Capitolo ventuno

«Sto tenendo a bada l’assalto mediatico, ma non so fino a quando riuscirò a nascondere la morte di Lisa Jane». Irrequieto, il commissario camminò su e giù per il suo ufficio. «Hai parlato con Archie?».

Nikki si appoggiò alla parete con le braccia incrociate. «Passerò da lui non appena avremo finito qui».

«Dov’è il tuo sergente?».

Nikki sogghignò. «È tutto a posto, non gli ho preso un biglietto di sola andata per rispedirlo a Fenchester. È all’ospedale, con Mickey». Si mordicchiò il labbro. «Credo che il ragazzo potrebbe reagire meglio a Joseph, tipo una cosa tra uomini».

Il commissario smise di camminare. «È la mia immaginazione, o tu e il sergente Easter state…», s’interruppe, quasi con il timore di pronunciare le parole, «andando d’accordo?»

«Io non dico nulla, signore, ma ammetto che quel tizio è molto più di quanto potranno mai sognarsi i pettegoli della sala comune».

Alzando gli occhi al cielo, il commissario disse: «Quindi Dio esiste! Alleluia!».

«Oh! Non canti vittoria, signore. Ha ancora tutto il tempo di farmi incazzare alla grande». Il suo sorriso si smorzò. «Il punto è che per Kerry Anderson il tempo stringe e, francamente, sappiamo entrambi quanto sia grave la situazione. Mi sforzerei di lavorare con Vlad l’Impalatore, se significasse avere la possibilità di trovare quella ragazza scomparsa».

«Lo so, Nikki, e non ti tratterrò ulteriormente. Tienimi informato su tutto, d’accordo?»

«Sì, signore. Oh, e abbiamo bisogno di un assistente sociale specializzato in supporto alle vittime da assegnare a Mickey. È terrorizzato, e voglio la persona perfetta per ottenere il massimo da lui».

«Va bene, fammi sapere quando avrete fatto la sua valutazione, e organizzerò la cosa».

Nikki lo ringraziò, poi andò al Dipartimento di Investigazione Criminale per cercare Cat. Quel che trovò al suo arrivo fu una stanza vuota e un appunto che la informava che Kris Brown la stava aspettando nell’atrio.

«I miracoli non finiscono mai!», borbottò tra sé, e scese le scale di corsa.

«No, ispettore. Non ho mai sentito parlare di nessuna di queste donne. Sono scomparse anche loro?».

Kris Brown sembrava stanco. Aveva una barba di tre giorni, e gli occhi erano rossi e infiammati.

Nikki lo fissò e cercò di decidere se la sua brutta cera era dovuta a una sincera preoccupazione, o al senso di colpa. Senza trovare una risposta sicura, aggirò la domanda su Lisa Jane e Frankie Doyle e proseguì l’interrogatorio.

«E conosci uno studente, un ragazzo di nome Lewis?»

«Lewis è un altro al terzo anno del programma di fotografia. È un vicino di scomparto di Kerry».

«L’hai mai incontrato?»

«Una volta o due quando ho fatto visita al Centro».

Nikki abbassò lo sguardo sul suo blocco degli appunti. «Ha detto che sei stato derubato. È vero?».

Kris sollevò lo sguardo con interesse. «Sì. Ma come…?». Scrollò le spalle e si rispose da solo: «Gliel’avrà detto Kerry».

«E hai sporto denuncia?».

Lui scrollò di nuovo le spalle. «Non ce n’era motivo. Non ero ferito. E anche se mi avevano soffiato il portafoglio, dentro non avevo molto, e l’ho ritrovato di nuovo, un centinaio di metri più avanti nel canale di scolo».

«Riconosceresti i tuoi aggressori, se li rivedessi?»

«Oh, certo. Belle facce, metà topo e metà cadavere, direi. Li riconoscerei ovunque».

A Nikki iniziarono a sfrecciare nella mente mille pensieri. Si trattava solo dell’ennesimo crimine legato alle maschere, o c’era qualche collegamento tra la gang mascherata e il rapimento di Kerry? In ogni caso, non era dell’umore giusto per il sarcasmo di Kris Brown. «Non fare il furbo con me, la tua amichetta è ancora scomparsa e io preferirei passare il mio tempo a cercare lei invece che ad ascoltare le tue frecciatine sprezzanti! Adesso limitati a rispondere alle domande, d’accordo?»

