava quel particolare soprannome. Provò FLOOK, in caso ne avesse frainteso l’ortografia, poi allargò la ricerca, ma ancora niente. Chiuse il programma e andò su internet, ma dopo una mezz’ora di caccia si arrese. Gli unici risultati riguardavano un gruppo rock con quel nome, di cui Hannah era stata fan. Nikki spense il computer e rimase seduta pensando a sua figlia. Hannah adorava il tipo di musica che distruggeva timpani e neuroni in un colpo solo e, per un attimo, Nikki si risentì urlare: «Potresti per favore abbassare quella schifezza?».

Prese un sorso di caffè e desiderò che sua figlia fosse ancora a casa. Le mancava. Le mancavano il casino, il rumore, i litigi, i capricci e le lacrime. Buffo, davvero, che le mancassero tutte le cose di cui aveva passato anni a lamentarsi. Mandò giù un altro sorso della bevanda e lanciò di nuovo un’occhiata all’orologio. Non era quello il momento di farsi strada tra il fango e la melma del passato, il commissario sarebbe dovuto essere ormai arrivato e lei doveva riportare il cervello in modalità lavorativa.

Ancora un’ora, e poi sarebbe arrivato il buon Reverendo Easter. Nikki si sentì prendere dallo sconforto. Diavolo, neanche sapeva come fosse fisicamente! Magari basso e panciuto, con una calvizie incipiente e un’espressione permanentemente bacchettona. Non che per lei avesse molta importanza. Abbassò lo sguardo sulle maschere e pensò che, forse, quando faceva comodo tutti ne indossavano una. Riflettendoci, lei lo faceva di certo. E perché avrebbe dovuto preoccuparsi per l’arrivo dell’ultima aggiunta alla sua piccola squadra scalcagnata? Se il tamtam aveva ragione, Easter era soltanto l’ennesimo agnello mandato al macello e, se aveva le palle e la resistenza dei suoi predecessori, si sarebbe trovato a infrangere i limiti di velocità per tornare a Fenchester prima di sera. Con un sospiro, Nikki prese il caffè e una delle maschere e andò in cerca del commissario.

Il commissario Bainbridge sollevò la maschera con indice e pollice e la fissò con disgusto. «Cosa diavolo dovrebbe essere?»

«Metà topo, metà cadavere in decomposizione. E le sue origini sono confuse, per usare un eufemismo».

«Magnifico. Quindi come mai non riusciamo a rintracciarne la fonte?».

Nikki fece un lungo sospiro. «Non ne ho idea, signore. Legittimamente non si trovano da nessuna parte. Non dove si noleggiano i costumi, o nei negozi di articoli da regalo, o nei cataloghi dei fornitori, da nessuna parte».

«E internet? È da lì che arriva praticamente tutto di questi tempi, no?»

«È il primo posto dove abbiamo guardato, signore, ma non abbiamo ottenuto un bel niente».

«Allora come fanno questi ragazzini a metterci sopra le mani?»

«Suona assurdo, lo so…», Nikki si passò le dita tra i capelli ed espirò, «ma sembrano spuntare dal nulla. Tutti quelli che abbiamo interrogato negano di averle comprate o di essersele procurate di proposito. Pare che le abbiano trovate per caso e, da bravi opportunisti, le hanno usate per commettere qualunque bravata o reato diabolico avessero in mente».

Il commissario corrugò la fronte. «E non c’è alcun collegamento tra i ragazzi che le hanno usate finora?»

«Non direi. Provengono da scuole diverse, diverse zone della città, perfino diversi gruppi etnici». Lei scrollò le spalle. «I primi a utilizzarle sono stati un gruppo di studenti che fregavano i soldi del pranzo ai loro compagni di classe. Poi sono comparse nel quartiere del Carborough, dove alcuni piccoli farabutti stavano facendo una specie di spaventoso dolcetto-o-scherzetto e terrorizzavano chiunque aprisse loro la porta. Poi abbiamo avuto un paio di scippi con dei ragazzini che le indossavano, e un’aggressione a scopo di rapina vicino alla stazione. Ora, sono dappertutto».

