Capitolo ventisette
«Cos’è questo posto?», chiese Joseph a bassa voce. «Ha una brutta atmosfera».
«È quello che dice il nome, un mercato del bestiame, solo che è dalla prima epidemia di afta epizootica che non ne organizziamo uno». Nikki si guardò intorno. «Un po’ per volta lo stanno smantellando. Hanno portato via la maggior parte dei banchi, e il piazzale viene utilizzato come parcheggio temporaneo per le auto in eccedenza».
«Sembra che lo usino anche i ragazzini», notò Joseph. «Mi pare di riconoscere qualcuna delle opere del mio amico Petey, laggiù».
Un muro, davanti al quale c’erano alcune macchine parcheggiate alla rinfusa, era interamente ricoperto di graffiti.
«Sì, ci proviamo a tenerli fuori, in giro c’è un sacco di ciarpame e legno vecchio. Quello che resta potrebbe prendere fuoco al pari di una polveriera, se decidessero di divertirsi con una scatola di fiammiferi». Gli occhi di Nikki continuavano a cercare un qualunque movimento. Erano in anticipo, ma non si sentiva per niente a suo agio rispetto a quell’incontro. Il posto era isolato, ma non del tutto in disuso. La gente lo usava come scorciatoia per arrivare in centro, e sebbene non fossero in molti ad avere il coraggio di parcheggiare lì l’auto, era frequentato con regolarità. Lei si guardò di nuovo intorno e rabbrividì. Faticava a credere che, dopo tutto quel tempo, stava forse per incontrare la sua nemesi. «Dove ha detto di incontrarla?».
Joseph osservò un uomo con un cane malconcio girare intorno a una struttura di legno abbandonata e avviarsi lentamente in direzione del lungofiume. «Dove finisce il fiume, ha detto solo questo».
A Nikki non piaceva. Tutte le sue terminazioni nervose le dicevano che qualcosa non andava, ma Joseph, l’ex agente delle forze speciali, sembrava stranamente ignaro dei pericoli.
«Niente ci assicura che verrà», disse in tono sommesso, «ma per il suo bene, Nikki, spero che lo faccia». Le si avvicinò ancora un po’. «Ha bisogno di parlare con questa donna, ha bisogno di sapere».
Nikki annuì. Sì, aveva bisogno di sapere. Ma cosa avrebbe fatto, dopo? I dubbi offuscarono la sua convinzione pratica e sicura che Frankie fosse responsabile delle terribili condizioni di sua figlia. E se si fosse sbagliata? Aveva ottenuto la maggior parte delle sue informazioni da un criminale. Forse Archie non era l’amico che credeva che fosse. Fissò gli uffici sbarrati con le assi e gli edifici in parte smantellati: poteva essere il giorno in cui avrebbe scoperto la verità.
Joseph intanto avanzava adagio, lanciando occhiate da una parte e dall’altra. Nikki lo guardò e s’irrigidì. Di colpo, era passato a uno stato di vigilanza più acuto.
«Qualcosa si è mosso». Scattò verso una pila di assi di legno, accatastate e in attesa di essere raccolte dalla società di demolizioni. «C’è qualcuno, lì».
Per un istante, Nikki fu felice di aver riferito a Dave Harris cosa doveva accadere al mercato del bestiame. Non i dettagli completi, soltanto che c’era stato un avvistamento di Doyle e lei e il sergente Easter ritenevano che valesse la pena di fare un salto. Perché, in quel momento, Nikki era un cocktail ribollente di rabbia e impazienza, con un pizzico di paura come tocco di colore. «La vedi?»
«C’è qualcuno dietro quelle cataste di legna». Joseph avanzò di un centimetro. «Non so se sia lei oppure no, ma vado a controllare».
Fece un altro passo in avanti, con Nikki subito dietro. Superarono la struttura vuota di un ufficio, e iniziarono ad aggirare il mucchio di legname vecchio.
«Frankie vi manda le sue scuse». La voce era bassa e un poco attutita, ma l’intento era cristallino. «È rimasta bloccata all’ultimo minuto, ispettore Galena».
Nikki si voltò lentamente e vide un uomo tozzo e dalle spalle larghe in piedi accanto alle macerie dell’ufficio abbandonato, e il motivo della sua parlata distorta era la maschera da topo morto che gli copriva i lineamenti. «Che nessuno dei due provi neanche a pensare di fare un movimento! Non sono solo». Fece una risata breve e roca. «Lasciate che vi presenti i miei amici. Lui è qualcuno che stavate cercando, negli ultimi tempi». Indicò un individuo più alto e magro, che era appena emerso dal retro dell’ufficio per fermarsi immobile nell’ombra. «Dite ciao a Fluke».
L’uomo fece un piccolo inchino con la schiena rigida, e si passò lentamente una pesante sbarra di ferro da una mano all’altra.