«Scusi». Kris sembrava sul punto di scoppiare a piangere. «Ma sono preoccupato quanto lei! Sono stato in tutti i posti dove andavamo insieme. Tutti i posti che le piacevano per le foto suggestive. Tutti i posti che mi venivano in mente. Mi sono fatto metà della costa a piedi, e niente! Sono esausto ma, come ha detto, Kerry è ancora scomparsa e io devo trovarla».

Il suo sfogo colse Nikki di sorpresa e, per la prima volta, si chiese se Kris Brown fosse sincero.

Rifletté un attimo, poi cambiò argomento. «Dove ha preso i soldi per tutta quella costosa attrezzatura astronomica un ragazzo giovane come te?».

Lui si accigliò. «Se proprio vuole saperlo, ispettore, è quello che accade quando qualcuno muore e ti lascia ventimila sterline in eredità».

«Che bello!», disse Nikki. «Ti ha permesso di dedicarti al tuo passatempo in grande stile, no?».

Quando Kris rispose, la sua voce era fredda e le parole secche. «Oh, certo, è bellissimo. Ma francamente, ispettore, preferirei avere ancora mio padre. Ora, abbiamo finito?».

Nikki raggiunse Archie in un piccolo bar su River Walk. Era seduto verso il fondo, nascosto dalle finestre, e mescolava una tazza di cappuccino extra-large.

«Speravo di consegnarti quel Fluke su un piatto d’argento, ma a quanto pare mi sbagliavo». Il volto di Archie si oscurò. «Non immagineresti neanche quanti vicoli bui si sono girati i miei ragazzi. E…». S’interruppe e le rivolse un lungo sguardo riflessivo. «Mi spiace dirtelo, Nikki, ma c’è un nome che è uscito spesso durante le indagini della famiglia». Prese un sorso di cappuccino, fece una smorfia, poi strappò la sommità di un altro pacchetto di zucchero e lo rovesciò nella tazza. «Un nome che non ti piacerà».

«Immagino che sia Frankie Doyle», disse Nikki in tono cupo.

«Immagini correttamente».

«In quale contesto è emerso?»

«Be’, mia cognata Margaret ci ha detto che Doyle ha fatto visita a Lisa Jane qualche giorno prima della sua scomparsa».

«Non sapevo fossero amiche», disse Nikki, incapace di nascondere la sorpresa.

«Non lo erano», ribatté Archie con la mascella spinta in avanti. «Non abbiamo avuto nulla a che fare con quella stronza, da quando abbiamo scoperto che era responsabile dello, ehm, sfortunato incidente di tua figlia».

«Il suo tentato omicidio, intendi?».

Archie annuì tristemente. «Come sta?»

«Certi giorni penso che ci sia un miglioramento, e altri, be’, lo sai». Lei prese fiato; in quel momento non voleva pensare ad Hannah. «Ma tornando a Frankie Doyle, vive ancora al Carborough? Qualche mese fa è uscita dal nostro radar, poi mi hanno detto che era tornata e che girava con i pezzi grossi».

«Non girerà mai con i pezzi grossi. È cattiva, ma non intelligente. È un cane sciolto, e disturbato. Nessuno con un po’ di sale in zucca si fiderebbe di lei». Lui corrugò la fronte. «E sono certo che non viva più da queste parti. Uno dei miei nipoti sta cercando di procurarti un indirizzo. Se ci riesce, ti chiamerò all’istante». Prese un grosso sorso di caffè. «Tu hai qualcosa per noi?».

Nikki gli disse di Mickey, ma non accennò al fatto che il ragazzo aveva ripreso conoscenza. Si fidava di Archie, ma sapeva comunque quando essere accorta.

«Se è chi penso che sia, non è il ragazzo più fortunato del quartiere. È figlio unico, e subisce il peggio delle sbronze del padre. La madre, per quanto ricordo, passa più tempo con sua sorella a Peterborough che a casa».

«Qual è il cognome del ragazzo, Archie?»

«Smith».

«E dove vive?».

Archie ci pensò su un attimo. «Nei fabbricati di Cavendish Buildings. Non sono certo del numero».

«Grazie. Speriamo solo che si riprenda». Lei si sporse in avanti e abbassò la voce. «Potremmo avere una pista sulle maschere, o almeno qualcosa riguardo al nome che gli hanno dato».

«Ah, Griffyx».

«Proprio quello. I nostri tecnici stanno controllando alcuni violenti videogiochi pornografici, c’è un collegamento preciso, e stanno tentando di rintracciare l’inventore. Sappiamo che è di qui, e che per farlo ha rubato l’identità di un povero e ignaro web designer».