«E questa notte?»

«Gli agenti Collins e Farrow mi hanno lasciato un appunto, signore. Uno stronzetto che hanno fermato ha chiamato la maschera con un nome. A quanto pare l’ha definita una Griffyx, poi si è chiuso più del culo di un riccio. L’agente Collins ha cercato su Google, ma non ha trovato niente. Parlerò con loro prima che stacchino, signore, forse…».

«Mi spiace interrompere, signore». La figura imponente di Jack Conway, il sergente di turno, apparve sulla soglia. «Ha appena telefonato il preside della Fenland University. Una delle sue studentesse del terzo anno è scomparsa. Ha ventuno anni. Gli ho fornito le statistiche sulle persone scomparse, ma lui voleva sapere se lei avrebbe potuto richiamarla. Ha detto di conoscerla».

Il commissario si accigliò. «Mmm, è così. Ha lasciato un numero, Jack?»

«Sì, signore, ce l’ho proprio qui». Il sergente gli porse un biglietto e se ne andò.

Mentre Nikki si apprestava a seguirlo, il commissario la trattenne. «Aspetta un attimo, Nik. Controlliamo questa roba. Conosco Kenneth Villiers da anni, è stato uno strenuo sostenitore di tutto quel che abbiamo tentato di fare con i giovani di Greenborough, sia finanziariamente che con aiuti concreti. Se c’è una cosa che so sul suo conto è che non è tipo da andare nel panico per una studentessa scapestrata».

Per svariati minuti Nikki ascoltò la conversazione telefonica unilaterale ma, dal tono del commissario, e dall’espressione grave del suo volto, sapeva che stava prendendo molto sul serio tutto ciò che gli veniva detto. Dopo un po’ riabbassò lentamente la cornetta sulla forcella, e disse: «Non mi piace questa storia. So bene che la ragazza non è considerata in pericolo, o nemmeno vulnerabile, se è per questo, ma il professor Villiers è abbastanza convinto che le sia accaduto qualcosa».

«Qual è la situazione?»

«Lei si chiama Kerry Anderson, ha ventuno anni, è all’ultimo anno, sta prendendo una laurea di primo livello in Fotografia. Studentessa modello, si prepara a proseguire con una formazione post-laurea. A quanto pare lunedì sera è uscita tardi, il che non è insolito, ma poi ieri non si è presentata per un’escursione, e questo è estremamente insolito».

Nikki rifletté a fondo, poi disse: «Be’, so che di solito gli diremmo di rivolgersi all’ufficio Persone Scomparse, ma se Villiers è un benefattore così importante, vuole che faccia qualche indagine discreta?».

Il commissario le lanciò un’occhiata preoccupata. «Non sono sicuro che sia una buona idea».

Lei si chinò in avanti, conscia che l’uomo stava ripensando al vecchio caso che l’aveva quasi mandata fuori di testa. «Per me non è un problema, a essere sincera». Lo trafisse con uno sguardo intenso, poi abbassò la voce quasi a un sussurro. «Per favore, non continui a proteggermi da tutti i casi riguardanti giovani donne. A partire da oggi avrò il mio nuovo sergente, e l’unica cosa che faccio, a parte la mia costante battaglia contro gli spacciatori, è giocare con delle maledette maschere di Halloween! Diciamocelo, signore, dieci a uno, la sua studentessa se n’è andata con il fidanzato e ha scoperto che il sesso è molto più divertente di seminari, corsi di studio e lezioni». Sfoderò un sorriso implorante e lo supplicò: «La prego, commissario, me lo lasci fare».

L’uomo socchiuse gli occhi. Sembrava alla ricerca di un equilibrio precario tra la testa e il cuore. Alla fine parve prendere una qualche decisione, e annuì. «D’accordo. Forse hai ragione. Vedi solo di portare con te il nuovo sergente, sarà un modo per conoscerlo».

Col cavolo, pensò lei, ma riuscì a congelare il sorriso ancora per qualche istante. «Grazie, commissario. Non appena arriverà, ce ne occuperemo».