Nikki sentì, più che vedere, come Joseph s’irrigidiva in presenza dell’uomo che aveva ucciso Marcus Lee e cercato di massacrare di botte Mickey Smith.
«Sarebbe buona educazione togliersi quelle maschere! Codardi schifosi!», ringhiò Joseph.
«Ogni cosa a suo tempo. Ma che diritto ha lei di gridare ordini, sergente Easter, neanche era stato invitato alla festa!».
Mentre lui parlava, altri due uomini mascherati
si materializzarono silenziosamente dalla parte opposta. «Ah, gli
altri miei fratelli. Lui è Fluke». Indicò uno dei due, un
piccoletto con un grosso coltello tenuto saldamente nella mano
destra. «E quello laggiù, avete indovinato, è Fluke anche lui».
Rise. «Spero di non avervi confusi, agenti. Ma vedete, la
possibilità di trovarsi in più posti contemporanea-
mente crea una fantastica reputazione».
«Dov’è Doyle?». Nella voce di Nikki non c’era altro che disprezzo. «Non me ne frega niente di te e dei tuoi scherzi della natura. Io voglio Doyle».
«Non sia sciocca, ispettore, Frankie non ha mai avuto intenzione di venire. È di me che dovrebbe preoccuparsi. Da sempre».
Mentre l’uomo farneticava, Nikki si concentrò per metà sull’ascoltare le sue parole, e per l’altra sull’osservare Joseph, perché lo vide lanciare un’occhiata alla strada stretta che avevano ingenuamente percorso e impallidire.
Con orrore, guardò un poco oltre e scoprì il motivo.
Dall’altra parte del parcheggio di cemento, una giovane donna aveva appena aperto l’auto e stava tirando fuori un passeggino dal bagagliaio.
La sua conoscenza della zona entrò automaticamente in azione, e visualizzò l’asilo nido che si trovava in fondo alla passeggiata del lungofiume. Vide anche l’insegna color arcobaleno: LE APINE DI BIZZY. Deglutì a fatica e cercò di pensare a un modo per avvertire la ragazza dei pericoli che l’aspettavano.
«Dite una sola parola, e la lascerò a uno dei miei scherzi della natura! Finché vorrà tenersela, se capite cosa intendo». La voce ricordava un sibilo, e Nikki immaginò gli occhi di un serpente sotto la maschera.
«Allora lascia che vada per la sua strada», disse in risposta. «Non c’entra niente con tutto questo. È me che vuoi, no? Be’, sono qui, perciò lasciala stare!».
«Allora farà meglio a stare muta come un pesce! C’è in gioco la vita di quella ragazza, o forse soltanto la sua sanità mentale».
Mentre parlavano, il clicchettio delle scarpe della donna si fece più vicino. Nikki si sentiva la bocca secca come fieno, ma riuscì a sussurrare a Joseph: «Non dire niente. Non fare niente».
«Sagge parole, ispettore», disse una voce sommessa alle sue spalle.
Gli uomini silenziosi e mascherati erano tornati a confondersi con le ombre e, nel frattempo che la ragazza si avvicinava, Nikki dovette fare appello a tutte le sue forze per non gridarle di scappare, quasi ne andasse della sua vita, se non voleva rischiare di non rivedere suo figlio.
A quel punto, il senso d’impotenza, l’impossibilità di cambiare quella situazione terribile, fecero scivolare il mondo al rallentatore. Nikki non vedeva che i lunghi capelli castano ramato della ragazza che ondeggiavano mentre lei camminava, con la borsetta appesa distrattamente a una spalla e il passeggino azzurro brillante di fronte a sé. Per la prima volta da quando Emily Drennan era morta tra le sue braccia, Nikki pregò.
Oh, Signore, fa’ che non succeda. Fa’ solo che non succeda.
E la sua preghiera sembrò essere accolta, finché la donna non li ebbe quasi superati, ed esitò, guardando incerta in direzione di Joseph.
Nikki non avrebbe saputo dire se si fosse impaurita di colpo, o se fosse uscita da un sogno a occhi aperti per notare che un bell’uomo la stava guardando in modo strano, ma il mondo tornò a crollarle addosso con la violenza di un uragano.
Più rapido di quanto avrebbe creduto possibile, l’uomo mascherato balzò fuori e afferrò la giovane. Il passeggino si rovesciò, e la donna urlò dalla sorpresa e dall’orrore alla vista di quella maschera orripilante così vicina al proprio viso.
«Aiutatemi!», fu l’unica cosa che riuscì a dire, prima che una grossa mano le coprisse rudemente la bocca aperta. Lei sgranò gli occhi, e guardò dritto Nikki.
Quegli occhi! In quel singolo istante, Nikki comprese che erano stati ingannati.