«Suona plausibile, è proprio quello per cui impazzirebbero alcuni dei giovani teppisti di questa zona. Qualunque cosa brutale, violenta o disgustosa». Scosse il capo. «Penso di stare invecchiando, Nikki. Non ho più lo stomaco per cose simili».

«Non ce l’hai mai avuto, amico mio. Be’, non per la violenza gratuita e fine a se stessa». Lei gli sorrise. «Come hai giustamente detto, per arrivare in cima bisogna avere cervello, non basta essere bravi con un coltello a serramanico. Ora devo proprio andare. Ci sentiamo più tardi».

Si alzò in piedi e spinse la sedia sotto il tavolo. «Fai attenzione, Archie».

«Anche tu, Nikki. Soprattutto se Frankie Doyle è tornata».

La riunione delle quattro non li portò più vicini a ritrovare Kerry, e le indagini sullo sfuggente Fluke risultarono inconcludenti, anzi, c’era un disaccordo notevole tra i rapporti.

Quando fu finita, Nikki sedette con Joseph nel suo ufficio e cercò di trovare un senso.

«Descrizioni contrastanti, e proprio nulla di concreto», borbottò. «Sto iniziando a chiedermi se questo Fluke potrebbe essere solo un figmento della nostra immaginazione collettiva».

«Mmm, la leggenda metropolitana del Carborough». Distrattamente, Joseph si tolse un pezzetto di lanugine dalla manica della giacca. «Ed è frustrante avere soltanto una foto vecchia di Frankie Doyle. Le giovani donne, e la prego di scusare la generalizzazione, tendono a seguire la moda e alterare il loro aspetto ogni volta che mettono piede fuori casa».

«Nessuna offesa. Sono d’accordo con lei. La nostra Cat ne è un esempio perfetto. Ciò che trovo incredibile è che una stupida troietta come Frankie sia riuscita a sfuggirci tanto a lungo».

«Magari ha deciso di non sporcare in casa sua. Potrebbe stare lavorando in un’altra contea, usando un nome diverso».

Nikki non era convinta, ma lasciò perdere. «Come si è trovato con il giovane Mickey Smith dopo che me ne sono andata?»

Il volto di Joseph s’illuminò. «Sono convinto che quel ragazzo ci aprirà un mondo. Non ho insistito, ma sta cominciando a rilassarsi con me. E sospetto che potrebbe essere un chiacchierone, il che sarebbe utile».

«Adesso chi c’è con lui?»

«Due poliziotti in divisa, finché non torno io. Gli ho promesso di comprare un paio dei suoi fumetti preferiti e di portarglieli quando avessi finito».

«Devo procurargli presto un assistente sociale specializzato in supporto alle vittime. Ha qualche idea su chi potrebbe essere adatto?»

«M’informerò sul suo rapporto con la famiglia, poi vedremo di cosa ha bisogno, va bene?».

Nikki annuì. «Be’, ho appena ricevuto dal nostro patologo preferito la relazione preliminare sull’autopsia di Lisa Jane, perciò sarò occupata per un po’. Invece di restare qui come un cattivo odore, perché non torna in ospedale?».

Joseph si alzò. «Certo, e se dovesse dirmi qualcosa d’interessante, la chiamerò».

«Faccia così», disse Nikki, aprendo la cartellina. «E a proposito, quali sono i fumetti preferiti di Mickey?»

«Temo siano The Beano e The Dandy. A quanto pare, non tutti i dodicenni sono i delinquenti violenti che crediamo».

«Mi scusi, ma ha mai dato bene un’occhiata a quella peste di Dennis the Menace

«Non da circa venticinque anni». Joseph sogghignò. «Ma sto segretamente sperando di dare una sbirciatina prima di passarli a Mickey. Arrivederci».

Mentre se ne andava, Nikki sorrise. Se qualcuno era in grado di far parlare Mickey Smith, quello era proprio il suo nuovo sergente.

Alle otto di quella sera, il sergente Joseph Easter e il signor Michael Nathan Smith si stavano ormai dando del tu. Joe, come veniva chiamato adesso, aveva letto entrambi i fumetti al suo uditore ipnotizzato e, anche se non l’avrebbe ammesso, si era divertito moltissimo. Mickey si era accorto a stento delle domande personali che l’uomo aveva attentamente inframmezzato e, mentre il ragazzo sonnecchiava un po’, Joseph riassunse ciò che aveva scoperto.

Una famiglia disfunzionale con un padre che usava i pugni quando si faceva un bicchiere, e sbornie che a volte duravano anche una settimana. La madre scompariva regolarmente, a quanto pareva da una sorella, ma dal modo in cui ne parlava Mickey, Joseph sospettava che in realtà andasse a cercare conforto in altre braccia. Niente fratelli, e Mickey era molto immaturo per la sua età. Joseph si chiese se sfruttasse apposta il suo stato di bambino per proteggersi dalle esplosioni violente del padre. Quello, o semplicemente non era molto brillante.

Fissò il ragazzino malconcio nel letto di ospedale. Era strano, perché i ragazzi maltrattati spesso crescevano in fretta, imparavano alla svelta a badare a se stessi. Il mondo fuori era brutto e loro dovevano sopravvivere. Pareva che Mickey avesse fatto il contrario.

«Sergente?». La suora responsabile gli fece cenno di avvicinarsi alla porta. «Siamo felici che sia abbastanza stabile da essere trasferito in un altro reparto. Potremo continuare a tenerlo sotto osservazione in un ambiente meno spaventoso. Apprezzeremmo il suo aiuto con il trasferimento».

«Dove lo porterete, sorella?»

«C’è una stanza privata nel reparto di Chirurgia Generale. È accanto alla postazione delle infermiere e offrirebbe molta privacy, ma renderebbe anche facile tenerlo d’occhio».

«Sembra perfetto. Che piano?»

«L’ultimo, sergente».

Joseph annuì. «Meglio ancora. Quando lo sposterete? Devo tenere aggiornato il mio capo».

«Tra circa un’ora. Il responsabile dei letti ci sta con il fiato sul collo, temo».

«Va bene. L’avvertirò per telefono, poi informerò i miei colleghi qui presenti di cosa stiamo per fare». Joseph guardò la suora. «Mi scuso per la domanda, ma gli esami che gli avete fatto dicono che è tutto a posto?».

La donna strinse le labbra. «Non lo trasferiremmo se non fossimo sicuri al cento percento, agente».

«Oh, non intendevo quello! Sono solo preoccupato perché mostra una capacità di concentrazione abbastanza discontinua, e parla molto in fretta, come se fosse iperattivo».

La suora si ammorbidì. «La sua è un’osservazione davvero acuta. Alcuni vecchi appunti accennavano a una presunta difficoltà di apprendimento, quando era più piccolo». Sorrise. «Non è la lesione alla testa, sergente, temo che il comportamento infantile per Mickey sia piuttosto normale».

Mezz’ora dopo, Mickey era pronto ad andare.

«Verrai con me, Joe? Non mi lascerai, vero?»

«Sarò proprio accanto a te, non temere».

«Promesso? Cioè, mi piace l’idea di una scorta della polizia. I tuoi uomini sono armati, vero? Cioè, non servono a molto se non possono sparare a tutti quelli che mi minacciano. E se…». L’agitazione del ragazzino stava diventando quasi allarmante.

«Ehi! Rallenta, amico! Non siamo in una scena di Arma letale! Questa è la vecchia e sonnacchiosa Greenborough, ricordi?». Si sporse e gli strinse la mano. «Non ti prenderà nessuno, capito? C’è il sergente Joe qui con te».

«Sì, sì».

«Adesso, ascolta. Se starai calmo finché non ti avremo sistemato nella tua stanza privata, dopo, non appena i dottori ti avranno visitato, ti racconterò un segreto, d’accordo? Un segreto bello grosso!».

«Che cos’è?», chiese Mickey, dimenticandosi per il momento della sua paura.

«Fai il bravo, e lo scoprirai. Affare fatto?»

«Affare fatto, sergente Joe».

Lo spostamento avvenne senza incidenti, e in un batter d’occhio Mickey Smith era stato sistemato il più comodamente possibile nella sua nuova stanza.

«Ma che bello! Perfino io non ho mai avuto una stanza privata, finora», disse Joseph con finta soggezione. «Guarda, Mickey, ci sono anche delle foto alle pareti! E il tuo bagno privato! Ma che lusso!».

Un’infermiera alta e magra come uno stecco gli lanciò un sorriso complice e sussurrò: «Ha un talento naturale con lui. Se mai le servirà una nuova vocazione, prenda seriamente in considerazione l’infermieristica pediatrica».

Joseph inarcò le sopracciglia e sussurrò in risposta: «Vorrà scherzare! Questo lavoro è durissimo in confronto a quello di acciuffare i criminali!».

Alla fine, una dopo l’altra, le infermiere se ne andarono, e l’ultima disse: «È molto stanco, agente. Adesso le suggerisco di lasciarlo dormire».

Joseph controllò che i suoi uomini fossero ai loro posti fuori dalla stanza, poi avvicinò una sedia al letto.