Si girò di scatto verso Joseph, il quale però non era più lì.
Non fece in tempo a gridare il suo nome, che lui era già balzato sull’uomo mascherato, gli aveva strappato la ragazza terrorizzata e l’aveva afferrata per metterla in salvo.
Ma non c’era salvezza. Non per Joseph.
Mentre tentava di calmarla, pronunciando senza dubbio qualche parola di conforto, e si preparava a portarla lontano dagli aggressori, la sua espressione cambiò.
L’incredulità e lo shock lottarono per il sopravvento, poi la sofferenza contorse il suo bel volto in un nodo di dolore.
«Joseph!». L’urlo echeggiò nella piazza deserta del mercato, e Nikki si lanciò in avanti per prenderlo al volo mentre cadeva.
In piedi sopra di lui, con un coltello dalla lama lunga ancora in mano, c’era Frankie Doyle.
Nikki sostenne il peso di Joseph e cadde a terra con lui, stringendolo e cercando di allontanarlo dalla donna che stava lì a ridere di loro.
Riusciva a pensare solo a proteggerlo da ogni nuovo affondo di quel coltello crudele.
«Ah, commovente! Non lo trovi commovente, Stevie?».
Stevie? Non…? Merda, in quel momento non gliene fregava un cazzo di chi fosse. Doveva chiamare aiuto per Joseph. Lo strinse più forte, e si accorse di avere le mani coperte di sangue. Se non avesse agito in fretta…
Sollevò lo sguardo, vide un semicerchio di volti beffardi che li osservavano dall’alto e sentì un vuoto allo stomaco. Avevano gettato a terra le maschere, tutti tranne il capo, che se la stava sfilando con cura. Se non temevano di essere identificati, l’avrebbero sicuramente uccisa. Quindi non importava nulla, giusto? Nikki girò in fretta Joseph su un fianco, controllò le vie respiratorie, poi si mise tra lui e la gang. Se uno dei due aveva qualche possibilità, doveva essere lui.
Li fissò con aria di sfida, poi notò il volto scoperto del capobanda e il suo sprezzo si trasformò in repulsione. La maschera da topo morto era quasi più gradevole, rispetto ai suoi lineamenti deformi. Un lato della testa era privo di capelli, l’orecchio sembrava essersi fuso in qualcosa di simile alle minuscole inflorescenze di un cavolfiore, e guancia, tempia e mascella della parte destra erano un ammasso raggrinzito di tessuto cicatriziale. Ma l’altro lato aveva ancora l’aspetto di un tempo, e lei riconobbe all’istante Stephen Cox.
«Vedo che non mi ha dimenticato, ispettore». Il suo viso distorto si aprì in un sorriso vendicativo. «E saprà che ho un conto da regolare». Si accovacciò accanto a lei. «Ha reso la mia vita un inferno, ispettore Galena. Se non mi avesse cacciato da Greenborough, non avrei questa faccia!». Indicò il proprio volto devastato.
Nikki stava ancora premendo la mano per sentire la pulsazione di Joseph, ormai sempre più irregolare. Doveva fare qualcosa, ma non sapeva cosa.
La rabbia e la disperazione crebbero e, in preda alla frustrazione, le sfogò tutte su Stephen Cox.
«Non me ne frega un cazzo di quello che ti è successo! Sei un parassita! Uno sporco parassita assassino, e qualunque cosa tu abbia sofferto non è stato di certo abbastanza, considerando quello che hai fatto a Emily Drennan. E dov’è Kerry Anderson? L’hai presa tu, vero? Piccolo pezzo di merda del cazzo!».
«Che caratterino». Cox si alzò, lanciò un’occhiata all’orologio, poi guardò i suoi scagnozzi. «Per quanto sia divertente, dobbiamo farla finita».
«Ucciderla è un tale peccato, Stevie. Per lei sarebbe molto più doloroso continuare a vivere con questo peso sulla coscienza». Frankie conficcò crudelmente la punta della scarpa nella gamba di Joseph. «Insieme a tutto il resto della sua triste e patetica vita».
«Cosa diavolo vuoi saperne tu della coscienza? Sei nata cattiva!», esplose Nikki.
«Così dicono». Senza mai distogliere dai suoi quei glaciali occhi da pesce, Frankie si sfilò la lunga parrucca e la lasciò cadere distrattamente sul corpo di Joseph. «Povero signor poliziotto».
Cox la guardò torvo. «Non abbiamo tempo per questo. Dobbiamo tagliare la corda. Non c’è tempo per un cazzo di dibattito». Prese Frankie per il braccio e la tirò via. «Fai i tuoi saluti». Tornò a voltarsi verso Nikki. «Per quanto mi piacerebbe restare e guardarvi morire, abbiamo un piccolo affare di cui occuparci. Benny! Finiscili, e in fretta!».