«Allora, qual è il tuo grosso segreto, Joe?», borbottò una voce insonnolita.

«Non lo dirai mai a nessuno, vero?»

«Giuro sulla mia vita, possa mori…».

«Ti credo, Mickey», lo interruppe Joseph, non volendo sentire quel bambino sfortunato dire “possa morire”. «Nel lavoro che facevo prima di questo, dovevo fare la guardia a delle persone. Persone molto importanti, proprio come te».

Mickey sbadigliò. «E chi hai protetto?».

Joseph si sporse e gli sussurrò un nome all’orecchio, poi si tirò indietro per vedere gli occhi scuri del bambino che si sgranavano e le labbra che formavano una O per lo stupore.

«Non ci credo!».

«Già. L’ho fatto davvero».

Mickey iniziò a chiudere gli occhi, senza però smettere di sorridere. «Anch’io ho dei segreti».

Joseph s’irrigidì, ma mantenne il tono dolce. «Sul serio? Grandi come i miei?»

«Di più».

«Hai voglia di dirmeli?»

«Forse».

Sotto il suo sguardo, il respiro del ragazzino cambiò, e il suo volto malandato si rilassò nel sonno.

«Gran tempismo, Mickey». Joseph si appoggiò allo schienale e cercò di mettersi comodo. «Ma sarò ancora qui quando ti sveglierai, credimi!».

Nikki chiuse la cartellina e fece un lungo sospiro rumoroso. I riscontri della scientifica dimostravano che Lisa Jane era stata afferrata da dietro, e strangolata con grande forza. L’intero evento orribile doveva aver richiesto solo pochi minuti. Lei si augurò che Archie e la sua famiglia potessero trarre qualche consolazione da quel fatto. Con la stessa facilità, avrebbe potuto essere stata imprigionata da qualche parte e torturata. Nikki si bloccò. Quello poteva essere il destino di Kerry Anderson, se non fossero riusciti a trovarla.

«Signora? Posso parlarle un attimo?».

Sollevò lo sguardo e vide l’agente Yvonne Collins, vestita in abiti da civile, in attesa sulla soglia.

«Certo. C’è qualche problema?»

«Spero di no, ma ho una brutta sensazione riguardo a una cosa, capo».

Nikki indicò una sedia, e si rese conto che Collins, una donna che non era mai stata la sua più grande fan, l’aveva appena chiamata “capo”, e che nella sua voce non c’era traccia del solito rancore.

«Cosa ti preoccupa, Yvonne?»

«Oggi io e Niall siamo andati a trovare uno dei miei vecchi informatori. Gli abbiamo chiesto di Fluke, e lui ha detto che ci avrebbe procurato qualche informazione e di vederci alle cinque». Yvonne si massaggiò la fronte. «Il punto è che abbiamo aspettato al luogo dell’appuntamento, ma non si è presentato».

«E di solito è affidabile?»

«Conosco Vic da più tempo di quanto conosca alcuni miei colleghi, e non è mai mancato a un appuntamento».

«Gli hai dato dei soldi?»

«Solo una cifra simbolica, capo, di tasca mia».

«Io avrei fatto lo stesso. Li incoraggia a tornare».

Yvonne sembrava giù di corda. «Non è solo questo, quel vecchietto mi piace. È innocuo, e molto intelligente. Odio l’idea che possa essergli accaduto qualcosa. Adesso sono fuori servizio, e vorrei andare a cercarlo, ma ho pensato fosse meglio parlarne prima con lei».

«Non sono sicura che andare al Carborough di notte, e senza divisa, sia una mossa saggia».

«Con la divisa è molto peggio, mi creda! Ma Niall si è offerto di venire con me».

«D’accordo, ma siate discreti nel fare domande, e tenete accesi i telefoni. Non voglio che due agenti dannatamente bravi vengano feriti per via di un vecchio ubriacone a cui ha ceduto il fegato. Potrà essere un bravo vecchietto, ma capisci cosa intendo. Al primo segno che qualcosa non va, chiedete aiuto, capito?»

«Certo, signora, e grazie».

Nikki rimase seduta a guardare l’agente allontanarsi, e si stupì silenziosamente di se stessa. Era la seconda volta nell’arco della giornata che si complimentava con uno dei suoi agenti. Forse era come Archie, stava diventando troppo vecchia per tutta quell’amarezza. Poi pensò a Kerry, e il suo cuore s’indurì. Col cazzo! Nikki Galena era tosta come sempre, pronta e impaziente di dare battaglia. Avrebbe ripulito la città dagli spacciatori, fosse anche stata l’ultima cosa che faceva nella vita.