Uno dei tre Fluke estrasse un coltello e le si avvicinò lentamente, e Nikki sentì che il cuore iniziava a martellarle nel petto. Rilassò la stretta su Joseph e, nel farlo, toccò un pezzo di legno che si trovava proprio sotto il braccio dell’uomo.
Quando il delinquente si avvicinò, Nikki notò un’espressione strana sul suo volto, una specie di apprensione.
In quell’istante, mentre guardava il pomo d’Adamo muoversi a scatti lungo il collo, comprese istintivamente che non aveva mai ucciso prima, e colse l’attimo.
Consapevole di non avere più niente da perdere, afferrò il pezzo di legno e si scagliò contro di lui. Ruotando la mazza improvvisata con tutta la forza che riuscì a trovare, gli assestò un colpo terribile sul lato della testa.
Preso di sorpresa da quell’attacco inaspettato, l’uomo urlò dal dolore e cadde in ginocchio, per poi crollare in avanti e restare immobile.
Fu solo quando vide il sangue che gli sgorgava dalla tempia che Nikki notò i brutti chiodi arrugginiti che spuntavano dall’estremità della sua arma improvvisata.
Alzò di scatto gli occhi e notò rapidamente i volti stupefatti dei suoi aggressori, poi, sempre stringendo il pezzo di legno insanguinato, scattò di nuovo verso Joseph, e rimase in piedi di fronte a lui come un pastore minaccioso che proteggeva il suo agnello dai lupi.
Non si rese quasi conto di cosa accadde in seguito, ma sentì un forte grido echeggiare dalla parte opposta del parcheggio. «Polizia! Allontanatevi da lei! Subito!». Poi avvertì il lamento delle sirene e vide i due Fluke rimasti che si giravano sconvolti.
«Le cazzo di sirene, capo! Che facciamo con…».
«Zitto, stupido!», urlò Cox. «Ci sono troppe cose in gioco! Andiamo!».
Nikki li vide voltarsi e correre verso le auto, poi gettò a terra l’arma e si lasciò cadere accanto a Joseph.
«Salutami tanto Hannah!», urlò Frankie nella fuga.
«Marcisci all’inferno, troia! Hai fatto un grosso sbaglio a non uccidermi, perché un giorno ti vedrò morta all’obitorio!».
Nikki tornò a voltarsi verso Joseph. Il suo cuore stava ancora battendo a ritmo irregolare, ma almeno batteva. Ma non le piaceva come gli vibravano le palpebre e ormai respirava a rantoli brevi e scomposti. Lei si strappò di dosso la giacchetta, l’appallottolò e gliela premette con fermezza contro la ferita sul fianco.
«Oh, Joseph! Stupido! Stupidissimo! Resti con me! Se la caverà, mi sente? Se la caverà benissimo. Non ho nessuna intenzione di perdere il miglior sergente che abbia mai avuto, non adesso! Mi parli, Joseph!».
«M-miglior sergente?». Il sangue iniziò a colargli dal lato della bocca, ma sulle sue labbra c’era un leggerissimo sorriso. «Da-davvero?»
«No, lei è il peggior idiota che abbia mai conosciuto!».
«Signora!». Nonostante il peso e le condizioni precarie, Dave corse incontro a Nikki, poi cadde quasi accanto a lei. «Sta bene?». Rimase a bocca aperta. «Mio Dio! Sergente Easter!». Si rialzò in piedi barcollando. «Paramedici! Quaggiù! Svelti!».
«Tu e quei tizi vestiti di verde siete la cosa migliore che abbia mai visto, agente Harris!».
Joseph si aggrappò con forza alla sua mano. «Signora! Deve sapere, se potessi tornare indietro, lo rifarei ancora». Tossì e lanciò un piccolo grido di dolore. «Cioè, e se… e se fosse stata solo una mamma normale che andava a prendere il figlio?»
«Ma non lo era, Joseph». Lei gli accarezzò la mano e gli scostò dolcemente i capelli dal volto.
«Ma non potevo rischiare una vita innocente, no?»
«No, no, certo che no». Le lacrime ormai la stavano quasi accecando. «Ma adesso resti sdraiato, sono arrivati i dottori».
Lui la guardò, gli occhi all’improvviso sgranati per la paura. «Non mi sento bene».
Nikki si chinò su di lui. «Resista, Joseph Easter, è un ordine!».
«Tamsin. Dica a Tamsin…».
«Glielo dica lei».
«Per fa…».
«Joseph? Joseph!».
«Va bene». Lei sentì una mano sulla spalla. «Ci pensiamo noi, signora».
Mentre il personale dell’ambulanza prendeva il comando, Nikki avvertì la mano di Joseph scivolare via dalla sua; si lasciò cadere di nuovo sui talloni e pianse come una bambina.